• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Isis in Siria e Iraq: il ritorno del califfato

Isis in Siria e Iraq: il ritorno del califfato

di Alberto Savioli

 Da più di un anno lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) ha fatto la sua comparsa in Siria, di fatto indebolendo il fronte dei ribelli piuttosto che il regime di Asad.

Qui si è rafforzato e ha esteso la sua capacità di manovra, tanto da conquistare Mosul, la seconda città irachena, e insidiare la stessa capitale dell’Iraq. Alla vigilia di un possibile grande scontro confessionale sciiti-sunniti è intervenuto anche Obama, dichiarando a parole quanto ha già espresso con i fatti, l’America non interverrà e il Medio Oriente dovrà arrangiarsi da solo.

La “cavalcata” vincente dell’Isis

Il giorno seguente alla caduta di Mosul, la seconda città irachena, per mano dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), alcuni combattenti jihadisti dichiarano di essere già alle porte di Baghdad. Barak Obama nel discorso tenuto 13 giugno ha dichiarato: “Non manderemo truppe in Iraq… Le forze di sicurezza irachene purtroppo hanno dimostrato di non essere capaci di difendere alcune città. E il popolo iracheno è ora in pericolo” (...) “Ci vorranno diversi giorni per decidere come intervenire al fianco del governo di Baghdad”, ha dichiarato Obama, “non è una cosa che si decide nel corso di una notte”. 

Verrebbe da chiedersi cosa abbiano fatto Obama e la sua amministrazione negli ultimi due anni.

Quando nel febbraio 2013 le bandiere dell’allora Stato Islamico dell’Iraq (Isi) facevano la loro comparsa in Siria, nelle zone di Daraya e Aleppo, avevano già un ampio background di matrice qaidista risalente   al 2006, e solo nel luglio 2013 avevano compiuto una serie di attentati suicidi a Mosul, Kirkuk, Bassora e Nassiriyya. 

Nell’agosto 2013 si parlava già di Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (in arabo: ad Dawla al Islamiyya fi l ‘Iraq wa sh Sham), quando riuscirono a impossessarsi della città di Raqqa scacciando le forze ribelli costituite dall’Esercito libero siriano (Esl) e dai gruppi salafiti di Jabhat al Nusra e Ahrar ash Sham, che avevano conquistato la città il 6 marzo 2013.

Da allora l’Isis, più comunemente chiamato Daesh dai siriani, è diventato tristemente famoso per l’applicazione radicale della sharia, secondo alcuni si tratterebbe di un’applicazione distorta della legge coranica. In Siria ad opera dello “Stato” si sono avute punizioni corporali per i ladri (fustigazioni e taglio delle mani), esposizioni pubbliche degli uccisi rei di omicidi o violenze, taglio delle teste di altri combattenti o fiancheggiatori del regime, inoltre sono state bruciate sigarette, l’alcool è stato proibito così come la musica, ed è stato imposto il velo integrale alle donne.

Dallo scorso dicembre il fronte dei ribelli anti-Asad unitosi sotto l’ombrello del Fronte Islamico ha lanciato un’offensiva per tentare di scacciare l’Isis dalla Siria, colpevole secondo loro di fare il gioco del regime, il risultato finale è stata un’avanzata del regime in alcuni territori e un consolidamento delle posizioni dell’Isis; gli unici ad essersi indeboliti sono stati i ribelli siriani.

Una delle giustificazioni americane per non sostenere con armi pesanti, quello che inizialmente era un  fronte laico di ribelli siriani, era il timore che queste ultime potessero finire in mano a jihadisti ed estremisti, così l’Isis ci ha pensato da solo ad armarsi.

Da più di un anno tra l’Iraq e la Siria si registrano movimenti di jihadisti stranieri impiegati alternativamente sui due fronti. A gennaio i combattenti dell’Isis in Siria si complimentavano con i combattenti in Iraq che erano riusciti a conquistare le importanti città di Fallujah e Ramadi.
Già allora l’Isis era “alle porte” di Baghdad e aveva influenza su un territorio che andava dalle aree a nord di Aleppo, passando per Raqqa e la Jazeera siriana fino alla provincia irachena di Anbar e le due città appena conquistate.

