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The Breeze Kings: l’ossessione per il Blues diventa la brezza calda di un’armonica

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The Breeze Kings
TJR photography

Seduta ad un piccolo tavolino da caffè, nel patio della Northside Tavern, incontro il fondatore dei Breeze Kings, il gruppo che suona ogni giovedì sera su questo palco e che da più di 15 anni calca le scene della musica Blues di Atlanta: Carlos Breeze Capote. Se ne sta seduto di fronte a me, rilassato nella sua postura: quieta e riservata, come lui. 

Lo sguardo assorto e poi d’un tratto i suoi occhi scuri mi guardano curiosi quando aziono il play del registratore.

- Quindi, aspetta un attimo... di cosa si tratta? Vorresti sapere dei Breeze Kings, di questo posto, o della musica Blues in generale? - 

Metto in pausa.

- Sono interessata a te, ai Breeze Kings e alla loro storia.-

Così iniziamo questo viaggio nel tempo, e dimentico che è il 2014 come sempre mi accade quando sono in questo posto, e Carlos con la sua voce calda e melodica, inizia ad accompagnarmi nei suoi ricordi e nella sua storia di passione e amore per il Blues.

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The Breeze Kings
Gregg Shapiro (Bass), Carlos Breeze Capote (Harp&Vox), Jim Ransone (guitar), Trevor Roberts (drums) TJR Photography

- Ho iniziato a venire qui il lunedì sera, quando c’era la Jam session, era la fine del 1995. A quel tempo frequentavo il Georgia Tech e mi ero spostato ad Atlanta dalla Florida. Sapevo suonare un pochino, ma ancora non ero mai salito su un palco. Venivo ogni settimana per passare la serata, conoscere i musicisti e fare domande sulla musica. 

Mi sedevo con loro qui in questo patio, e chiedevo Come si fa questo? Come si fa quello? E tutti loro rispondevano gentilmente alle mie domande. Ogni Lunedì sera ero qui per imparare da loro... ed ero già “ossessionato” da questo genere di musica: il Chicago Blues Classico degli anni ’50 e ’60. L’amavo. L’amavo. L’amavo! L’atmosfera che respiravo era magica e questo al tempo era il solo posto dove si poteva ascoltare della buona musica blues e dove i migliori venivano a suonare. Ed io volevo esserne parte.-

E furono proprio quei musicisti con i quali si sedeva a chiacchierare e imparare, a invitarlo a farne parte dopo pochi mesi, portandolo sul palco a suonare con loro. 

- Questo è stato il primo posto dove io abbia mai suonato in vita mia di fronte a tutti - mi confida, e seguendo con attenzione il suo racconto mi accorgo di come quel Lunedì sera segnò il primo passo verso una serie incotrastata di coincidenze che lo portarono in poco tempo a far parte di quella comunità di cui ormai non riusciva a fare a meno. 

- Il venerdì della stessa settimana Stoney Brooks mi disse: Hey, ho saputo che lunedì hai suonato e sei stato grande, che ne dici di suonare con noi il week-end quando il posto è pieno?, ecco diciamo che questo è come tutto è iniziato per me... - 

Era la fine del 1995 e all’inizio del 1996 Danny Mudcat, il musicista che aveva iniziato a tirare su la comunità Blues della Northside Tavern lo invitò a suonare con la sua band. 

Mudcat iniziò a portarlo in giro con sé ovunque suonava in città e in tour nel Sud Est.

Poi si aggiunse Slim Fatz che lo invitò a suonare con lui. 

- Questa è stata la mia scuola... avevo messo su quelle quattro, cinque canzoni che suonavo durante la Jam del lunedì, e ormai mi stavo innamorando di questo posto e di questa comunità.- 

E mentre Carlos si innamorava del Blues e della gente con cui collaborava, qualcun altro entrò alla Northside e gli disse che aveva bisogno di un’armonica, e così divenne parte degli Smokestack Lightnin’.

Tra il 1996 e il 1997 si divideva tra la Jam session del Lunedì, Slim Fatz il Martedì, Mudcat il Mercoledì e nel week-end Stoney Brooks, e poi c’erano gli Smokestack lightinin’... Mudcat deve aver pensato che Calros non fosse abbastanza impegnato e gli propose di fondare la sua band...

- E tu che hai risposto? - 

- Forse, forse, forse...-

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Carlos Breeze Capote

Ma quando la vita chiama, non si può farla aspettare. E così accadde che la band che suonava ogni Giovedì fu licenziata e la proprietaria della Northside, Ellyn Webb lo chiamò a casa:

- Il Giovedì sera sarà libero dalla prossima settimana e tutti vogliono che sia tu a prendere il posto. E’ il tuo turno, hai inziato qui due anni fa, spetta a te.”-

- Così mi misi a chiamare gente, chi può suonare con me il Giovedì? - e fu così che la prima versione della band fu messa su con una lista di circa 14 canzoni, tutte covers di vecchie canzoni blues. 

Era un giovedì di Ottobre del 1997. 

- Quando il primo chitarrista mollò qualcuno mi disse di contattare Jim Ransone degli Urban Shakedancers. 

