Edizione 273 del 19-12-2006
Politica energetica, la strategia che non c’è
di
Dopo 17 mesi di "esilio" al ministero dei Trasporti e della Navigazione, Pierluigi Bersani è ricomparso, sette anni dopo, come ministro allo Sviluppo, già Industria, nel secondo governo Prodi. Il suo ritorno al Dicastero non gli ha consentito di ottenere l’auspicata riduzione delle nostre bollette elettriche, le più alte in Europa. Al contrario, tra lo "smantellamento accelerato" delle centrali nucleari dismesse di Caorso e Trino Vercellese, liberalizzazioni a 360 gradi, peraltro con discutibile successo, l’entusiasmo per il tutto a gas e i rigassificatori, l’invio in Francia di 235 tonnellate di combustibile nucleare, non ha indovinato una sola iniziativa! Sette anni fa, il 14 dicembre 1999, allora ministro all’Industria nel primo Governo D’Alema, Pierluigi Bersani, in una conferenza stampa, annunciava alcune decisioni, gratuite e sorprendenti:
- che l’Italia, dopo aver intrapreso negli anni passati un impegnativo programma nucleare, ha deciso di interromperlo e non più proseguirlo (decisione che non risulta affatto presa);
che l’obiettivo da perseguire è quello della disattivazione accelerata di tutti gli impianti nucleari dismessi, saltando la messa in custodia protettiva passiva in base al principio etico di non trasferire sulle future generazioni gli effetti delle onerose scelte effettuate;
- che per reperire i fondi necessari, indicati in 7000 miliardi in 20 anni, si attingerà a "due salvadanai", lo specifico fondo accantonato dall’Enel di 1300 miliardi e il sovrapprezzo, che secondo il ministro Bersani sarà nell’ordine di una lira per kWh (con il 5/6% dell’importo complessivo, le due centrali potrebbero essere riavviate). Affermazioni sorprendenti per gli oneri inutili e rilevanti che ne deriverebbero: ove l’importo di 7500 miliardi dovesse, come probabile, essere scaricato essenzialmente sulla utenza domestica (60 TWh/anno) esonerando i grandi consumatori e la fascia sociale, l’aumento della bolletta sarebbe più vicino a 10 lire che a una lira per kWh. E le nostre tariffe sono già doppie di quelle di altri Paesi europei. Una decisione, quella del ministro Bersani, contraria alla normale prassi internazionale - generalmente si attendono 50 o più anni, in contrasto con precedenti deliberazioni del Parlamento (moratoria di 5 anni) e del Governo (messa in custodia protettiva passiva), comportante maggiori dosi di radiazione al personale, inutilmente costosa (7500 miliardi delle vecchie lire secondo lo stesso ministro Bersani), impossibile da eseguire in assenza della identificazione del sito nazionale in cui sistemare le scorie radioattive, ma soprattutto illegittima in assenza di preventiva autorizzazione formale.
Il famigerato decreto Letta dell’8 maggio 2001 è stato emanato, infatti, 18 mesi dopo l’inizio delle vandaliche attività di smantellamento, fortunatamente limitate alla sola parte convenzionale. La spesa per il riavvio può essere stimata in 200 milioni di Euro e l’energia elettrica prodotta, sufficiente ad alimentare la città di Milano e le industrie siderurgiche del Bresciano, verrebbe generata ad un costo di un centesimo di Euro per kWh, quando a noi costa 10 o 12 volte tanto produrla con gas od olio combustibile. Non è assolutamente vero, come erroneamente si dice, che il referendum del 1987 impedisce di tornare al nucleare nella generazione elettrica del nostro Paese, che si sono perse le competenze, che occorrerebbero 20 o più anni, che il nucleare è una tecnologia costosa e obsoleta o che non sia possibile riavviare dopo molti anni, le centrali nucleari dismesse, ma ancora agibili di Caorso e Trino Vercellese. E’ stato fatto anche in altri Paesi (es. Browns Ferry negli Usa, fermata dodici anni fa per un incendio e Medzamor, in Armenia, fermata dieci anni fa per un terremoto) di riavviare centrali nucleari dopo molti anni.
