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Yemen: pena di morte anche per i bambini

Il 3 dicembre 2012 la diciannovenne Hind Ali Abdu al-Barti venne prelevata dalla sua cella del carcere di Sana'a e freddata da un plotone d'esecuzione. Accusata di omicidio, la ragazza aveva passato quattro anni in prigione. Solo la mattina stessa la famiglia venne informata della fucilazione imminente. Inutilmente, tentò di far pervenire alle autorità un certificato che mostrasse la sua età al momento del crimine: 15 anni.

Hind, prima della morte, confessò di aver mentito sulla deposizione rilasciata al momento dell'arresto, di fronte alle violenze e alle minacce di stupro dei poliziotti.

Priyanka Motaparthy, ricercatrice dei diritti del bambino per Human Rights Watch, dichiara al Guardian: "È così evidente che Hind al-Barti era solo una ragazzina quando fu accusata di omicidio, e anche quando fu per lei emendata – e eseguita – la pena capitale".

Sempre Human Rights Watch lunedì 4 marzo ha diffuso un rapporto di 30 pagine nel quale descrive la prassi negli interrogatori eseguiti dalle autorità yemenite, che a suon di percosse, minacce e torture estorcono informazioni manipolate ai minori accusati di crimini.

Dopo Cina, Iran, Arabia Saudita e Iraq, lo Yemen è il quinto paese al mondo per numero di condanne a morte. Solo nel 2011, il governo approvò 47 esecuzioni.

Negli ultimi 5 anni, sono state emesse quindici condanne per persone sotto i 18 anni. Eppure lo stato mediorientale è tra firmatari della Convenzione dei Diritti del Bambino, che si impegna a salvaguardare i minori rispetto all'applicazione della pena di morte.

Il ministro dei diritti umani yemenita Hooria Mashhour afferma che tecnicamente lo stato proibisce le esecuzioni capitali verso i minorenni, ma spesso gli accusati non sono in grado di procurare un certificato di nascita che ne garantisca l'immunità: nello stato, solo il 16% delle nascite viene regolarmente registrato.

"I problemi avvengono durante le procedure, i processi, nei quali il giovane accusato viene trattato come un adulto pienamente responsabile. Quando le decisioni sono state prese e noi, in qualità di Ministero dei Diritti Umani, interveniamo, la magistratura considera le nostre azioni un'interferenza rispetto all'esecuzione del proprio lavoro".

Ala Rumaneh, vent'anni, è attualmente rinchiuso nel carcere maschile di al-Hudaydah. Galleggia nell'attesa snervante del braccio della morte per l'accusa di aver ucciso un poliziotto, il quale, secondo quanto racconta, aveva tentato di stuprarlo. Fu costretto a confessare a diciassette anni, e la condanna a morte fu subito emanata. L'evidenza del suo certificato di nascita, che ne attestava l'immunità, venne spudoratamente ignorata.

Il fratello Mohammed, diciottenne, gli fa visita quotidianamente. E confessa ad al Jazeera: "Sono molto spaventato per Ala. Si sa che la maggior parte delle condanne a morte vengono eseguite".

 

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