Non si conoscevano ancora, ma Carlos lo aveva sentito suonare ed era un suo fan, così lo invitò alla Northside. Jim se ne stette tutta la sera in silenzio seduto a bere e lo ascoltò suonare, senza mostrare il minimo entusiasmo.

- Pensavo non gli fosse piaciuto. Quando ho finito sono andato da lui e gli ho chiesto: allora che ne pensi? Vorresti far parte del gruppo e suonare con noi il Giovedì? -

E con sorpresa si sentì rispondere: Sicuro!

Era il primo gennaio del 1998. E quella data segnò l’inizio di una lunga collaborazione artistica e di un’amicizia che dura ormai da più di quindici anni. 

Jim (Chitarra) e Carlos (Armonica e Voce) da quel momento sono stati inseparabili. Gli altri due elementi (Basso e Batteria) sono cambiati diverse volte nel corso di queste decadi e li vogliamo ricordare perché segnano le tappe cronologiche e artistiche di questo Blues-Trip fino ad oggi.

Al basso: Dave Roth, Matt Sickels, Aaron Trubic, Gregg Shapiro.

Alla batteria: Joe Caprara, Mark Yarbrough, Tim Gunther, Theron Peterson, Terrence Prather, Trevor Roberts.

- Come è nato il nome Breeze Kings? -

- Mudcat inziò a chiamarmi Breeze... perché suono l’armonica... oppure Cool Breeze, Mr Breeze, e King è un nome molto popolare nella tradizione Blues... BB King, Freddie King, Albert King, tutto ritorna agli anni ’50... c’è qualcosa di legato alla regalità, Ike Turner e i suoi Kings of Rythm...The Aces... e così quando io e Mark stavamo decidendo il nome della band, sapevamo che volevamo qualcosa che avesse la parola King all’interno, per mantenere la tradizione... ma non riuscivamo a tirar fuori nulla... poi un giorno Stoney Brooks disse Beh, è la band di Carlos, tutti lo chiamano Breeze...che ne pensate di Breeze Kings!

Tutti erano d’accordo e così la band fu battezzata.

Breeze...vento, soffio, brezza... nella mia lingua. Ripenso alle sere trascorse qui ad ascoltare Carlos e la sua band, il ritmo di quel Blues che mi fa ballare l’intera notte, il soffio caldo della sua armonica, la voce roca e avvolgente.

Quando lo osservo durante le pause, lo trovo spesso seduto su un piccolo divano di pelle marrone, vicino la porta d’ingresso della taverna, e mentre gli altri tre elementi suonano e la sua voce riposa, lui li guarda, tiene il tempo con i piedi e il capo lo accompagna. 

E ora che conosco la storia penso: un Re magnanimo seduto su un trono di semplicità, umanità, passione e temperanza. Gli altri membri del gruppo non sono i suoi sudditi, sono tutti Re di se stessi, e il loro regno è quello del Blues. 

The Breeze Kings... niente di più azzeccato.

Non importa quante strade siano state percorse da Carlos e i suoi Breeze Kings, nessun posto è per lui come la Northside Tavern. L’origine, le radici, un luogo speciale che non ha confronto.

- Questa è casa, questo è il posto dove abbiamo suonato per 18 anni ogni giovedì sera, questa è la fonte, il luogo dal quale il sangue scorre. Mudcat ancora suona qui e organizza uno dei festival della musica Blues ogni anno, il Chicken Raid, la Jam di Lola è ancora qui, e alcuni dei migliori musicisti in città ancora suonano qui ogni week-end, nessuno vuole lasciare questo posto. I frequentatori sono eterogeni, giovani, vecchi, turisti, locali e chiunque viene, dall’Europa o da altre parti, sente che questo posto è speciale appena ci mette piede dentro. Insomma nel cuore sai che forse non sarà qui per sempre, ma dentro di te, desideri che non muoia mai.-

Così come non si vuole che alcuni posti sacri scompaiano, allo stesso modo non si vogliono perdere le tradizioni, una di queste è quella che chiamano “sitting in”, “vieni, unisciti a noi e suoniamo insieme”, mi dice Carlos raccontandomi di quanto sia importante questa condivisione nel mondo della musica.

- Magari non è Giovedì sera e sto suonando altrove, ma quando ho finito, se passo di qui, capita che dico, fammi fermare e prendere una cosa da bere e vedere chi c’è, perché so che ci sarà di sicuro uno dei miei amici, capisci che intendo? - 

Sì, e mi viene in mente una tribù. Una tribù di musicisti uniti dalla stessa passione. 

E sorrido, pensando a come l’amore per la musica, a volte, possa segnare la rotta di una condivisione più profonda, far nascere amicizie che durano una vita, come quella che lega Carlos e Jim e che ha dato nutrimento ai Breeze Kings per tutti questi anni al ritmo di Blues nelle notti calde di questo Sud.