Ora lo “Stato” ha compiuto un ulteriore passo avanti, in poco tempo è caduta Mosul e molte aree della regione della Diyala sono controllate da loro, scendendo il corso del fiume Tigri hanno conquistato le città di Shirqat, Bayji, Tikrit, poi Shaqlawiyah, Baqubah (da confermare) e sono in corso scontri a Samarra. Con quest’offensiva l’Isis ha messo le mani nella sola Mosul sui contanti della banca della città e su una gran quantità di armamenti pesanti tra cui molti humvee, dieci F16 e alcuni elicotteri Black Hawk.

Naturalmente possedere aerei ed elicotteri non vuol dire saperli pilotare. L’Isis ha sorpreso ancora una volta, il 13 pomeriggio, mentre Obama teneva il suo discorso: hanno portato in volo due elicotteri pilotati, sembra, da un ceceno e da un iracheno e a Samarra hanno tentato di colpire il convoglio del primo ministro iracheno Nuri al Maliki.

 

Motivi del successo dell’Isis e premesse di uno scontro confessionale sunniti-sciiti

L’offensiva del’Isis in Sira e Iraq è efficace per una serie di motivi. L’Isis non si presenta solo come un movimento jihadista combattente, ma grazie all’esperienza qaidista irachena, nei territori conquistati si propone con tutte le strutture parastatali. Caduto lo Stato non regna il caos, l’Isis propone un modello di stato alternativo basato sulla sharia, ma dove gli uffici, le corti legislative, gli apparati di polizia e le strutture scolastiche sono perfettamente funzionanti, anche se in salsa coranica.

L’avanzata dello “Stato” inoltre presenta agli occhi dei sunniti una possibilità di rivalsa dopo anni di dominio sciita. In Siria la dittatura degli Asad, appartenenti alla setta sciita degli alawiti e in Iraq i governi a maggioranza sciita succeduti alla caduta di Saddam Hussein, non hanno lasciato spazio sufficiente ai sunniti del paese, che in Siria sono il 74% della popolazione e in Iraq il 40% (inclusi i curdi e i turcomanni).

Non è un caso che Daesh si sia presentato fin da subito come uno stato, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, e nei proclami dei suoi membri ci sia il costante riferimento al califfato. Nelle terminologie che utilizzano si percepisce un rimando agli albori dell’Islam e allo scontro secolare tra le due confessioni del mondo musulmano: sciiti e sunniti.

I loro nemici, anche dove si tratti di sunniti, diventano takfiri ossia "empi" (l’espressione takfir indica il dichiarare qualcuno “kafir”, miscredente e non-musulmano), murtadiyn (un musulmano che rinuncia all’Islam è detto “murtad”), o munafik colui che pur dichiarandosi musulmano nel proprio cuore in realtà non lo è. Gli iraniani o i soldati sciiti iracheni vengono da loro definiti dispregiativamente Safawidi, utilizzando il nome della dinastia islamica sciita che regnò in Persia tra il 1501 e il 1736. I Safawidi riunificarono territorialmente la Persia e dichiararono religione ufficiale lo sciismo duodecimano che rimase da allora dominante.

Tuttavia sarebbe errato considerare lo scontro confessionale come un movimento unidirezionale dei sunniti contro gli sciiti e non viceversa, in un’intervista di dicembre Nuri al Maliki, il primo ministro iracheno, soffiava sul fuoco del settarismo riferendosi alla battaglia nella provincia di Anbar come a uno scontro tra i seguaci di Husyan (gli sciiti) e i seguici di Yazid (i sunniti).   

Che questo scontro tra "civiltà islamiche" sia reale o solo percepito come tale è ininfluente. La percezione di una realtà viene concretizzata negli atti di chi crede in quella realtà. Capendo queste sfumature è possibile riconoscere nel “fenomeno” Isis non solo un “movimento” religioso e combattente, ma anche politico e di rivincita. Solo in questo modo è possibile comprendere le scene di giubilo che si sono viste in alcune città dopo la caduta di Mosul, nonostante la “cattiva fama” che accompagna l’Isis.

