Anche il Giappone ama le false piste. La scomparsa misteriosa di Matsumoto Kyoko
Tokyo - Il mattino del 30 maggio il Giappone si è svegliato con una strana ed inquietante notizia proveniente dal Laos. Una fonte non meglio identificata del ministero degli esteri affermava che il figlio di una certa Matsumoto Kyoko, insieme ad altre otto persone, era riuscito a scappare dalla Corea del Nord, passando per territorio cinese fino ad arrivare al confine con il Laos. Tuttavia, nel giro di pochissime ore si sono verificate una serie di conferme e smentite che hanno tenuto molti giapponesi incollati al televisore fino a tarda notte.
La mattina del giorno dopo, il 31, un’agenzia di stampa sud coreana, con prove alla mano, smentisce del tutto la presenza del “figlio della Matsumoto” o di qualche cittadino giapponese tra i nove fuggiaschi, definiti per l'occasione "defettori”(“Dappokusha” ovvero “defettori dai territori del nord”), termine questo che richiama alla memoria una guerra fredda mai del tutto terminata nel continente asiatico.
Ma andiamo per gradi. Perché una notizia del genere, che sembra uscita da una vecchia spy story, è riuscita a far sobbalzare le agenzie di stampa di mezzo Giappone? Ma soprattutto, chi è Matsumoto Kyoko?
Per rispondere a queste domande, bisogna fare un passo indietro e cercare una data in particolare. Il 21 ottobre 1977. In questo giorno infatti, Matsumoto Kyoko (29) dopo essere uscita da casa per recarsi al lavoro, scompare nel nulla. Viene rapita.
Di casi simili e famosi ne esistono tanti anche in Italia (prendete la nostra Emanuela Orlandi) tuttavia, la storia di Kyoko è molto diversa. Diversa, perché rientra in un quadro ben preciso ed in un periodo, quello appunto della guerra fredda, in cui i muri di gomma non solo ostacolavano (e per certi versi continuano a farlo) la ricerca della verità ma a volte, beffandosi della memoria delle stesse vittime, crollavano in certi punti lasciando intravedere alle famiglie “una” certa realtà dei fatti.
Del rapimento di Matsumoto Kyoko, adesso come allora, si conoscono tutti i particolari: viene rapita la mattina del 21 ottobre, narcotizzata ed imbarcata su una nave mercantile che trasportava biciclette battente bandiera nord coreana. Non viene richiesto nessun riscatto.
Il governo ed i media a distanza di anni sono riusciti a ricostruire nei dettagli tutti gli spostamenti della ragazza. Allora, perché Kyoko non ha mai fatto ritorno a casa? Perché il governo non ha mai intavolato delle vere trattative per il suo rilascio?
Il perché forse, andrebbe ricercato nell’aria che si respirava in Asia in quel periodo. La guerra fredda infatti aveva trasformato il Giappone nell’avamposto militare americano in Asia durante (e soprattutto dopo) la guerra di Corea. Un’alleato prezioso in un continente dove il comunismo sembrava un nemico inarrestabile. Negli anni successivi, con il boom economico, il Giappone non divenne soltanto la super potenza economica che tutti conosciamo ma anche un luogo dove il micromondo Asia, costituito da molti stati emergenti, intavolava accordi e risolveva dispute.
Gli autoesclusi rimanevano la Repubbica Popolare Cinese e la Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord). Tuttavia, il grande “leader” e primo despota di Corea, Kim Il Sung, stancatosi dei continui embarghi e della pressoché totale irrilevanza in campo internazionale decise di dar via ad una serie di iniziative, potremmo chimarle anche “missioni segrete” per destabilizzare e terrorizzare il governo di Tokyo. Tali missioni avevano un solo ed unico obbiettivo: rapire semplici cittadini giapponesi. E così fu. Tra il 1967 ed il 1980 infatti, ventidue tra uomini donne (perfino una bambina) vennero rapiti all’interno del Giappone da agenti nord coreani ben addestrati.
Il motivo? Le ipotesi sono tante; utilizzare i poveri malcapitati come insegnanti di lingua giapponese per le reclute del neonato apparato d’intelligence nord coreano; oppure, secondo l’ipotesi più fantasiosa, dopo un lavaggio del cervello fare rientrare farle rientrare come spie dormienti.
Fatto sta che per molti anni si sono intavolate tra Tokyo e Pyongyang finte trattative per rabbonire la sempre più “fastidiosa” associazione familiari vittime (Kazokukai). Soltanto nel 2002, dopo una poco trasparente e lunga trattativa, il governo Koizumi riesce a far tornare cinque dei rapiti, (tutti sequestrati nel luglio del 1978) che tuttora mantengono il totale riserbo sulla loro permanenza forzata in Corea del Nord.
E le altre persone? E Kyoko?
I media ogni anno durante l’anniversario del rapimento della piccola Yokoto Megumi (13), mandano in onda special televisivi sull’argomento. Niente di più.
Secondo alcune fonti Kyoko, dopo essere stata costretta a sposare un funzionario militare nord coreano, sarebbe morta in circostanze mai chiarite. Non esistono nemmeno prove certe che abbia mai avuto un figlio.
Esattamente come in Italia per i casi scomodi, spesso anche in Giappone si cade nella solita spirale fatta di omissioni e mezze verità; nuove piste che guarda caso smentiscono quelle precedenti o che addirittura avvalorerebbero tesi o prove “trascurate” dagli inquirenti. Un gioco al rimpiattino questo, in cui l’uomo comune viene inghiottito per caso senza più poter riemergere.
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