Che cos’è il Blues per te? -

- Che cos’è per te? C’è qualcosa nel Blues che semplicemente connette con la persona. E’ reale, sembra che indipendentemente da quando la canzone sia stata scritta, 1920 o nel 2014, funziona per chi l’ha scritta e funziona per la chi l’ascolta...certo questo è il potere della musica in generale, ma in qualche modo il Blues raggiunge a livello profondo, ha qualcosa di molto personale, vero, umano, insitintivo e primitivo, scende giù fino al centro delle emozioni umane, parla d’amore, di tristezza, di felicità, di celabrazione come del dolore, e queste sono cose reali che quando vengono espresse bene in musica semplicmente risuonano in chi l’ascolta, ti colpiscono dentro e ti fanno ricordare. Ha tutti i colori, come la vita. C’è qualcosa di magnetico, sembra quasi che ti abbracci, e da quel momento inizi a sentirne sempre di più la necessità. Sembra quasi che qualcuno ti stia bussando sulla spalla e ti accorgi che quelle parole sono state scritte per te, per quel momento della tua vita, mentre se penso ad altri generi di musica più contemporanei, non credo abbiano la stessa forza, non parlano all’anima. A volte le mie figlie mi fanno sentire alcune canzoni pop che loro adorano e io le ascolto e magari posso dire quale preferisco, posso apprezzarne il ritmo, e posso riconoscere in alcune il gusto e la conoscenza del musicista che c’è dietro quel pezzo, ma c’è qualcosa nel Blues che risuona dentro, tutti diranno più o meno la stessa storia a riguardo... L’hanno ascoltata, si sono innamorati e poi è diventata un’ossessione, e poi non si tratta solo della passione per questo genere, ma anche per la comunità che lo rappresenta. Ecco perché anche se a volte ho pensato di andare a vivere da altre parti, alla fine, mi chiedo sempre come sia possibile ricostruire questo gruppo speciale di persone e musicisti che esiste in questo posto e del quale faccio parte. -

Il focus originale dei Breeze Kings è sempre stato il Chicago Blues degli anni ’50 e ’60,  e se lui e Jim sono sempre andati d’accordo è perché entrambi potrebbero ascoltare all’infinito tutti i dischi di Allen Wolf, Muddy Waters e Little Walter e potrebbero suonarle fino alla nausea. Ma ciò non toglie che sappiano apprezzare anche altri generi di Blues, il Delta Blues di Elmond James o un po’ di West Coast Jump Blues. 

Resta il fatto che a un certo punto è necessario inziare a pensare alla propria musica e a farla e lì, ci si mette in gioco sul serio e in qualche modo alla domanda “qual è la miglior canzone che hai scritto...” si fa sempre fatica a rispondere. Soprattuto se come Carlos si ha un forte rispetto per i maestri che si sono raccontati, soprattutto se come lui si ha un grande rispetto per le tradizioni e la storia che non deve essere mai dimenticata.

- Il Blues è qualcosa di totalmente Americano. E’ nato da un momento storico ben preciso. E’ nato dalla schiavitù e dall’oppressione delle persone che hanno cercato di esprimersi e quando ascolti pezzi di quegli anni, ti accorgi di quanta storia raccontano. Esiste un valore culturale pronfondo, che anche a distanza di anni non può essere dimenticato. Deve essere documentato, rispettato, trasmesso. Anche quando scrivo una nuova canzone, cerco di portarne la tradizione all’interno. -

- Non saprei quale sia la mia canzone preferita, ogni volta che si crea arte, appartiene a quel preciso momento, è una fotografia, se sei uno scultore o un pittore potresti continuare a lavorare alla stessa opera all’infinito, e non è mai finita per te. Semplicemente decidi che devi fermarti e metti un punto. -

E il più delle volte quando la riguardi c’è sempre qualcosa che vorresti cambiare...

- Anni dopo quando riascolto un pezzo che ho scritto che in quel momento ho pensato fosse ben fatto, mi dico sempre, avrei potuto suonarlo diversamente, avrei potuto farlo meglio...La mia miglior canzone? Spero di non averla ancora scritta. -

Esiste poi, un’ enorme differenza tra creare la propria musica e esibirsi.

Sono due piaceri diversi. Raccontano due mondi distanti ma necessari per completarsi. 

Nel primo caso si è protetti, si esplora, si procede per tentativi, salti e pause. E poi si decide di mettere un punto. Come dice Carlos. 

Nel secondo, si è nella giungla. Si espone qualcosa di molto personale e non si sa mai come verrà ricevuto quel pezzo di te.

Fa paura, ma al tempo stesso l’incontro con il pubblico diventa una dipendenza e non si può farne a meno.

- Il pubblico sta lì, seduto davanti a te e sembra quasi di stare a cena con una caro amico che ti ascolta. -

Non si sa mai cosa penserà la gente di quello che hai condiviso.

E tu puoi solo continuare a farlo.

Del resto è una necessità, come diceva Rilke in Lettere a un giovane poeta.

E il mio augurio per Carlos e i suoi Breeze Kings è quello di continuare a condividere anche quei pezzi di carta con parole alla rinfusa, lasciati in un cassetto, perché si è pensato che non fossero abbastanza.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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