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Adeguarsi alla realtà di economie in guerra

La prospettiva di una nuova guerra fredda e prezzi delle materie prime destinati a rimanere proibitivamente elevati, richiederà onerosi adattamenti

Nella devastazione che ogni guerra porta con sé, non si possono scordare gli aspetti economici e il loro impatto sulla vita delle persone. Il fatto che a essere coinvolta e sanzionata sia una potenza nucleare esportatrice di materie prime rende il quadro ancora più fosco, in quello che promette di essere un periodo non breve molto difficile per il pianeta, dopo una pandemia che per ora sta dando tregua.

Non serve essere analisti di geopolitica per comprendere che sin qui abbiamo vissuto su “confortevoli” autoinganni. Ad esempio, abbiamo creduto alla possibilità non tanto di uscire indenni dalle sanzioni ma almeno di ridurne gli effetti collaterali a nostro danno. Purtroppo, la realtà ha rapidamente rifiutato di conformarsi ai nostri desideri.

Incoerenze temporali

Altra fallacia demolita a tempo di record è quella dei “contabili” energetici, quelli che si sono messi di buzzo buono a fare il calcolo di quanto possiamo mobilitare per sostituire le importazioni russe di gas, e oggi anche petrolio. Un pizzichino di LNG qui, qualche centrale a carbone là da riaccendere, il riavvio di esplorazioni sul territorio nazionale, messe in sonno da anni, e il gioco è fatto. Anzi, no.

C’è una tragica incoerenza temporale nel processo di sostituzione dei fornitori energetici. Ora lo scopriamo sulla nostra pelle e nelle nostre tasche. Ma non tutti lo hanno scoperto, si direbbe. Ad esempio, non lo hanno scoperto due esponenti di tribù avversarie: quelli che “presto, più rinnovabili, ora”, e quelli che “presto, più nucleare, subito”.

C’è anche una fallacia per così dire dimensionale, in tutto questo contesto. L’esempio più eclatante è quello della piccola Danimarca, la cui generazione è in prevalenza a carbone, e che ha deciso di chiudere col gas russo. Sarà relativamente semplice: ci penseranno soprattutto le forniture dalla Norvegia. Altri paesi non hanno la massa -ridotta- per ipotizzare mosse simili.

Italia e Germania le più vulnerabili

Chi resterà tragicamente nudo saranno due pesi massimi dell’economia europea, Germania e Italia. Quello che verrà recuperato da fornitori alternativi rischia di essere polverizzato dal feroce aumento dei prezzi del gas e del greggio, anche dopo che gli Stati Uniti hanno deciso di tentare di ratificare nella forma il dato di sostanza, e cioè che l’export via mare di greggio russo (i due terzi circa del totale) è già di fatto paralizzato.

Anche qui, la fallacia temporale di pensare di poter sostituire senza troppa sofferenza la produzione russa, si scontra con la realtà. Che poi si cerchi di creare una fast track per il ritorno sul mercato del greggio iraniano (Mosca permettendo) o, addirittura, quello venezuelano di Nicolas Maduro, non fa che mostrare l’aspetto beffardo della situazione.

Poi c’è l’aspetto “ambientale” del discorso. Ad esempio, la criticità estrema di sanzionare i grandi produttori russi di metalli e alluminio. Inclusi quei metalli che, per ironia della sorte, sono fonti non rinnovabili prodotte in modo “sporco” ma senza i quali la transizione ecologica finisce nella discarica della storia, con buona pace di improbabili lavagne dove annotare buoni e cattivi.

Non far passeggiare per l’Europa gli stivali russi

Sul campo, la Russia prosegue nella sua strategia ceceno-siriana di distruzione. Chi in buona fede vorrebbe che tutto finisse rapidamente, per risparmiare la perdita di vite umane, deve porsi la domanda di cosa accadrebbe se la Russia venisse lasciata libera di passeggiare per l’Europa in questo modo.

L’obiettivo non sarebbe necessariamente quello di riprendersi i paesi ex Patto di Varsavia ma almeno infliggere loro gravi danni, ad esempio attraverso emigrazioni di massa o provocazioni interne ai paesi con comunità russofone, come i baltici. Un costoso logoramento che aumenta il rischio di escalation con coinvolgimento diretto della NATO.

Che la situazione sia a somma fortemente negativa è un dato di fatto. La Russia subirà un crollo economico di portata simile a un evento bellico, l’Europa verrà colpita pesantemente. La domanda resta la stessa: chi resisterà di più? Quanto e come la popolazione russa resterà aggrappata a suggestioni nazionalistiche e vittimistiche, tali da giustificare una crescente repressione del dissenso interno?

Il rialzo esplosivo delle materie prime agricole rischia poi di innescare rivolte e, soprattutto, enormi flussi migratori verso l’Occidente, o meglio l’Europa. Probabile che Putin sia consapevole anche di questa leva strategica a sua disposizione.

Ue, tra patto di stabilità e PNRR

In questo scenario avverso, in Europa ci sono altre due criticità, per molti aspetti interconnesse. Come gestire l’uscita dall’emergenza economica pandemica, e che fare col PNRR. Nel primo caso, pare scontato un rinvio della normalizzazione e la sostituzione dell’emergenza pandemica con quella bellica. Ma questo vale per il rinvio del ripristino del patto di stabilità di crescita, al momento non ancora per la decisione di altro indebitamento comune.

Sul patto di stabilità e crescita e sulla sua ristrutturazione, come noto, era in corso il dibattito, un filo surreale e altrettanto stucchevole, su quali spese esonerare dalle metriche di deficit. Il candidato “naturale” erano gli investimenti ambientali, pur con tutte le riserve dei paesi fiscalmente virtuosi, oltre che del senso comune. Ora si inizia già a leggere dell’esclusione degli investimenti nella difesa. Ci sarebbe da sorridere, se la situazione non fosse tragica.

Riguardo al PNRR, a oggi mi pare evidente che lo status quo sia insostenibile. Nel senso che i piani di spesa sono saltati o sarebbero massacrati dall’esplosione dei costi. Quindi forse serve una approfondita riflessione su tempi e modi del piano. Altrimenti si finirà contro un muro e avremo dilapidato un patrimonio di credibilità prima che di denaro.

Ultimo punto di queste riflessioni in ordine sparso: quale è la soglia di prezzo delle materie prime che innesca distruzione della domanda? Lo scopriremo tra non molto, temo. Quello che al momento pare difficilmente evitabile è il razionamento energetico nei paesi più vulnerabili. Servirà protezione sociale in relazione a questo, oltre che sullo shock stagflazionistico che oggi sembra difficilmente evitabile.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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