Abdul Jalil, un membro di spicco della milizia Jaysh al Tariqa al Naqshbandia (noto anche come l’Esercito dell’Ordine degli uomini di Naqshbandi o Jrtn, e che ha legami con ex dirigenti del partito Ba’ath di Saddam Hussein) ha confermato che il movimento chiede una resistenza continua contro l’occupazione safawide dell’Iraq.

"L’Isis ha rilasciato le nostre donne dalle prigioni di al Maliki e ha anche liberato tutti i prigionieri innocenti”, spiega Ghanem al Abed, uno dei principali promotori delle proteste musulmane sunnite di Mosul. Nei combattimenti avvenuti nella provincia di Ninawa (Mosul) accanto all’Isis c’era il Jrtn (dietro al quale pare ci sia Izzat Ibrahim al Douri, ex vicepresidente sotto Saddam), ex ufficiali di Saddam e i gruppi tribali della provincia. Nel 2009 funzionari degli Stati Uniti avevano avvertito che la “Naqshbandiya” avrebbe potuto diventare più pericolosa di al Qaida, perché era riuscita a radicarsi nella società. Il gruppo è in gran parte basato a Mosul e a Kirkuk. La figlia maggiore di Saddam, Raghad Saddam Hussein, ha dichiarato al quotidiano al Quds: “Queste sono vittorie degli uomini di mio padre e di mio zio Izzat al Douri”.

Suleiman al Sheikh Ali Hatem, il leader della tribù dei Duleym a Mosul ha dichiarato invece che le tribù combattono sia il regime che l’Isis, la rivoluzione è fatta per la giustizia non per la vendetta. La maggior parte delle tribù siriane e irachene non hanno giurato fedeltà (bayah) all’Isis. Nel marzo 2013 sul n° 2 di Limes scrivevo: “Chiunque voglia evitare che l’est siriano diventi terreno fertile per gli estremisti deve prendere contatto con i leader tribali locali… Le confederazioni tribali sono dunque decisive per il controllo dell’est siriano, che si configura come un territorio di staterelli a base clanica”.

Iran e Stati Uniti alleati per “salvare” l’Iraq e il suo petrolio?

Con la recente offensiva dell’Isis rischiano di cadere gli storici confini del Medio Oriente tracciati dall’accordo di Sykes-Picot, con il quale le potenze mandatarie si erano spartite l’area. L’America si trova ora nel paradosso di doversi probabilmente alleare con l’Iran per salvare quel che rimane dell’Iraq e del governo sciita iracheno, dopo che si erano scontrati in Siria sulla sorte di Bashar al Asad, in questo modo potrebbero consegnare all’Iran un territorio che comprende parte del Libano, della Siria e dell’Iraq. 

Lo scorso 13 giugno l’ayatollah Ali al Sistani ha chiamato alle armi tutti gli iracheni contro l’Isis, mentre la Guardia Rivoluzionaria iraniana, con le brigate al Quds, si troverebbe nella provincia irachena della Diyala e nei pressi dell’areoporto di Baghdad. La milizia irachena sciita presente in Siria accanto all’esercito governativo, la Liwa Assad Allah al Ghalibè stata richiamata in patria e il generale iraniano Qassem Solaimani, l’eroe della “resurrezione” di Asad assieme al movimento libanese di Hezbollah, sarebbe stato visto a Baghdad ad ispezionare le postazioni di difesa della capitale e i checkpoint.

Al Qaida comanda l’Isis o l’Isis comanda al Qaida?

Da più parti lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante viene definito come un gruppo di matrice qaidista. In un tweet del leader di Jabhat al Nusra, Abu Muhammad al Jolani, si affermava che il gruppo era nato con la benedizione del capo di al Qaida, Ayman al Zawahiri, grazie all’aiuto dello Stato Islamico dell’Iraq (Isi). All’inizio del 2013 il leader dell’Isi, Abu Baqr al Baghdadi, annunciava la fusione del suo gruppo con la Nusra, sotto la sigla dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, proclama rigettato da al Jolani che dichiara che la bandiera della Nusra continuerà a sventolare.
In questa fase al Zawahiri si configura come una sorta di arbitro nella diatriba tra i due gruppi sui quali aveva posto la benedizione; in un messaggio dichiarava che la fusione era annullata e richiamava l’Isi a occuparsi delle questioni irachene, lasciando alla Nusra le “faccende” siriane.

