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User Generated Rubbish?


User Generated Rubbish?

Forse non tutti sanno che John Coltrane, nella parte finale e più delirante della sua carriera, nelle sue esibizioni dal vivo faceva salire sul palco a suonare anche dei perfetti sconosciuti, che si autocandidavano dalla platea.Si trattava di un primo, rozzo esperimento di User Generated Music che poteva giustificarsi nel contesto della ricerca, ormai più spirituale che prettamente artistica, del grande sassofonista americano.

Questa provocazione storica, rievocata in uno splendido podcast dedicato a Coltrane da NPR, mi ha fatto tornare in mente un discorso che ritorna a cadenze regolari: gli User Generated Content sono in stragrande maggioranza spazzatura, nella migliore delle ipotesi “fuffa”, e favorirebbero l’appiattimento verso il basso mortificando il vero talento, che si esprimerebbe solo attraverso un percorso e una ricerca strutturati.


Ecco, questo post è fondamentalmente per dire che non sono d’accordo. Intanto sono fermamente convinto che la punta più “avanzata” della grande massa degli UGC (anche fosse solo l’1% del totale) rappresenti da sola una alternativa preferibile ai contenuti “professionali” distribuiti dai mainstream media, con il vantaggio di non dover soggiacere a tutti i vincoli delle piattaforme di distribuzione tradizionali (tecnici, legali, di business).


Inoltre, credo che questa visione riduttiva del fenomeno UGC sia soprattutto un riflesso condizionato di chi pone l’arte e la creatività al centro della propria esperienza quotidiana, cosa che però non riguarda tutti e soprattutto non può limitare il diritto di tutti, compreso l’esercito dei blogger con le “k”, a pubblicare, condividere, esprimersi liberamente. Tantopiù che isolare quel famoso 1%, sia in termini di una presunta “qualità assoluta”, sia in base agli interessi dei fruitori, con le attuali tecnologie di aggregazione e di ricerca non rappresenta affatto un problema.


C’è infine un settore, quello dell’informazione, dove il tentativo di sminuire i contenuti User Generated è particolarmente sospetto. Credo che capiti a tutti, anche a chi – come me – non compra più un quotidiano da anni, di sbirciare i titoli dei giornali, e in particolare della free press che infesta (perchè questa è la parola giusta) i mezzi di trasporto pubblico nelle grandi città. Questa non è più nemmeno stampa scandalistica. E’ una pura restituzione al mittente degli istinti primordiali delle persone, a cominciare dalla paura.

In questo quadro, tutte le chiacchere sulla professionalità, sulla preparazione, sul rigore etico dei giornalisti stanno a zero. Di opportunità, per costituire una delle dorsali della nostra democrazia, ne hanno avute fin troppe, dalla fine del fascismo ad oggi. Adesso tocca a noi, o meglio, all’1% di noi che saprà conquistare "le prime pagine" dell’informazione del futuro. Alcuni di loro (diciamo lo 0.5%) lo farà - ancora una volta - a colpi di scoop inesistenti, notizie non verificate, gossip e luoghi comuni. Il restante 0,5% lo farà grazie alla credibilità e alla trasparenza. E io, se permettete, mi terrò stretto, molto stretto quest’ultimo 0,5%.


La volta precedente, in cui la stampa tradizionale stratificò tutti i suoi vizi fino a vendersi completamente ai potenti di turno (i grandi gruppi industriali nelle democrazie, i governi nelle dittature), furono i media stessi ad essere corresponsabili di quel gigantesco regolamento di conti tra poteri in conflitto che fu la seconda guerra mondiale.

Ora ci stiamo avvicinando a grandi passi un altro grande trauma, frutto di nuovi, crescenti squilibri e diseguaglianze. Non credo che i media potranno scongiurarlo, ma non sarebbe male se questa volta qualcuno avesse l’opportunità di raccontare quello che sta succedendo senza dover rispondere a una delle varie parti in causa.

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