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Abruzzo: la psiche degli sfollati fra il terrore del “prima” e “dopo”

Relativamente all’Abruzzo, c’è una tematica di cui nessuno ha mai parlato. E’ l’aspetto psicologico dei terremotati. Circa settantamila persone che, da quel sei Aprile hanno subito gli strappi strutturali, fisici e dell’anima concentrati su un livello di paura estrema che non trova quiete.
 
 
Relativamente all’Abruzzo, c’è una tematica di cui nessuno ha mai parlato. E’ l’aspetto psicologico dei terremotati. Circa settantamila persone che, da quel sei Aprile hanno subito gli strappi strutturali, fisici e dell’anima concentrati su un livello di paura estrema che non trova quiete.
 
Il terrore della morte. Il terrore della scossa. Il terrore che entra nelle vene e passa per tutte le cellule senza più fermarsi ne fuoriuscire. Il terrore. Allo stato puro. Per un qualcosa che non si può controllare ne arginare ne tanto meno prevedere ancora.
Ed è un terrore che non può finire, in quanto la terra non si è più fermata. Alla scossa tremenda ed omicida si sono susseguite e continuano a perpetuarsi altre scosse. Quotidianamente. Come poter quindi dimenticare? Cancellare l’orrore? Il senso di paura estrema?
 
Il terreno che crolla letteralmente sotto i piedi. E le macerie sopra le teste ed i corpi frantumati sotto il peso del sisma. Qualcosa che non può esser messo da parte. Minimizzato. Metabolizzato. Oltretutto, la condizione di sfollato, la cessazione in molti casi dello stato lavorativo, le lunghe giornate passate nelle tendopoli, in condizioni spesso disagiate, non aiutano nessuno ad iniziare un processo di ristabilimento psicologico. Tutto sembra remare contro un ritorno alla normalità mentale.
 
La vita in tenda, perpetua i ricordi. Di case sfasciate. Di gente scomparsa. Di agonia e perdita di qualsiasi punto di riferimento così necessario all’Essere Umano per poter continuare a vivere. Ci sono persone che non dormono di notte pur vivendo in tenda. Altre, ospitate nelle strutture alberghiere – ancora per poco peraltro, vista la messa in opera del Decreto case per l’Abruzzo – tengono le porte delle camere aperte, dormono con un occhio aperto e la mente continuamente all’erta quasi a voler controllare ogni più piccolo rumore anomalo, pronti per fuggire.
 
Tanti, non hanno più avuto il coraggio di tornare una sola volta nelle case, nemmeno in quelle meno danneggiate. Dalla paura non si può scappare. Specialmente se si continua a vivere nello stesso territorio che ci ha traditi e che continua a far sentire la propria energia dal sottosuolo.
 
Nelle tendopoli alcuni staff di psicologi prestano le loro consulenze. L’organizzazione internazionale Medici Senza Frontiere è scesa in campo fin da subito, con i suoi medici e gli psicologi, a tentare di supportare per quanto possibile la situazione. La gente parla di se e delle sue paure. Si confronta con gli altri sfollati. Emergono ferite su ferite, tormenti dell’anima, immagini che la mente non riesce a cancellare.
 
L’agonia si perpetua. Nessuno è più lo stesso di quel prima che sembra già così lontano. Nessuno tornerà ad essere la stessa persona. Ora c’è un “prima” ed un “dopo”. Sarà così per sempre. Non servirà parlare. Appoggiarsi a qualcuno. Non sarà possibile lavare via la paura e tornare a vivere come sempre. E’ accaduto ed è stato troppo terribile. Ci sono pensieri e sensazioni che non passano, specialmente quando coinvolgono nello stesso tema tante persone. Che sono li, a guardarsi e ricordare tutti insieme gli stessi ricordi. Non aiuterà nessuno a recuperare del tutto, perché ognuno dei 70.000 sfollati è testimone e vittima della stessa sciagura.
 
Forse, se la terra si fosse acquietata, il recupero mentale sarebbe potuto un giorno avvenire. Ma l’Abruzzo è territorio di fermenti sismici da sempre. E piuttosto che rientrare la fase di assestamento sembra non avere controllo alcuno. La dignità perplessa di questa gente, non ha ancora sortito grandi urla e gesti di disperazione e malcontento. Forse, un urlo globale potrebbe far fuoriuscire quel male appiccicoso che ha reso tutti virulenti e malati di disperazione.
 
Un urlo che possa far tornare una nuova voglia di esistere ancora. Per non morire ancora ogni giorno.

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