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Anarkikka e Stefania ci raccontano come cambiare il mondo - Educare alle differenze#6

Le giornate di “Educare alle differenze” si avvicinano e noi continuiamo con le interviste a chi, come noi, parteciperà. Conosciamo meglio una illustratrice già parecchio nota, soprattutto sul web. Si tratta di Stefania Spanò, in arte Anarkikka. Con lei cogliamo l’occasione di parlare di comunicazione, satira e femminismo.
 
educare alle differenze
 
 
Come hai iniziato a fare l’illustratrice? Da che esigenza nascono i tuoi lavori?
Ho iniziato da giovanissima, poi ho ripreso quattro anni fa, per caso, con la sola voglia di raccontare quello che sentivo.
 
Come mai Stefania è diventata Anarkikka?
Stefania è diventata Anarkikka a sua insaputa! Probabilmente perchè Anarkikka è il mio modo di comunicare col mondo, il mio bisogno di non tacere, di partecipare, di esserci, con gli strumenti in mio possesso.
 
Come ci descriveresti il tuo personaggio?
Lei è piena di voglia di vivere, piena di energia, a volte arrabbiata, ma senza mai perdere la speranza Ci crede. Sempre, a dispetto di tutto. Crede ancora che possiamo cambiare il mondo. Come me.
 
Oggi che il femminismo ha tanti volti diversi e tante questioni aperte, che femminista è Anarkikka?
E’ difficile incasellare Anarkikka. ci sta un po’ stretta nelle definizioni, di qualsiasi genere. Quindi non so dirti che tipo di femminista sia… potrei provare a dire che tipo di donna è. Curiosa, determinata, rispettosa della propria e altrui libertà, che prova a urlare la propria rabbia per le discriminazioni, le ingiustizie, i diritti negati, la violenza.
Tutte cose che vedono spesso le donne come le più colpite. Anche in Paesi che si considerano civili, come il nostro, dove ancora poche sono le iniziative volte a dare un serio scossone ad una cultura maschilista in cui siamo tutt* immers* e di cui subiamo tutt* le conseguenze, spesso drammatiche.
 
anarkikka 2
 
La comunicazione attenta al genere è molto rara in Italia. Pensiamo anche solo a come vengono riportate le notizie dei femminicidi o di violenza sulle donne. Come pensi si possa migliorare l’approccio dei media alle tematiche di genere?
Bisognerebbe che tutt* ci assumessimo la responsabilità di cambiare il linguaggio utilizzato nel raccontare l’assassinio di una donna! E in questo i media hanno una responsabilità grande. Il linguaggio è parte integrante di ogni cultura, e cambiare linguaggio è la base per il cambiamento. Come raccontiamo le cose, cambia le cose. Le parole hanno un peso. E quando le utilizzano le persone che hanno, o che dovrebbero avere consapevolezza del messaggio, il peso aumenta.
 
Il tuo è anche un lavoro di satira sociale, un genere molto incisivo, ma spesso controverso. La totale assenza di satira in Italia in questo momento è sintomo di un problema comunicativo/politico?
Credo che in italia più che assenza di satira, ci sia assenza di certezze, ma anche di domande, di dubbi. Può sembrare contraddittorio, ma il problema è che c’è un totale sbandamento, e che le piccole certezze che acquisiamo, non siamo disposti a metterle in discussione.
Per fare satira, ironia, bisogna innanzitutto saper accettare i propri limiti, sapendo che questa è la tua forza. Quindi prima che essere un problema politico, è comunicativo. Che poi diventa politico!
 
Quali sono le migliori iniziative comunicative che ricordi degli ultimi anni, sui temi di genere?
Una che ricordo al volo, è un video: “Per il diritto all’indifferenza”. Uno spot contro l’omofobia realizzato dall’Ilga, in portogallo. In generale, però, non ricordo nulla di particolarmente incisivo, anche perché la maggior parte di queste iniziative, passano troppo spesso in silenzio.
 
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Perchè hai deciso di partecipare a “Educare alle differenze”? Cosa ti aspetti da queste due giornate?
Spero che siano un occasione di confronto, quanto più ampio possibile. Educare alle differenze, ma in generale “educare”, è la sola risposta ai molti problemi. E bisogna partire da lì, dai più piccoli, e cominciare a raccontargli storie “differenti”. Perché la storia non è affatto sempre la stessa! Ma tutte le storie hanno pari dignità.
 
Quindi, secondo te, educare alle differenze è educare alla parità e all’uguaglianza?
Come ho detto prima, la storia, le persone, sono tutt* differenti, ma tutt* uguali difronte ai diritti, alla propria libertà. E’ semplice, ma lo si complica.
Perché gli uomini e le donne non temono tanto la libertà degli altri, quanto la propria. E se tu rivendichi la tua, li destabilizzi. Perché essere liberi prevede un grande senso di responsabilità.
 
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