 Le indicazioni di Zawahiri vennero disattese da Baghdadi, che da quel momento di fatto rivendica la propria autonomia decisionale e del suo gruppo. Nelle recenti dichiarazioni del leader di al Qaida sembra configurarsi addirittura una situazione in cui la figura di Zawahiri è subalterna a quella del leader combattente Baghdadi, il primo rimarrebbe come leader spirituale e chiama il leader dell’Isis “Amir al Mumineen”, ossia "Comandante dei Credenti" che equivale a termine Califfo. Abu Baqr al Baghdadi è il califfo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.

In un tweet, Musa Cerantonio un noto predicatore australiano convertito all’Islam, scrive: “Se le parole di al Adnani (portavoce dell’Isis) sono confermate, come ho pensato da molto tempo, se conquisteranno Baghdad, Inshallah (se Dio vuole) il califfato verrà annunciato”.

Ma al Adnani va oltre proclamando una guerra settaria: “…tra di noi la vendetta sta aspettando… Ma la vendetta non dovrà avvenire a Samarra o Baghdad, ma piuttosto deve essere Karbala “la città sudicia” (la seconda città santa degli sciiti, dove nel 680 venne trucidato Husayn figlio di Ali, dalle truppe del califfo Omayyade Yazid) e Najaf “la città politeista” (centro del potere politico degli sciiti in Iraq, qui ci sarebbe la tomba di la tomba di Ali ibn Abi Talib, quarto califfo per i sunniti e primo Imam per gli sciiti), quindi aspetta, e in verità noi siamo con te nell’attesa.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.101) 18 giugno 2014 18:19

    L’ISIS DA QUALCHE PARTE LE ARMI LE HA PRESE ED E’ STATO ARMATO
    TANTISSIMO DAGLI ALLEATI I FERRO DEGLI USA, I SAUDITI E I TURCHI, E ALLA
    FINE PROBABILMENTE DALLA STESSA CIA.

    • Di (---.---.---.73) 18 giugno 2014 20:45

      Smettiamola con queste teorie complottiste, la Cia non ha armato l’Isis che è sicuramete infiltrato da membri dei servizi segreti di diversi paesi al fine di monitorarlo. Certamente che han preso armi e soldi (molti), e i finanziatori son sicuramente i sauditi e qatarini, ma finanziatori privati non è opera diretta dei governi.
      Se vogliamo la colpa Americana è l’intervento di "basso profilo" dell’amministrazione Obama in Medio Oriente, là dove si crea un vuoto, se non lo riempi tu con i tuoi alleati lo riempie qualcun altro.
      Queste teorie complottiste non solo cozzano con la realtà dei fatti ma peraltro non sono nemmeno logiche. Secondo tali teorie dietro all’Isis ci sarebbero gli Usa, che però ora combatterebbero l’Isis probabilmnete in un’alleanza con l’Iran, Isis che insidia il governo sciita di Maliki voluto e sostenuto dagli americani....ma dai.
      Alleati con l’Isis a Mosul sono i combattenti della "Naqshbandiya" e alti quadri baathisti, addirittura il vice presidente iracheno ai tempi di Saddam, tutti mandati a spasso dalla guerra di Bush.

      Alberto

  • Di Persio Flacco (---.---.---.89) 18 giugno 2014 23:27

    Un bell’articolo: preciso, informato, ma reticente.

    Reticente perché avrebbe dovuto dire che l’insurrezione siriana, che l’ISIL ha parassitato con successo fin dall’inizio, non avrebbe avuto alcuna possibilità di impensierire il regime di Damasco senza la profondità strategica offerta dalla Turchia (paese NATO), dalla Giordania (regime alleato degli USA), dal libero transito in Iraq (territorio tra i più monitorati al mondo, sempre dagli USA).
    E senza il supporto finanziario di Arabia Saudita (regime alleato degli USA) e Qatar (anch’esso alleato degli USA) non sarebbe andato lontano.

