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Peppino Mereu: la poetica sociale ed esistenziale di uno ‘scapigliato’ sardo (parte 1^)

Da piccolo mi capitava spesso di compiere in pullman il tragitto che congiunge Sorgono (io e la mia famiglia, allora, abitavamo in quel paese) a Nuoro. Mio padre, che era dipendente dell’azienda dei trasporti pubblici, mi portava con sé semplicemente per farmi conoscere ‘la città’ o quando a Nuoro era necessario sbrigare piccole particolari incombenze che riguardavano anche me. Io ero sempre contentissimo di andarci, naturalmente; Nuoro era la città dalla quale venivamo e alla quale, qualche anno dopo, saremo definitivamente tornati a vivere. Mi ero abituato a quelle sveglie di primo mattino (si partiva, più o meno, alle cinque, prima che il sole sorgesse) e mi piaceva viaggiare al fresco e attraversare tutti quei piccoli paesi immersi nel verde adagiati sul percorso attraverso cui si raggiungeva il capoluogo barbaricino: Tiana, Ovodda, Gavoi, Ollolai, Orani, Sarule, Oniferi.

Tra Sorgono e Tiana, subito dopo il valico di S’isca e’sa mela (posto incantato ideale per i miei déjeuner sur l’herbe di ragazzino) la svolta per Tonara, villaggio montano tra i più caratteristici e attraenti della zona. Ho ancora nitidamente impressi nella mente i suoi paesaggi profondamente suggestivi, le sue campagne lussureggianti. Ho ripensato a queste piccole cose della mia infanzia (che possono aiutare chi non conosce i luoghi a inquadrare geograficamente il paese di Tonara) mentre leggevo le poesie di Peppino Mereu, il grande poeta tonarese che ha nobilitato l’arte poetica in lingua sarda. Pur non andando molto oltre i particolarismi letterari e le specificità formali che sono proprie dell’espressione poetica dialettale sarda, l’opera di Peppino Mereu andrebbe apprezzata per i suoi contenuti universali ancora validissimi e non soltanto per la capacità intrinseca delle composizioni poetiche di rappresentare gli aspetti sociali ed economici della Sardegna e della Barbagia del tempo in cui furono scritte. Mereu era particolarmente legato a Tonara. Il suo era un rapporto viscerale e simbiotico, espressione di un amore totalizzante per i luoghi e le ricchezze naturali di cui è dotato il piccolo centro montano. In una delle sue poesie più conosciute, quella, appunto, intitolata al suo paese natio, Mereu, dopo aver definito Tonara cara, santa e benedetta dalle muse, descrive così il paesaggio che è tipico dei luoghi che lo hanno visto venire al mondo:

‘Majestosas muntagnas/fizas de su canudu Gennargentu,/ch’in sas virdes campagnas/sas nucciolas bos faghent ornamentu;/seculares castagnas/chi supervas alzades a su bentu/virdes ramos umbrosos,/dulche nidu de cantos pibiosos://semper bos sogno, vanu/però est custu sognu, it’amalgura!’

Con inusitata capacità di sintesi, venati dall’amara malinconia dell’uomo che per un motivo o per un altro è costretto a stare lontano dal proprio paese, i versi rappresentano gli aspetti più immediatamente percepibili, quelli naturalistico-ambientali, di un villaggio e di un territorio intero che mai hanno goduto di fortune turistiche nonostante siano, la circostanza è ben conosciuta dai sardi, tra i più ameni e caratteristici dell’isola di Sardegna. Se nell’ambito dell’opera di Mereu Tonara fa spesso da sfondo, tuttavia il poetare di Peppino non si limita alla celebrazione in versi del tanto amato paese natio. L’opera di Mereu, infatti, è molto più complessa di quanto possa sembrare a un primo superficiale approccio. Vale la pena dilungarsi sugli elementi biografici, storici, letterari e contenutistici che hanno permeato di sé l’opera del tonarese. Essi hanno contribuito a determinare l’alto spessore della scrittura di questa singolare figura di poeta cantastorie di cui nel 2012 ricorrono i 140 dalla nascita.

La tormentata vicenda esistenziale di Peppino Mereu è in larga parte leggendaria e avvolta nel mistero. Sono pochissime le notizie certe e incontrovertibili che riguardano la vita e la morte del poeta. I dati di sicura veridicità, tutti desunti da archivi pubblici, concernono le date di nascita e di morte del poeta, la composizione della sua famiglia, il servizio prestato presso l’Arma dei carabinieri reali e quello, piuttosto breve, prestato presso il Municipio di Tonara. Quarto di sette fratelli (i loro nomi sono Edoardo, Manfredi, Elvira, quello di mezzo Peppino, appunto, Matilde, Rinaldo ed Emilia) Giuseppe (Peppino), Ilario, Efisio, Antonio, Sebastiano Mereu venne alla luce a Tonara nel primo giorno di Gennaio del 1872. Perde entrambi i genitori prematuramente: la madre Angiolina Zedda muore a Cagliari nel 1887, il padre Giuseppe, medico del paese, nel 1889, per aver ingerito erroneamente una sostanza letale scambiata per liquore. Alla morte del padre Peppino ha diciassette anni. Si ipotizza una sua frequentazione scolastica fino alla terza elementare; essendo Tonara villaggio sfornito di scuole in quei primi lustri postunitari, si propende generalmente per la tesi della formazione del tutto autodidattica del poeta [1]

