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Agenzia Europea del Farmaco a Milano: la contesa, saremo mica all’Eurovision?

Politico.eu ha di recente pubblicato una ricognizione delle candidature che ben 19 Stati sui 27 dell’Unione hanno presentato per ospitare l’Agenzia Europea del Farmaco - che, salvo ripensamenti sulla Brexit, dovrebbe traslocare entro marzo 2019.

Secondo l’analisi di Politico.eu, 9 Paesi sono “concretamente impegnati” a costruire una solida candidatura che possa aggiudicarsi l’ambìto premio (fondi e indotto -notevole- generati dal lavoro di un migliaio di nuovi residenti altamente qualificati). Scarterò per il momento le voci che vorrebbero il blocco ad est in accordi con la Germania per sostenere l’improbabile cittadina slovacca di Bratislava (che Politico, infatti, dà soltanto per “moderatamente impegnata” nella corsa).

Vorrei concentrarmi invece su alcuni punti di forza e debolezza dei 9 “seriamente impegnati”, partendo dai criteri chiave approvati dagli Stati membri lo scorso ottobre:

  • Avere una struttura adatta e pronta per il trasloco dell’agenzia così da non interromperne l’attività, capace anche di ospitarne l’archivio-monstre;
  • Garantire un migliaio di alloggi di qualità per impiegati e famiglie dell’agenzia e
  • Scuole internazionali per gli oltre 600 figli di queste;
  • Avere infrastrutture e collegamenti internazionali adeguati e
  • Garantire 30.000 notti d’albergo l’anno per la normale attività dell’agenzia.

A questi si aggiungerebbe il principio della “distribuzione geografica” delle “nuove agenzie” UE. Tuttavia, Junker, Presidente della Commissione (e volpone politico), forse per non affossare il Lussemburgo natìo (in gara per l’autorità bancaria), si è affrettato a sottolineare che qui si tratta del trasferimento di agenzie vecchie e non nuove, pertanto il criterio non rileva.

Ebbene, delle 9 candidature “serie”, quattro – Francia (con Lille), Belgio (con Bruxelles), Olanda (con Amsterdam) e Irlanda (con Dublino) –, ad oggi non hanno a disposizione una sede per l’agenzia (per inciso: nemmeno la slovacca Bratislava). Questo vuol dire che dovrebbero costruirne una tra l’aggiudicazione (ottobre 2017) e l’inizio delle operazioni (intorno a dicembre 2018). Auguri! Inoltre, i collegamenti internazionali di Lille e Dublino sono modesti: la prima, sia pure ben collegata con Parigi e Bruxelles, si può dire che non abbia aeroporto; la seconda, beh… viaggiare low cost non è il passatempo preferito dei professionisti.

La Spagna, con Barcellona, offre una torre moderna e prestigiosa, clima mite e qualità di vita mediterranea in una città di respiro internazionale con buoni collegamenti. Il fatto di essere nell’indipendentista Catalogna, tuttavia, potrebbe essere percepito come un problema (l’idea di un secondo trasloco dell’agenzia al prossimo mal di pancia dei catalani fa storcere il naso), così come l’occasionale astio dei locali per chi non mastica l’idioma del luogo. Inoltre, nel contesto spagnolo, la ricca Barcellona ha già molto (e ciò è inviso al resto degli spagnoli), senza contare che la Spagna già ospita cinque autorità dell’Unione.

L’Austria di palazzi pare averne messi a disposizione addirittura otto. Sulla carta, Vienna è una candidatura forte. Eppure, l’area urbana della città, che già ospita numerosissime agenzie internazionali, conta il 30% della popolazione e della ricchezza dell’intero paese (più del doppio, per esempio, di Francia o Regno Unito, già assai sproporzionate). Insomma, il troppo stroppia, per una capitale già sovradimensionata (sia pur per ragioni storiche) rispetto al paese che governa. Senza contare che la candidatura è politicamente isolata, tra l’incudine di quelle dei paesi ad est ed il martello di quella tedesca.

La Danimarca (con Copenaghen) e, soprattutto, la Svezia (con Stoccolma) sono candidature molto forti: alta qualità di vita, inglese parlato da tutti, buoni collegamenti internazionali. Tuttavia, al di là del clima (bruttino), è il grande benessere di questi paesi a costituire anche la loro debolezza: se già l’autorità bancaria europea è destinata a qualche paese del ricchissimo Nord Europa, come giustificare al meno sviluppato Est ed al Sud piegato dalla crisi la scelta di tenersi anche quella del farmaco? Ciò vale anche per Amsterdam.

L’Italia propone, con Milano, una candidatura forte, per il momento presentata pure bene (vedi il video di presentazione, molto buono, al di là di alcuni opportunistici eccessi -ma chi non li commette, in queste cose!- e di quell’accento così British “bella figura” che finisce col cadere nel provinciale). Milano offre il Pirellone (bello ma non nuovissimo – è del ’58), ottimi collegamenti aeroportuali e ferroviari, alta qualità di vita mediterranea in una città efficiente, circondata da splendidi laghi, montagne e, poco più in là, mare. Scuole, alloggi e hotel non sono un problema, per un’area metropolitana che passa i sette milioni di persone. Aiuta anche che l’industria farmaceutica italiana è seconda, in Europa, solo alla Germania. Tutto rose e fiori? Neanche per idea: si parla poco del fatto che Milano (con la Lombardia) negli anni è scivolata in quasi tutte le graduatorie di competitività, ricchezza e benessere in Europa (anche per colpa della crisi 2008-2015: mode e saloni non bastano, mentre l’Expo e la costruzione delle nuove torri hanno solo tamponato l’emorragia). Lo stallo della principale area economica della seconda industria d’Europa (l’Italia) dovrebbe essere giocato come atout della candidatura nel suo complesso, ciò che la differenzia dalle Amsterdam, Copenaghen, Stoccolma o Vienna (già ricchissime) ma anche Barcellona (che nello stesso periodo è cresciuta molto più di Milano).

L'Italia, piegata da una lunga tempesta economico-finanziaria che certo non ha contribuito ad innescare e che ospita solo due agenzie europee (la Francia quattro, la Germania, per ora, tre), dovrebbe farsi forte della massa di contributi versati ogni anno per il funzionamento dell’Unione, ricordare a francesi e tedeschi i 40 miliardi che ha accettato di sborsare soltanto due anni fa per salvare le loro banche (messe in crisi dai loro stessi acquisti di debito greco), e convogliare voti su Milano (anche come “seconda scelta”, possibile nel voto segreto di ottobre) senza dare per scontati quelli dei paesi mediterranei (che, comunque, non bastano). Tuttavia, come osservato di recente da Galli della Loggia, l’Italia appare oggi politicamente isolata in Europa. I -notevoli- 50 milioni messi a disposizione dal governo all’ottimo Moavero Milanesi (incaricato di promuovere la candidatura di Milano all'estero) potrebbero non essere sufficienti. Perché le considerazioni tecniche, in queste scelte, spesso non sono decisive. Eurovision docet.

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