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Il presidente emerito della Consulta, Piero Alberto Capotosti, boccia il finto finanziamento pubblico

La legge sulla responsabilità giuridica dei partiti è attesa almeno dal 1948 e porta la firma di don Sturzo. Una proposta che avrebbe il vantaggio di obbligare le forze politiche a rispondere della gestione finanziaria e del rispetto delle regole di democrazia interna, che è stata rilanciata con forza dal Fatto Quotidiano. "Spesso si pone l’accento sui privilegi della casta" - spiega il presidente emerito della Corte costituzionale, Piero Alberto Capotosti - "sul numero eccessivo di parlamentari, sulle spese per i ristoranti delle Camere, i vitalizi, le indennità e i portaborse. Ma si tratta di elementi che pure assommati, non sono rilevanti quanto la questione dei rimborsi, che invece rappresentano uno dei nodi più importanti dei costi della politica".

Lo scandalo Lusi è la goccia che forse farà traboccare il vaso, prima che l’acqua travolga il vaso stesso. Casini e Bersani si sono detti determinati a promuovere nuove regole in materia di finanziamento ai partiti, perché consapevoli che in un clima tanto quaresimale, i partiti hanno l’obbligo di diventare per i cittadini delle “case di vetro”.

In materia di finanziamento, ha detto Bersani, "non può esistere che un partito prenda finanziamenti senza certificazioni e non ci siano trasparenza e dei criteri di partecipazione". E c’è poi l’ipotesi di una legge sulla responsabilità giuridica dei partiti, che è attesa almeno dal 1948 e porta la firma di don Sturzo. Una proposta che avrebbe il vantaggio di obbligare i partiti a rispondere della gestione finanziaria e del rispetto delle regole di democrazia interna, che è stata rilanciata con forza dal Fatto Quotidiano.

"Spesso si pone l’accento sui privilegi della casta - spiega a liberal il presidente emerito della Corte costituzionale, Piero Alberto Capotosti - sul numero eccessivo di parlamentari, sulle spese per i ristoranti delle Camere, i vitalizi, le indennità e i portaborse. Ma si tratta di elementi che pure assommati, non sono rilevanti quanto la questione dei rimborsi, che invece rappresentano uno dei nodi più importanti dei costi della politica".

"L’attuale natura giuridica dei partiti politici - ragiona Capotosti - differisce da quella prevista originariamente dai padri costituenti. A suscitare questo cambiamento è stato il finanziamento pubblico, che è stato un elemento distorcente in grado di alterare lo status dei partiti come associazioni di diritto privato. Essendo destinatari di fondi pubblici, i partiti dovrebbero quindi essere dotati di strumenti in grado di consentire il controllo di bilancio. E sono chiamati a rispondere del denaro erogato dallo Stato per lo svolgimento dei loro compiti essenziali".

"Con il referendum che abrogò nel ’93 il finanziamento - prosegue il presidente della Consulta - i partiti misero a punto il meccanismo del rimborso. Ma lo stesso, a dispetto di alcune storture, dovrebbe essere finalizzato a nient’altro che la copertura delle spese".

Ma quali sono i principali abusi perpetrati con i soldi dei cittadini? "I fondi statali - risponde il giurista - dovrebbero essere destinati in primo luogo ai partiti (anche quelli di nuova formazione) allo scopo di metterli in condizione di presentarsi alla competizione elettorale. In secondo luogo, i fondi dovrebbero essere proporzionati alla effettiva rappresentatività conseguita al risultato delle urne. E infine, dovrebbero essere proporzionati alla durata della legislatura, e non erogati a prescindere dalla durata della stessa come avviene oggi, producendo in alcuni casi un effetto di raddoppio".

Come uscirne, dunque? "In base a una previsione di Iegge, i partiti in quanto soggetti sovvenzionati in modo continuo, dovrebbero rimettere i loro bilanci al controllo di un organo ad hoc come la Corte dei Conti - commenta Capotosti - ciò limiterebbe di certo il grado di autonomia attribuito dai padri costituenti ai partiti. Ma di fatto, l’obbligo di sottoporre a revisione i bilanci, rispecchierebbe il mutamento della loro natura giuridica generato dal finanziamento".

E che cosa accadrebbe, invece, nella fantascientifica ipotesi di abolirlo? "Bisogna fare attenzione - mette in guardia Piero Alberto Capotosti - Il finanziamento pubblico non è qualcosa di stravagante: in tempi di mediatizzazione pervasiva, l’acquisto di spazi di propaganda sui media ha reso le campagne elettorali sempre più dispendiose. E il finanziamento deve essere cospicuo, nell’intento di prevenire finanziamenti illeciti da parte di privati come accadde al tempo di Tangentopoli. D’altra parte, l’alternativa al finanziamento pubblico è quella dell’elargizione privata, così come accade negli Stati Uniti. Si tratta di un sistema che rende pubblici gli interessi privati delle lobby, e che però lascia facilmente presumere che vincoli le decisioni delle forze politiche a precisi interessi".

Dare quindi natura di persona giuridica ai partiti, e porre fine alla deregulation dei rimborsi. Sulla materia, il Presidente emerito ha una ricetta precisa: "Occorre ridiscutere il meccanismo e depurarlo dalle attuali storture legate alla durata della legislatura, alla proporzionalità degli stessi in base ai risultati elettoralli, e alla prassi della tesaurizzazione dei fondi incompatibile con la logica del recupero delle spese".

Ma avverte: "Bisogna prendersi del tempo, affinché si possa produrre una regolamentazione della materia efficace per una questione tanto delicata. L’eco delle ultime vicende, non deve indurre troppa fretta perché sul merito, come abbiamo visto, pendono numerose riserve e controindicazioni".

E sul tema, sembra concordare anche Paolo Pombeni, professore di Storia contemporanea all’università di Bologna. "Ci si accorge sempre dei buoi quando ormai sono fuggiti dalla stalla ", spiega a liberal.

"La prima cosa da pretendere - osserva il politologo - è la presentazione di documenti circostanziati che attestino le spese in modo chiaro. Tutto deve essere rendicontato e certificato da appositi organi di revisione dei conti. Pratiche come quelle degli investimenti in Tanzania non devono più ripetersi. Lo scopo del rimborso deve rimanere esclusivamente quello di pareggiare le spese, e non quello di lucrare con i soldi dei cittadini. Una slavina che ci riporti all’era di Tangentopoli è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in un periodo di così grave emergenza. I partiti devono provvedere a regolamentare la materia senza esitazioni. Se così non fosse, l’indignazione popolare li travolgerebbe per la seconda volta".

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