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A Ballarò D’Alema urla ma non convince

ll giornalista persegue la solita filosofia, sua e de Il Giornale. Non sputare nel piatto del PDL se ci mangi o se ci hai mangiato.

A Ballarò D'Alema urla ma non convince

 

Nella sua famosa trappola a Ballarò ci è appena finito Massimo D’Alema: ecco che mentre tutti, innocentisti e colpevolisti, razzolano nel fango gettato contro il dimissionario Ministro Scajola, il giornalista Sallusti fa quadrato attorno all’ex Ministro e attacca il leader baffuto del PD.

"Il moralismo del Presidente D’Alema sulla casa, che è stato il protagonista del più grande scandalo della casta italiana che era Affittopoli è inaccettabile. Scajola si era dimenticato o non si era accorto che qualcuno ha pagato per lui, lei non si era accorto che pagava un decimo del valore d’affitto", incalza il giornalista.

Fulmini e saette.
Il conte Max perde le staffe.
 
In quel "Vada a farsi fottere" vi è tutta l’arguzia sbiadita della vecchia lince dalla risposta sempre pronta. Si arrabbia, si inalbera, si altera, inveisce contro il giornalista... ma non convince.
 
Non convince perché in seguito alla campagna mediatica di quell’inchiesta del 1995 de Il Giornale, Massimo D’Alema veramente lasciò quella casa. All’epoca era segretario nazionale del PDS, e nonostante facesse politica da più di vent’anni, sembra che abitasse in una casa di un ente previdenziale pagando un "equo canone", ossia un affitto stabilito dalla legge.

"L’accostamento è del tutto improprio!" Urla Baffo di Ferro. "Gli operai del suo partito pagavano tre volte tanto quanto pagava lei" ribadisce il giornalista.



Prima di tutto bisogna dare atto al giornalista che l’accostamento non sia per nulla improprio: se Scajola non è ancora indagato, e la sua questione è puramente etico-morale, lo era anche quella di D’Alema.

Perché se pagare una casa ad un ministro è tra le righe il più classico tentativo per corromperlo, è anche vero che un parlamentare che vive nella casa di un ente previdenziale pagando un equo canone, è il più classico inciucio ipocrita all’italiana.
 
Ma D’Alema invece che fa. Non ammette umilmente gli errori del passato, ma ricorda che ciò che faceva non era illegale ed ebbe "gratuitamente" la sensibilità di lasciare quella casa.
 
Poi urla contro Sallusti, "gli manderanno qualche signorina" dice.

"Le Signorine le usavano i suoi uomini in Puglia per corrompere i funzionari" ribatte il giornalista. Boom! Seconda batosta. D’Alema continua ad inveire contro il giornalista puntando il dito e ricordandogli il suo datore di lavoro, "quello che lo paga per fare quelle scene".

La vecchia volpe baffuta urla ma non si accorge che è sola. Ha perso lo smalto dei tempi d’oro, è troppo evidente, ora è zoppa. Non ha più ragione d’esistere, come le sue idee, le sue accuse e le sue invettive.
 
Ieri chi ha potuto vedere la puntata di Ballarò ha potuto capire cosa significano vent’anni di inciuci ad castam, vent’anni ignorando una solida legge sul conflitto d’interessi, vent’anni mangiando e vomitando sempre nello stesso piatto.

Forse la Sinistra non è mai stato il suo piatto forte, ma il buon vecchio Fox D’Alema ieri non si è accorto che forse alla sua di Sinistra c’era la risposta giusta ai tanti perchè irrisolti del Paese.

C’è Matteo Renzi, il 35enne sindaco di Firenze che indossa la sua stessa casacca, che, forse. tra venti-trenta anni magari diventerà ancora peggio di lui, ma che oggi fa paura.

Fa paura perché la naturale impressione è che quel giovincello, che ieri si accontentava ancora di fargli da spalla, difficilmente, nel partito dell’antiquariato, possa finalmente puzzare di nuovo.

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