    E’ grazie al lasciapassare offerto dai regimi alleati degli USA che in Siria sono potuti confluire da tutto il mondo i peggiori tagliagole islamisti, i mercenari pagati dalle petromonarchie arabe con le armi, la logistica, i rifornimenti, il supporto informativo necessari per poter combattere in Siria. Ed è da li, visto lo stallo della lotta contro Assad, che ISIL è dilagato in Iraq.
    Dall’articolo invece sembra che l’ISIL sorga dal nulla, che abbia combattuto usando le pietre del deserto come armi, che abbia mangiato sabbia, che abbia ricevuto informazioni con segnali di fumo.

    Senza queste precondizioni, senza la profondità strategica e il supporto, diretto e indiretto, garantito dagli USA, l’ISIL non avrebbe avuto nessuno spazio per crescere e diventare un pericolo per l’intera regione.
    Questa non è dietrologia, è esame obiettivo dei fatti.

    Ma a che scopo spianare la strada per Bagdad all’ISIL? Beh, la inaspettata apertura di credito degli USA all’Iran, come potenza in grado di arginare l’espansione dei fondamentalisti sunniti in Iraq, può essere una chiave di lettura interessante.

    Di fatto all’Iran è stata offerta una scelta: o assistere inoperoso al sorgere di una entità radicalmente nemica ai suoi confini e allo sterminio degli sciiti irakeni oppure impelagarsi in un contesto in cui, da Stato sciita, si troverebbe a dover combattere contro la maggioranza sunnita dell’Iraq.

    Un trappolone, insomma. Una cinica trappola giocata sulla pelle del martoriato Iraq.

  • Di (---.---.---.186) 19 giugno 2014 10:41

    Ringrazio Persio Flacco che considera il mio articolo preciso e informato, mi spiace per il reticente, se veramente è reticente non lo era nelle intenzioni.

    L’articolo voleva essere incentrato soprattutto sulla recente prospettiva irachena dell’Isis e su alcune dinamiche del gruppo: linguistiche, ideologiche, di alleanza, ecc... Per questo motivo non ho affrontato l’Isis sul fronte siriano (lo avevo già fatto in altri articoli più vecchi), ma nemmeno gli scontri con il fronte curdo sia in Siria che in Iraqm, e ho tralasciato anche la strategia dell’Isis sul campo. Un articolo non può essere una summa di tutto, era già abbondantemente lungo così.


    Proverò a rispondere con questo commento alle questioni che solleva.


    1) "avrebbe dovuto dire che l’insurrezione siriana, che l’ISIL ha parassitato con successo fin dall’inizio, non avrebbe avuto alcuna possibilità di impensierire il regime di Damasco senza la profondità strategica offerta...". Ha ragione, ma allora avrei dovuto dire anche che senza il sostegno alla Siria da parte delle milizie sciite di Hezbollah, delle brigate iraniane al Quds e dei gruppi sciiti iracheni a fianco di Assad, Damasco sarebbe caduta un anno fa. E senza il sostegno di queste milizie sciite straniere non ci sarebbe stata la "giustificazione" ideologica al settarismo che l’Isis sta applicando in Iraq (http://www.sirialibano.com/short-news/mercenari-stranieri-e-guerra-imperialista-per-la-siria.htmlhttp://www.sirialibano.com/short-news/massacri-confessionali-e-tribu-la-siria-dellest.html).


    Il discorso delle colpe, e di chi sostiene chi è molto più ampio e non riguarda solo l’America e i suoi alleati. 
    Forse avrei dovuto dire anche che molti dei fondamentalisti arruolati nella Nusra e nell’Isis, facevano parte di quei gruppi sunniti creati da Assad e mandati a combattere in Iraq nel 2004-07 in chiave anti-americana. E avrei dovuto aggiungere che alcuni capi delle brigate ribelli sono usciti di prigione con le amnistie di Assad del luglio 2011: Zarhan Alloush, Hassan Abboud e al Jolani.

    (di Aberto/continua)

  • Di (---.---.---.186) 19 giugno 2014 10:42

    (di Alberto)

    2) Le colpe americane sono sotto gli occhi di tutti, ma il rafforzamento dell’Isis grazie agli alleati degli americani, secondo me non è una volontà statunitense e una strategia, ma il risultato di una politica debole, indecisa e impacciata di Obama in Medio Oriente.

