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Algeria al voto tra la conferma del regime e il timore di una "primavera"

Domani in Algeria si tornerà alle urne dopo cinque anni: lo stato nord africano è chiamato a scegliere il proprio presidente, in bilico tra la paura di un ritorno nel caos e nella miseria ed un futuro di modernizzazione. Il paese chiamato a votare è attraversato da tante diverse correnti di pensiero, ha un tasso di disoccupazione da capogiro (30%) e tiene ancora in vigore le norme restrittive, teoricamente provvisorie, istituite per sedare le rivolte tra il 2010 ed il 2012.

La situazione non sembra affatto florida, eppure non c’è affatto suspense riguardo al risultato: a meno di veri e propri cataclismi elettorali, dalla giornata di domani uscirà confermata per la quarta volta la leadership del presidente Abdelaziz Bouteflika, l’uomo che è alla testa del paese da oltre quindici anni. A guardare indietro la sua escalation di consensi nel corso degli anni è così clamorosa e ai limiti del plebiscito da far immediatamente comprendere come, considerando anche le molte traversie che il paese ha affrontato e sta affrontando, la democrazia algerina sia ancora profondamente immatura: Bouteflika venne eletto nel 1999 con il 74% dei voti, confermato nel 2004 con l’85% e poi scelto per la terza volta nel 2009 da oltre il 90% dei cittadini.

Sulla carta quindi non c’è proprio storia: questo personaggio veste ancora gli abiti di salvatore della patria per esser riuscito a riportare una certa pace sociale dopo i sanguinosi conflitti civili degli anni 90. Con una politica moderata ha saputo anche tener testa alle sommosse popolari e giovanili degli scorsi anni, contemporanee alle rivoluzioni che sconvolgevano gli altri stati nordafricani.

Questa volta però le cose sono diverse dal solito: il leader del Fronte Nazionale di Liberazione, classe 37, per ovvi motivi di età non garantisce più una guida sicura e stabile. Le sue apparizioni pubbliche negli ultimi anni si sono fatte sempre più rare, ha evidenti problemi a camminare, la voce si è fatta flebile e insicura. Lo scorso anno Bouteflika è sparito dalla scena pubblica per tre mesi perché ricoverato a Parigi in seguito ad un attacco ischemico. Problematiche che hanno anche costretto a delegare ai suoi collaboratori la campagna elettorale per le presidenziali di domani.

Anche per questi motivi, nel momento in cui ha presentato la sua quarta candidatura consecutiva, sono stati in molti a storcere il naso. In primis, buona parte dei cittadini algerini, che hanno visto tutti i limiti delle condizioni fisiche del presidente in occasione dell’incontro con il segretario di stato americano Kerry. Tuttavia nessuno dubita del risultato finale della tornata elettorale.

Perplessità sono emerse da parte di alcune parti sociali tradizionalmente molto favorevoli a Bouteflika come alcuni graduati dell’esercito. Componente fondamentale nella vita politica algerina, il presidente è riuscito a mettere a capo delle forze armate un uomo di fiducia e a ridurre, attraverso una serie di promozioni, l’influenza dei militari sulla attività governativa e parlamentare. Sul tema Bouteflika aveva dichiarato negli anni scorsi: “Se sono eletto presidente, intendo esserlo di tutto il paese, non di tre quarti”.

E le opposizioni? Di altri candidati ce ne sarebbero pure, ma la maggioranza bulgara nelle mani di Bouteflika lascia loro soltatnto le briciole. A presentare la propria candidatura sono stati in 23, ma in seguito ad alleanze e ripensamenti i nomi rimasti in lizza all’indomani del voto sono solo sei.

Abdelaziz Belaid, con i suoi 50 anni è il più giovane candidato ma non costituisce un volto nuovo nella politica algerina. Si tratta infatti di un fuoriuscito del partito di governo che ha fondato un proprio movimento. Un ex alleato è anche Ali Benfis, secondo con il 6% alle ultime elezioni, ricomparso sulla scena politica nazionale solo negli ultimi mesi. Come alternativa vera e propria ci sarebbe Louisa Hannoune, prima donna algerina a candidarsi alle presidenziali, fiera oppositrice del “regime” e accanita sostenitrice dei diritti delle donne e dei lavoratori. Anche per lei però la prospettiva di un consenso a doppia cifra sembra un miraggio.

Se si vuole cercare un po’ di novità bisogna uscire dagli schemi istituzionali. Di fronte alla prospettiva di un altro quinquennio di stampo conservatore si è venuto a creare spontaneamente Barakat! (Ne abbiamo abbastanza!) un gruppo di protesta perlopiù giovanile e studentesco ancora di modeste dimensioni e senza un’organizzazione ben delineata che tuttavia si è fatto notare per alcune manifestazioni pacifiche nelle città del paese e soprattutto nella capitale Algeri, dove dagli anni delle primavere arabe sono vietate proteste pubbliche. L’accanimento della polizia nei confronti di questo gruppo per evitarne l’espansione è stato probabilmente eccessivo, al punto da sortire l’effetto contrario.

È evidente che in realtà domani non succederà proprio nulla. La maggioranza delle associazioni e dei movimenti islamici ed anche i progressisti che vogliono uno stato laico si trovano in una convergenza del tutto anomala, a predicare come unica via possibile l’astensionismo ed il boicottaggio delle elezioni. Di questo avviso anche i giovani che si rifiutano di prender parte a quella che sentono come una chiamata inutile per confermare ancora una volta la legittimità di quello che ha tutti i tratti di essere un regime.

Fino ad oggi le proteste dei cittadini per la miseria e la disoccupazione (al 30%) che dilaga nel paese sono state tenute a bada dal governo attraverso lo stanziamento in ammortizzatori sociali delle ingenti somme provenienti dalle risorse petrolifere del paese. Nell’ultima finanziaria si è deciso di continuare su questa politica nonostante il crollo del prezzo del petrolio al barile non offra più le coperture finanziarie necessarie. L’impressione è che si stia camminando sulla lama di un coltello, la situazione sembra davvero reggersi su un equilibrio precario.

Ad opporsi nella vita politica algerina a partire da domani saranno un governo personificato da un vecchio eroe nazionale - che, per motivi di salute, viene manovrato da personaggi alle sue spalle - ed il malessere della società algerina, sempre più lontana dalle sue istituzioni. Trattandosi di un paese in un’area geopolitica in perenne subbuglio (sono passati poco più di 50 anni dalla sanguinoisa indipendenza dalla Francia e restano ancora aperte le ferite della una guerra civile degli anni '90) tutte le potenze occidentali augurano lunga vita e prosperiità a Bouteflika, nel timore che il caos possa impadronirsi anche di Algeri.

 

Foto: Wikicommons - Lesnouveautes -Instagram

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