• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Ancora Cezanne

Ancora Cezanne

​Torno a Cezanne dopo aver scritto un post che analizzava un suo quadro - I giocatori di carte - che ha lasciato una certa impronta nel mio immaginario. Nella mia visione descrivevo una staticità muta sottostante ad una vicinanza che si vuole per definizione dialogica: quella appunto di due attori coinvolti nel gioco rappresentato.

L'immagine in questione aveva evocato una corrisponde situazione osservata nel teatro della vita, in cui attori in carne ed ossa ostentavano una disordinata quanto frenetica interazione che, però, sottendeva un totale solipsismo: ognuno perso nel suo fare, nella propria idea del progetto da realizzare - rimasto perciò assolutamente incompreso.

Azione, dunque, frenetica e soffocante, ma condotta in maniera talmente ossessiva da rimanere miope e inutile. L'esperienza evocata ostentava pertanto una solitudine triste, incastrata in una apparente interazione sociale. Una condizione che si realizza molto di frequente, ma che non posso ritenere naturalmente "bella".

Questo mio breve scritto ha provocato la reazione di un lettore che è anche un professionista della psiche, il quale ha pubblicato un importante contributo rilanciando il dialogo. Nel suo commento questi ha citato un'altra opera di Cezanne, indicato come espressione - cito testualmente - della solitudine postuma del pittore (che) è stata pagata per quanto fu grande la sua sofferenza in vita, (e) che si esemplifica nella psicosomatica dei dipinti seriali del Monte San Victoire, dove si può osservare il declino della vita di Cezanne... : La rupe rossa.

L'immagine rimanda in un primo superficiale approccio ad un paesaggio boscoso, dominato lateralmente da un roccia color cremisi dalla forma allungata, posta lateralmente e in primo piano, come un guardiano, come la quinta di un palcoscenico.

Daniele Bernabei, nel commento al mio post, ha messo in evidenza ciò che l'artista ha rappresentato nel succitato famoso dipinto: il disfacimento quasi completo che precede di poco la morte, il grande volto di un uomo appena riconoscibile nella sua decomposizione, e una piccola lapide a forma di osso verticale come autografo.

In ciò che realizza, ogni autore rappresenta se stesso: disegna i suoi sogni e li offre a chi ha voglia e capacità di osservare. Spesso senza essere in grado lui stesso di leggere il proprio segno.

Sin dall'antichità sognare erba che cresce sul corpo è stata indicata dagli addetti ai lavori come indizio di morte imminente: i vivi viaggiano sulla terra e per mare; i morti sono sotto terra, e la vegetazione li sovrasta, fino ad inglobarli e nutrirsene.


Così la morte rende la vita, in una novità che sa di principio.

Quel quadro fu composto negli ultimi anni di vita. Lateralmente, in primo piano, è denunciata la causa della sua ossessione, rappresentata dalla simbologia di una sessualità perversa e involutiva, statica nella sua rigidità, e accesa nella sua rossa aggressione (esplicitato nel commento al commento).

Se l'artista avesse avuto la competenza opportuna, o avesse fruito di una consulenza adeguata, avrebbe potuto probabilmente evitare di morire di polmonite, per strada, dal ritorno di una delle sue scampagnate finalizzate a rappresentare, per l'ennesima volta, il male che lo affliggeva.

Decido qui di puntare uno spot su "la punta dell'iceberg", un iceberg di terra: La montagna di Saint Victoire.

Cezanne fu un artista infelice come molti altri della sua specie. Un innovatore, e quindi un solitario... Rimase incompreso fino alla morte. Con il suo lavoro si contrappose alla rigida e formale tradizione, vivificando le forme con colori accesi e screziati che prevaricavano le prospettive e costruivano una nuova materialità alle immagini.

Diverso, quindi, nel suo modo di osservare e restituire la realtà che lo accoglieva.

Frequentò importanti scrittori e artisti dell'epoca, studiò con gli impressionisti e condivise con loro il piacere del plen-air: lavorare all'aperto, a diretto e immediato contatto con la natura. Egli ascoltava e riproponeva quegli infiniti e sorprendenti giochi di luce e colore che la vita offre di continuo.

Negli ultimi vent'anni della sua vita era ossessionato da una particolare immagine: produsse oltre sessanta lavori tra disegni, acquarelli, schizzi e pitture che riproducevano, da prospettive diverse e nell'arco di alterne stagioni, una visione della stessa montagna: si trattava del monte Saint Victoire, che dominava la sua terra natia.

L'artista si immedesimò a tal punto con questo elemento da finire i suoi giorni proprio nello sforzo di riprodurlo, nella logorante attività di mostrarne al mondo le forme che variavano nella sua mente e davanti ai suoi occhi: dentro e fuori di sè. E nonostante si desse da fare per rappresentarne di volta in volta in veste diversa, con luci, colori e accessori vari, non poté celare a nessuno la continuità di ciò che identificava come il suo sogno ricorrente: una montagna che, lentamente e in modo inesorabile, si accasciava al suolo, perdendo forza e maestosità, sbiadendo e contraendosi nelle sue parti componenti, raggrumate finalmente in modo spezzato e sfocato...

Cezanne utilizzava i pennelli per parlare col mondo, e per gridare il suo dolore.

Sono insistente ma a ragion veduta, quando torno ancora a ripetere che le immagini, nella loro universalità, dicono noi.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità