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Fargo, la serie

«Questa è una storia vera. I fatti raccontati sono avvenuti in Minnesota nel 2006. Come richiesto da chi è sopravvissuto, i nomi sono stati modificati. Per rispetto verso le vittime, il resto è stato raccontato esattamente come è accaduto».

Fargo (non il film del 1996 dei Cohen, ma il telefilm da loro prodotto) è stato giustamente definito «non una serie, ma un film di 10 ore» dal suo ideatore, Noah Hawley. 10 puntate da 53 minuti circa che, lo dico subito, vale la pena vedere.

I riferimenti a Fargo (il film), oltre al nome, sono infiniti, ma la storia è leggermente diversa: un marito (Lester Nygaard, interpretato da Martin Freeman) che uccide la moglie dopo aver conosciuto un sicario, Lorne Malvo/ Billy Bob Thornton, che si offre di uccidere – in maniera disinteressata, senza che se ne capisca il perché – il bullo che lo maltrattava al liceo. Gran parte della riuscita della serie è dovuto proprio a Thornton: ghigno diabolico e sorriso rassicurante, toni pacati e una frangetta da nerd che decisamente non gli dona. 

La messa in scena dei crimini, il cambio vita e carattere di Lester, l'intreccio con la mafia di Fargo; molti (troppi) morti in un paesino della provincia. Una detective, Allison Tolman, molto più in gamba della media del suo commissariato (non abituato a gestire dei veri casi) che da sola porta avanti un'indagine che condurrà a Malvo, il sicario di cui sopra. In mezzo c'è un poliziotto/postino (Gus Grimly/Colin Hanks, il figlio di Tom Hanks), che diventerà marito di lei, e la storia dalle implicazioni bibliche di un magnate della frutta tropicale (Oliver Platt, già in West Wing, The Big C, X Men l'inizio...).

Fargo, trasmessa dalla Fox tra aprile e metà giugno ha come protagonista (come già il film) il Minnesota e l'inverno: la neve e le tempeste, il bianco accecante e i viaggi in auto. Anche qui ci viene detto che la storia è vera, ma non lo è. 

Alla critica Fargo è piaciuta. La Critics' Choice Television Award il 19 giugno scorso le ha assegnato tre premi: miglior mini-serie, miglior attore protagonista a Billy Bob Thornton e migliore attrice non protagonista ad Allison Tolman. Inoltre è stato nominato per i Television Critics Awards, evento organizzato dall'associazione dei Critici Americani, i cui vincitori verranno annucciati il 19 luglio. 

Come per True Detective, anche Fargo è il tentativo – molto più riuscito del primo, a mio avviso – di creare un prodotto ibrido tra le grandi serie degli anni Novanta/Duemila (The Wire, I Soprano... ) che abbia presa sia sul grande pubblico, sia sugli appassionati di genere. Un grande cast, una regia di tutto rispetto, musiche e fotografia impeccabili: un prodotto perfettamente confezionato che ammicca un po' a tutti, con storie abbastanza interessanti (dialoghi curati, citazioni, humour) per piacere agli amanti del genere, ma non troppo di nicchia per essere schifato dai grandi numeri.

La prima puntanta di Fargo è stata vista da 2,7 milioni di persone e la serie è costata tra i 10 e i 20 milioni di dollari. 

Ma Fargo la serie non è Fargo il film. Non aspettatevi l'altezza, il vuoto e lo strazio dei fratelli Cohen; quelli non ci sono. C'è il senso dell'umorismo e ci sono tanti bravi, ottimi, attori. Ci sono dei bei personaggi – molti e, se non del tutto, decentemente esplorati da potercisi quasi affezionare – c'è una storia abbastanza interessate, c'è il sarcasmo e un po' di gore.

Fargo (il film) è arte perché parla di umano, perché ha uno sguardo sulla profondità e sul nero dell'animo. Fargo (la serie) è un ottimo prodotto: fatto con grandi attese ed entusiasmo probabilmente, ma senza il guizzo che ci va insieme e che è presente invece in alcune delle "grandi" serie. Non c'è la voglia di critica e rinascita di The Wire, non c'è il racconto dell'emancipazione che c'è in Buffy, non c'è la tragedia umana dei Soprano

Dice Noah Hawley parlando della seconda stagione di prossima realizzazione: «(...) Mi piace l'idea di andare a formare un grande libro intitolato “La vera storia del crimine nel Midwest”», di cui la prima stagione di Fargo è un capitolo. Ecco, forse no, questo è improbabile: Fargo (la serie) non è in grado di essere un affresco di un'epoca, di una tendenza, di un'umanità, come invece Fargo (il film), o come le serie che ho elencato prima.

Emily Nussbaum sul New Yorker ci dice, parlando della serie: «I complotti sono stati estesi per rientrare nei bisogni di una serie, come una tavola che viene allungata per fare spazio a nuovi ospiti. Tutto è stato raddoppiato».

Ed è stato raddoppiato bene: perché la serie regge sotto tutti i punti di vista ma, come continua la Nussbaum, «se il film era (tra l'altro, ndr) una riflessione sulla stupidità della violenza, la serie ci dà qualcosa di più familiare: un insieme di persone buone e intelligenti che insegue un insieme di persone cattive e intelligenti». Fargo, la serie, è un bel prodotto televisivo, anche intelligente. Ma non ha poesia, se è la poesia che vogliamo.

 

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