Che il poeta disponesse comunque di una formazione lo possiamo desumere dalla lettura dei suoi versi. Nello specifico, leggere l’opera poetica di Mereu porta ad avvicinarsi confidenzialmente al suo raffinato verseggiare, alle riflessioni in certo qual modo ‘filosofiche’ a cui il poeta si lascia andare quando affronta argomenti di portata universale come le sofferenze che fanno parte dell’umana esistenza e la morte e la giustizia, alla ricchezza descrittiva con la quale egli, con ricercato linguaggio, raffigura gesti e circostanze, comportamenti e particolari aspetti della quotidianità delle persone che abitano l’amato villaggio. Che dovesse aver letto molto e non solo in lingua sarda è inoltre dimostrato da alcune influenze letterarie che Mereu, uomo dei suoi tempi, ha trasfuso nei suoi versi. Ciò è accaduto soprattutto nelle composizioni poetiche in cui il tonarese affronta argomenti di interesse più generale, in quelle più ‘contestatarie’, per esempio, in quelle, poi, che documentano l’approccio particolarmente commosso e critico del poeta nei confronti delle difficoltà esistenziali dei meno fortunati, del potere costituito e di una giustizia che gli appare sempre poco giusta [2]. Queste influenze per cosi dire ‘esterne’, vengono ricondotte agli scritti dei poeti della scapigliatura, alle poesie di Olindo Guerrini (pseudonimo di Lorenzo Stecchetti) [3] e, per altri versi, a Giuseppe Giusti, poeta satirico toscano vissuto tra il 1809 e il 1850, il cui stile può essere facilmente rinvenuto in alcune delle poesie meno intime di Peppino, in quelle più irriverenti, pungenti e goliardiche nei confronti della politica e del potere.

Il movimento degli scapigliati costituisce un fenomeno letterario che si inserisce in un mondo in rapido divenire sotto i diversi profili politico, sociale, di costume, culturale. Il movimento nasce sulla scia delle tendenze letterarie realistiche e simbolistiche molto diffuse in Francia e accoglie intellettuali come Arrigo e Camillo Boito, Carlo Doni ed Emilio Praga tra gli altri. Gli scapigliati vengono presentati dallo scrittore milanese Cletto Arrighi (alias Carlo Righetti), vissuto tra il 1828 e il 1906, come il vero pandemonio del secolo e ‘pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati, turbolenti’. Ritroviamo in Mereu la stessa indole ribelle e fortemente polemica che aveva caratterizzato il pensiero degli scapigliati, i cui obiettivi consistevano in una dura critica alla borghesia, al piatto andamento della normalità delle cose, al positivismo.



[1] Molte delle informazioni biografiche su Mereu sono state attinte dal sito www://nuke.peppinumereu.it curato dal Collettivo Peppino Mereu, organismo che ha avuto il merito di avere svolto, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento una amorevole e paziente opera di ricerca storico-biografica, oltrechè di raccolta delle opere di Mereu. Il lavoro del collettivo ha portato alla pubblicazione dell’opera del poeta di Tonara.

[2] Scrive Mereu in ‘A Nanni Sulis II’: ‘Deo no isco, sos carabineris/in logu nostru prit'est chi bi sune,/e no arrestant sos bangarrutteris./Bi cheret una furca e una fune,/e impiccar'impiccare continu,/finas a si purgare sa Comune.’

[3] Il debito per così dire ‘stilistico’ nei confronti del Guerrini risulta particolarmente evidente nella poesia Dae una losa ismentigada (Da una tomba dimenticata): 1.Non sias ingrata, no, para sos passos,/o giovana ch' in vid' happ'istimadu./Lassa sas allegrias e ispassos/e pensa chi so inoghe sepultadu./Vermes ischivos si sunt fattos rassos/de cuddos ojos chi tantu has miradu./Para, par'un'istante, e tene cura/de cust' ismentigada sepoltura./2. A ti nd'ammentas, cando chi vivia/passaimis ridend'oras interas?/Como happ' una trista cumpagnia/de ossos e de testas cadaveras,/fin' a mortu mi faghent pauria/su tremendu silenziu 'e sas osseras./E tue non ti dignas un'istante/de pensare ch' inog’ has un amante!

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