    Che l’Isis stia preparando quest’offensiva è evidente da mesi, la regione della Diyala era controllata da loro 5 mesi fa, attorno a Mosul si muovevano con disinvoltura e la conquista di Ramadi e Fallujah era solo un preludio. Lo sapevo io... e cosa ha fatto l’America, nulla. Eppure lo sapeva e monitorava questi gruppi. Lei forse pensa che dietro a queste alleanze geopolitiche ci sia sempre una strategia e un disegno, ma purtroppo non è così, a volte le politiche non sono di ampio respiro e non guardano avanti. Due anni fa parlai con un funzionario straniero di un’ambasciata di un paese del medio oriente, disse “per fortuna ora con la guerra in Siria tutti i jihadisti si stanno dirigendo lì, Iraq e Iran staranno più tranquilli…”!!! Si rende conto…

     

    Incolpiamo pure l’America per il rafforzamento di Daesh, ma diciamo anche che il regime siriano ha limitato al minimo gli scontri con questo concentrandosi invece contro i ribelli, impegnati dal canto loro contro l’Isis da fine dicembre. Il risultato è stato che il fronte dei ribelli si è indebolito e Assad ne sarà contento, ma il loro vuoto è stato occupato dall’Isis.

     

    3) se gli Stati Uniti avessero veramente un disegno in Medio Oriente per tutelare i loro interessi, avrebbero fornito fin da subito armamenti pesanti a quello che era un fronte ribelle tutto sommato laico (l’Esl), invece che permettere ai loro alleati di sostenere e far crescere l’Isis. In fondo sono gli americani stessi a rischiare i loro interessi per un Isis forte in Iraq, al Maliki è un loro uomo, e dall’Iraq sciita comperiamo il petrolio.

     4) Sull’ultimo punto invece sono completamente in disaccordo con lei: “Di fatto all’Iran non è stata offerta alcuna scelta”, se guarda gli ultimi giorni è vero. Peccato che l’Iran direttamente con le brigate al Quds e con il generale Soleimani e indirettamente con Hezbollah sia entrato a piedi uniti nelle questioni siriane fin dal 2011-2012. E di fatto influenzi un’area che va dal Libano, passa per la Siria fino al sud dell’Iraq da ben prima. Fin da subito l’Iran ha cominciato a tutelare i suoi interessi nell’area, portando avanti una politica imperialista al pari della Russia, attitudine però che viene sempre e solo attribuita agli americani.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.89) 21 giugno 2014 11:05

      La ringrazio per la risposta, che aggiunge ulteriori informazioni utili a quelle già contenute nel suo articolo.

      Riguardo alle osservazioni che ho fatto sul suo articolo ritengo che la sua risposta chiarisca meglio il punto di divergenza.

      Per quanto mi riguarda i ragionamento è molto semplice: viviamo in un sistema democratico e le decisioni che vengono prese a livello istituzionale riguardo alle questioni internazionali sono prese in nome dei cittadini. Questo implica che i cittadini debbano avere una conoscenza la più chiara e imparziale possibile in merito alle decisioni da prendere. E questo è possibile solo se l’insieme dei mass media offre loro un quadro imparziale e completo dei presupposti di certe situazioni, della realtà sul terreno, delle conseguenze che possono avere le diverse possibili decisioni. Questo, come sa, è una condizione che su certi temi non si verifica quasi mai. In particolare sui temi di politica internazionale, soprattutto quando tra gli attori sulla scena agiscono i cosiddetti paesi alleati: in primis gli USA.

      Naturalmente non mi aspetto che l’operatore dell’informazione sia in grado di separare i fatti dalle opinioni, mi aspetto però che il cittadino possa avere facile accesso al più ampio ventaglio possibile di opinioni e di selezione dei fatti. Mi aspetto anche, da cittadino, che il singolo operatore dell’informazione sia leale nei confronti del fruitore del suo prodotto, cioé che sia intellettualmente onesto. Altrimenti dovrei inserire anche Goebbels tra i celebri operatori dell’informazione, e non vorrei farlo. Altrimenti la democrazia diventa un comodo schermo dietro al quale nascondere una forma di autoritarismo o di oligarchia.

