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Renzi e Berlusconi, la premiata bottega degli errori

Esistono tanti modi per far cadere nell’oblio i “fatti scomodi”, in Italia si è scelto di approfittare di una congenita propensione alla celere dimenticanza.

Così lo scandalo Expo è stato lavato via dalla vittoria del Pd alle europee, quello del Mo.se dalla triste scaramuccia sui ballottaggi delle amministrative e, infine, possiamo star certi che tutti i malumori e i dubbi saranno sopiti dalla spedizione calcistica ai mondiali del Brasile. Solo se la nazionale venisse eliminata al primo turno saremmo abbastanza incazzati da ricordare “forse” tutto di botto! 

Ogni singolo avvenimento, positivo o negativo che sia, pare venga puntualmente utilizzato per coprire lo scomodo persistere agli onori delle cronache del precedente, terra sporca che seppellisce terra sporca. Il metodo della Terra dei Fuochi è stato innalzato a propaganda… e funziona da Dio.

Dunque anche gli scandali possono tornare utili, basta farli diventare anch’essi strumenti di distrazione di massa. Il loro avvicendarsi frenetico è tanto destabilizzante quanto gravido di arresa e collettiva rassegnazione. Nulla potrà mai cambiare, tutto è incontrollabile e sideralmente fuori dalle nostre possibilità. L’impotenza regna sovrana! E non sappiamo quanto la nostra impotenza possa tornar utile.

Di fattacci, grandi e piccoli, ce ne sono davvero tanti in giro, un vero coacervo di indecenze dove la nostra concentrazione inevitabilmente si perde e deprime: dai macroscandali delle opere pubbliche al rinvio a giudizio di Renzi per le sue spese pazze alla provincia di Firenze, dall’arresto di Scajola alla “indefessa latitanza” di Dell’Utri, e la lista potrebbe continuare a lungo. Tutti questi eventi restano però come perennemente sospesi, incastonati nell’ambra dell’omertà politica.

È in atto una sorta di sfacciata resistenza delle istituzioni nei confronti della loro evidente decadenza. Se ne parla, si denuncia, ci si scandalizza ma loro riescono quasi ad armarsi di tale condizione e continuano imperterriti a testa bassa. Sì, ogni tanto per chetare gli animi, si promettono soluzioni, si grida al daspo – addirittura all’alto tradimento -, anche se Genovese e Cuffaro percepiscono ancora le loro indennità mentre il disgraziato Miccichè si è visto costretto a presentarsi alle europee per non patire la fame con solo 4000 euro al mese, ma possiamo star certi che ben presto saremo colti dalla solita amnesia che ci ridurrà in silenzio, e così i nostri onesti rappresentati non avranno più bisogno di fingere di mostrarsi così crudeli con “gli amici degli amici degli amici.” 

Anche la propaganda del nuovo potentato politico è cambiata, dal basso è diventata evidentemente di scuola berlusconiana, nell’arena mandano fiere del calibro di Pina Picerno, la cui parola d’ordine è “sono posseduta dalla Santanché”. Ma questa pandemia di provocatoria mediocrità colpisce indiscriminatamente e senza alcun preavviso e inonda di irritante favella dormienti storici trasformatisi d’un tratto in piccoli Gasparri in erba, come il ripetitore Faraone, il clone delegato Nardella e il volto nuovo strappato ingiustamente alla secolare soap Centrovetrine Matteo Richetti

Dall’alto dell’esecutivo, au contraire, la propaganda è quasi “olimpica”; fintamente serena, ingannevolmente pacificatoria e, data la distanza, assolutamente rarefatta: nell’empireo abbiamo falsi dei! Primi ministri che pubblicamente ciarlano senza vergogna sui figli degli italiani e poi stringono patti con la peggior senescenza della nazione, incompetenti – ma serafiche  madonne rinascimentali che hanno – Dio solo sa come – un numero non ben definito di incarichi; facce d’angelo che, sotto preciso ordine del Silla alla finocchiona, trombano Corradino Mineo dalla commissione per gli affari costituzionali perché non in linea con l’idea malsana di realizzare lo sfascio totale delle istituzioni democratiche – atto di prepotenza che ha portato 13 senatori ad autosospendersi. Insomma dei camaleonti, dei mutanti dell’occorrenza, volti senza idee, ma con obiettivi altrui ben precisi e radicati; fantocci di mestiere, incubati nell’amnio del buonismo, alimentatati con la retorica spicciola dello spot televisivo e della superficialità spacciata per sostanza.

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