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Tra vecchie abitudini e nuove incertezze, al Lingotto si è aperta la fase congressuale del PD

Strano destino quello del Partito Democratico. All’indomani di una secca sconfitta elettorale più contenuta della catastrofe annunciata, i dirigenti vecchi e nuovi ripiombano nei giochi di posizione che avevano generato il rischio di un ridimensionamento del partito al 20%.

Non è bastata una campagna elettorale contrassegnata dai soliti segnali di schieramento nepotistico al quale gli elettori hanno risposto con una secca bocciatura nella consultazione europea. Con il fiato sospeso per il risultato dei ballottaggi per le amministrative, sia D’Alema sia Veltroni, hanno cominciato ad agitarsi, a trattare, ad incontrare i fedelissimi e gli incerti di cui accaparrarsi il sostegno, arrivando ad ipotizzare future prossime alleanze in vista delle regionali 2010 o futuri remoti nuovi equilibri politici.
 
Ad urne ancora calde, dopo brevi e sommarie quanto insufficienti analisi dei risultati, ecco iniziare la corsa alle candidature per la segreteria cercando primati sulla rapidità dell’annuncio o l’utilizzo di strumenti più nuovi della superata conferenza stampa. Il nuovo che avanza!
 
Ad oggi con due candidati ufficiali ed una decina di nomi che vanno e vengono inseguiti da orfani di capi, scontenti organizzati, aspiranti semi-leader disorganizzati, si è alzato un polverone gigante che sta occupando le pagine dei principali quotidiani alla ricerca del gossip di giornata che alimenta la sete di sensazionalismo alternativo che affligge l’opinione pubblica in generale e larghi strati del PD in particolare. Tutto ciò senza che Franceschini e Bersani, a parte dichiarazioni di principio talmente generiche da essere irricevibili, abbiano detto assolutamente niente di programmatico né del modello di partito che hanno in testa né del tipo di società italiana per la quale dovremmo lavorare, nè ancora con quali alleati strategici e di programma intendono collaborare. Nulla è stato ancora dichiarato da entrambi su durata e strategia di uscita dalla crisi, sulla politica estera e sulle crisi regionali, sui temi etici (slang breve ma orribile) etc.etc. etc.

Nonostante questo il grosso dei dirigenti del PD ha già deciso chi sostenere dei due con motivazioni che troverebbero miglior fortuna nelle pagine di commento calcistico “L’uomo giusto al momento giusto”, “Ha l’esperienza per uscire dal momento difficile”, “Conosce bene i meccanismi del sistema” oppure “Ha il coraggio necessario per affrontare questa battaglia”. Restano quelli che si sono schierati per vile servilismo di parte nei soliti privè dei dalemiani, veltroniani e rutelliani e quelli che sono ancora alla ricerca di un fantomatico terzo uomo che faticano a trovare per mancanza d’idee e di coraggio degli interessati.
 
Nemmeno i piombini/lingottini/quarantenni guidati da Gozi, Scalfarotto e Civati che molte speranze hanno suscitato, sembrano capaci di uscire da una sterile navigazione tra alcune rivendicazioni laiche che fanno apparire le adunate del movimento una federazione di associazioni monotematiche. Sembra trattarsi più di un movimentismo incapace di formulare un progetto complessivo di Società e di Partito i cui componenti alternando testamento biologico, diritti dei gay ed economia verde non hanno migliori proposte dello strumento democratico, seppure interessante, delle primarie.
 
Il loro assedio a Barbara Serracchiani perché ufficializzasse la sua candidatura, da un lato testimonia la mancanza di una progettualità politica complessiva basata su un “nuovismo” che di per sé non garantisce alcuna transizione, dall’altro conferma il talento innato dell’avvocato friulano che ha compreso come i quattro mesi di frequentazione del vertice del partito non bastano a riempire il serbatoio politico del segretario che dovrà contemporaneamente proporre un progetto a lungo termine di superamento della cultura del berlusconismo, elaborare una strategia di alleanze che ricompatti parte della sinistra alternativa al PD, immaginare una tattica che serva a battere il centro-destra a partire dalle prossime amministrative e disegnare un progetto di partito in grado di superare la logica del correntismo nepotistico di posizione. Un peso troppo grande per il fragile sorriso della Serracchiani che ha intelligentemente deciso di prepararsi meglio alle future partite da giocare.
 
Che fare allora? Quello che avrebbero dovuto scegliere da subito D’Alema, Veltroni, Marini, Bindi, Letta, Cofferati cioè aspettare!!! Dare la possibilità ai candidati di disegnare i loro programmi strategici ed organizzativi e su questo terreno valutare il proprio candidato ideale da sostenere. Aver scelto in anticipo denuncia o capacità medianiche insospettate, o schieramento di principio a partire da accordi preventivi, o schieramento pregiudiziale per bloccare e svilire la candidatura di qualcuno ritenuto un avversario.
 
Questo campionario di possibilità tutte egualmente negative per il PD, peggiorano l’immagine del partito presso gli elettori che assistono costantemente ad una “notte dei lunghi coltelli” e minano l’incrollabile volontà di cambiamento di quelle centinaia di migliaia di volontari della politica che sono i militanti del PD, stanchi “peones” utilizzati per ogni esigenza: Oggi cuciniere al Festival dell’Unità, domani delegato ad un Congresso già scritto.
 
Occorre dunque una grande prova democratica della base del PD nei congressi di circolo e di federazione perché insieme al necessario rinnovamento della classe dirigente avanzi un progetto davvero concreto di superamento del sistema di valori riferimento della società attuale. Occorre una prova di democrazia che dalla base degli iscritti dia un esempio di prassi politica a quei dirigenti che hanno ricordi troppo vaghi e lontani dei loro studi presso la scuola di partito.

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