A Caorso e Trino Vercellese non ci sono stati né incendi né terremoti, anzi, ai sensi della delibera CIPE del 26 luglio 1990, VII governo Andreotti, sono state tenute in "custodia protettiva
passiva", cioè in buona manutenzione, per circa dieci anni. Ma chi avrebbe deciso l’uscita dell’Italia dal nucleare? E chi ha autorizzato l’inutile spesa? A conferma della situazione kafkiana in cui si assumono decisioni di spesa rilevanti, non autorizzate, inutili e tecnicamente errate, citiamo il fatto che per iniziativa di alcuni Senatori della Cdl (Baldini, Basini e altri) in data 5 gennaio 2000 veniva presentato al Parlamento un disegno di legge (n.3735) per "la messa in servizio delle centrali di Caorso e di Trino Vercellese" e che il successivo decreto interministeriale Industria/ Tesoro fa riferimento agli oneri per la disattivazione delle centrali nucleari senza peraltro indicarne tempi e modalità. Per una legge, dice la nostra Costituzione, occorre la copertura finanziaria. Qui non c’è la legge e neppure la copertura finanziaria, che dovrebbe essere assunta dagli utenti. E cosa ne pensano l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas e la Corte dei Conti? Che cosa ne pensano soprattutto i cittadini? Dopo la illusione della "nuova era" a bassi prezzi del petrolio di fine anni ’90 – eravamo allora reduci da un periodo eccezionale e fortunato durato oltre un anno (da gennaio ‘98 a marzo ’99) di petrolio a bassi prezzi e quella sull’ottimismo sulle risorse – "di gas ne abbiamo tanto che non si sa neppure dove metterlo" (Mincato), "il mondo continua a galleggiare nel petrolio" (Maugeri) – è subentrata la nuova illusione con l’improbabile fiducia nei benefici conseguibili attraverso il completamento del processo di liberalizzazioni e privatizzazioni.
Quello che si dimentica è che negli ultimi anni c’è stato un drammatico cambiamento nel settore energetico mondiale: ci sono state guerre (Cecenia e Iraq) per il controllo e/o il possesso delle fonti energetiche, il prezzo del barile di petrolio è schizzato da 10 a 70$, quello del gas da 2 a 14 $/MBTU, e noi, che nella generazione elettrica siamo eccessivamente "idrocarburi dipendenti" (80% contro una media Ue del 20%), ne subiamo le peggiori conseguenze. Esistono, infatti, diversi settori industriali nei quali l’incidenza del prezzo dell’energia elettrica sul prodotto finito non è affatto trascurabile, dalla siderurgia al tessile, dalla ceramica al vetro, dalla carta alla plastica, l’incidenza del costo della elettricità sul prezzo del prodotto finito può andare dal 30 al 50%. In questa situazione le nostre imprese difficilmente possono competere. Dopo un esilio temporaneo al ministero dei Trasporti e Navigazione, nei governi D’Alema 2 e Amato 2 (dal 23.12.99 al 10.06.01), Bersani rientrato al ministero Industria, ora denominato dello Sviluppo Economico, 7 anni dopo con il governo Prodi 2, lancia un grande piano di liberalizzazioni a 360 gradi, facendo infuriare tassisti, farmacisti, avvocati, commercianti e baristi.
Al Convegno dei giovani imprenditori di Confindustria, svoltosi a Santa Margherita Ligure il 10 giugno 2006, il ministro Bersani annuncia che "sarà presto definito un piano con gli strumenti di politica industriale". E poi, altro tema caro agli imprenditori, "ci sarà qualcosa anche sulle liberalizzazioni" promette il ministro. Entrando nel dettaglio gli obiettivi del "pacchetto energia", il ministro afferma che si vuole completare il processo di liberalizzazione del mercato, aumentare la concorrenza e, in prospettiva, ridurre i prezzi per famiglie e imprese; garantire maggiore sicurezza sul fronte dell’approvvigionamento; rilanciare il risparmio, l’efficienza e le fonti di energia rinnovabili. Ma come si fa a sostenere che le liberalizzazioni del settore energetico possano consentire la riduzione delle nostre bollette elettriche ? Dispiace che molti, da Prodi a Montezemolo, da Monti a Catricalà, da Ortis a Bersani, siano convinti che liberalizzando e privatizzando il settore energetico si potranno ridurre le bollette di elettricità e gas. Sorprende e meraviglia che anche il professor Mario Monti, già Commissario europeo per la concorrenza, nell’editoriale pubblicato domenica 12 novembre su "Il Corriere della Sera", copra di elogi il programma sulle liberalizzazioni, arrivando a definire la rifondazione comunista: "una meta legittima, che può anche essere considerata nobile".
Ma quale mercato e quale concorrenza possono esservi quando, come nel nostro Paese, il costo di generazione dell’energia termoelettrica dipende per l’80 per cento dal costo di degli idrocarburi, il cui prezzo soggetto a "cartello" e non a "mercato" non è contendibile? E quale affidabilità ci può essere quando gli operatori privati, non avendo certezza sul numero dei clienti a cui vendere l’energia, non sono indotti a fare investimenti? Non é possibile! Il mercato e la concorrenza non si addicono al settore elettrico: le liberalizzazioni non bastano, non servono, possono anzi essere controproducenti, come è accaduto in California nel 2000/2001. Non a caso il ministro dell’Economia francese Laurent Fabius dice: "Molte privatizzazioni di aziende pubbliche e molte aperture del mercato in Europa, sono state fatte senza tenere in debito conto la clientela, tanto che sovente le tariffe e le bollette sono aumentate". E, come diceva Luigi Einaudi: "La gestione da parte dello Stato dei servizi pubblici assicura risultati che non si possono sempre concretare in moneta, ma sono vantaggi indiscutibili per la civiltà delle nazioni".
(1 - continua)
Paolo Fornaciari