      Tornando al punto, uno degli elementi conoscitivi a mio avviso più rilevanti riguardo a quanto sta accadendo oggi in Iraq è che l’attore principale delle vicende in corso: il governo degli USA, è l’autore della disgregazione sociale, politica, territoriale di quel Paese. Disgregazione che ha promosso e attuato in base ad asserzioni rivelatesi false sulle quali ha costruito una gigantesca opera di manipolazione dell’opinione pubblica nazionale (e mondiale) per ottenere il mandato "democratico" ad agire. Dimenticavo: con la complicità di gran parte dei mass media, ovviamente.

      Questo ovviamente non implica che gli altri attori che hanno concorso in vario modo e misura a determinare quanto è avvenuto debbano essere trattati in modo diverso.

      Perché è importante ricordare questi presupposti dell’attuale crisi irakena? E’ importante ricordare che gli USA sono stati un attore inaffidabile su questa scena perché questo stimola la riflessione critica dei cittadini sulle vicende attuali e sulle proposte per porvi rimedio. E altrettanto dovrebbe servire a fare riguardo agli operatori dell’informazione, benché questo, nel mondo attuale, suoni un po’ ridicolmente utopistico.

      Non si tratta quindi di coltivare acrimonia o rancore nei confronti degli USA o di altri, si tratta di essere leali e onesti nei confronti dei fruitori dell’informazione, di metterli in grado di maturare una loro opinione sulla base di informazioni complete e oneste.

      Dunque ben vengano gli arricchimenti sui particolari di un quadro oggettivamente complesso; purché l’abbondanza di particolari non offuschi quanto in esso vi è di semplice.

      In merito alla presunta mancanza di un disegno sul Medio Oriente dell’amministrazione Obama, le ricordo che l’attuale Presidente nel suo programma elettorale e nei primi anni del suo mandato ha agito con decisione e coraggio secondo una direttrice politica innovativa e progressista rispetto a quella disastrosa del suo predecessore.

      E’ andato al centro dell’Islam politico e culturale: l’univerità Al-Ahzar del Cairo a proporre un nuovo inizio nei rapporti tra Islam e Occidente, e si è impegnato personalmente ad ottenere la firma di accordi di pace definitivi che mettessero fine al conflitto tra Israele e palestinesi. Un conflitto, giova ricordarlo, che da decenni infiamma i rapporti tra Islam e alleati di Israele, cioé tutto il cosiddetto Occidente. Come ora sappiamo: se a piazza Tahrir il movimento che ha provocato la caduta di Mubarak e acceso le speranze di cambiamento dell’Egitto ha avuto campo libero non è perché i militari egiziani non siano capaci di sparare sulla folla. Ora sappiamo che sono, ed erano, perfettamente in grado di farlo. Mi piace pensare che gli sia stato espressamente sconsigliato da qualcuno a cui devono molto del loro potere.

      Come sa, Obama non è riuscito ad attuare il suo programma. Ha fallito per la tenace opposizione di alcune lobbies, ma un disegno per il Medio Oriente lo ha avuto e lo ha ancora.

      Un disegno che prevedeva la distensione dei rapporti col mondo islamico per attuare un disimpegno dolce degli USA dall’area e ridislocarsi sul teatro indopacifico, diventato cruciale a causa della crescita dell’influenza economica e politica cinese che da li si irradia.

      Sul resto preferisco non intervenire per non aggiungere ulteriori righe ad un commento già troppo lungo.

      Saluti.

  • Di (---.---.---.109) 22 giugno 2014 10:53

    La cosa divertente questi scambi è che quando c’è un complottista che trolla e qualcuno gli risponde con dati e argomenti, quello che fa? 


    Dice che gli argomenti portati al discorso - che teoricamente aiutano tutti i capire, perché capire è fatica, richiede pazienza, sfumature, tempo - in realtà stanno solo distogliendo il cittadino dal punto fondamentale: è tutta colpa dell’America. 

  • Di Persio Flacco (---.---.---.89) 22 giugno 2014 12:21

    Poi c’è chi non capisce quello che legge e interviene solo per dire "Sono qui!" ed esporre i suoi pregiudizi stantii.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità