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Shalit presto libero (forse)

Così pare che sia vero. Dopo cinque anni di prigionia, ma senza aver avuto alcuno di quei diritti universalmente riconosciuti, tipo visite di parenti o di avvocati o almeno di un funzionario della Croce Rossa...

 

Diritti per i quali i detenuti palestinesi - appoggiati dall’opinione pubblica internazionale - hanno iniziato un legittimo sciopero della fame, pare che Gilad Shalit - il soldato israeliano rapito nel 2006 - venga alla fine rilasciato-scambiato vivo (già questa sarebbe una novità, di solito i soldati rapiti sono stati restituiti cadaveri) con un migliaio di detenuti palestinesi fra cui molti ergastolani, come il druso libanese Samir Kuntar che uccise una famiglia israeliana durante un’incursione terroristica, massacrando anche una bambina di quattro anni.

Le notizie si intrecciano ma pare proprio che la trattativa tra Hamas e il governo israeliano sia stata condotta con la mediazione di tedeschi ed egiziani, mentre i turchi sarebbero stati gentilmente messi da parte. Il nuovo Egitto segna quindi un buon punto dopo che le esplosioni al gasdotto del Sinai, l’attentato di Eilat con relativa uccisione di per errore di soldati egiziani ed infine l’attacco all’ambasciata israeliana del Cairo avevano drammaticamente portato le relazioni fra i due paesi al limite della rottura.

Anche Hamas segna un bel punto, dopo che, per alcune settimane, era finita nell’ombra per l’iniziativa di Abu Mazen, salito agli onori della cronaca con la richiesta di riconoscimento dello Stato di Palestina avanzata all’ONU. Richiesta che ha ben poche possibilità di tradursi in fatti concreti sia per l’annunciato veto americano, sia per l’impraticabilità di strutturarsi effettivamente come stato senza un preventivo accordo sostanziale con Israele.

Nel gioco delle parti in casa Palestina salgono sul palcoscenico ora i radicali dello scontro continuo, ora i moderati degli accordi (e delle busterelle, a sentire i loro detrattori) sottobanco. Ogni tanto si scambiano i ruoli, così, dopo aver visto Abu Mazen irrigidirsi e rifiutare ulteriori compromessi con il nemico sionista, ora assistiamo all’improvvisa apertura trattativista dei duri e puri. Un qualcosa che sa più di rivalità interna continuata e aggravata che di vera politica estera.

Adesso, ci dicono molti commentatori, Abu Mazen potrebbe trovarsi in difficoltà visti gli scarsi risultati ottenuti finora (inutile dirlo, trattare con Netanyahu non deve essere facile, ma riuscire ad ottenere una moratoria degli insediamenti di quasi un anno e non fare un passo nella trattativa, salvo poi pretendere il blocco delle costruzioni dopo aver fatto scadere la moratoria stessa, non appare come una gran prova di strategia politica vincente).

Hamas potrebbe invece sventolare come un gran successo l’aver potuto piegare l’inossidabile nemico di sempre fino ad uno scambio inverosimile di mille a uno.

Per la famiglia Shalit oggi è giorno di festa (sempre che domattina non ci si svegli con l’ennesima delusione). E lo è anche per un migliaio di famiglie palestinesi. Ma uno scambio di 1000 a 1 potrebbe stuzzicare l’appetito di molti; e se questi molti vorranno seguire l’esempio e proseguire con la strategia dei rapimenti? Quello di Shalit è costato centinaia di vite nella (prevedibile) reazione israeliana; speriamo che gli strateghi palestinesi (e anche qualcun altro) se lo ricordino.

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