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La lingua del disonore

La lingua del disonore

Il comune di Como ha istituito la segreteria telefonica in dialetto comasco, il comune padovano di Battaglia Terme ha previsto l’esame di dialetto veneto per gli aspiranti vigili urbani: due esempi di come l’ideologia leghista arrivi al ridicolo, ma con una grave verità che ne sta alla base.

Il dialetto - che tali sono gli idiomi derivati dalla lingua nazionale di base - è l’espressione colloquiale familiare, quella che si acquisisce naturalmente con il latte materno, e che rimane tale nei rapporti più profondi, come quelli tra consanguinei o tra conterranei fuori dai propri confini. Questo se in famiglia marito e moglie provengono dallo stesso territorio, perché altrimenti viene adottato un linguaggio comune che è la lingua madre italiana e che mette tutti d’accordo - piemontesi e siciliani, fiulani e calabresi - anche quando ci incontriamo all’estero. La lingua nazionale, dunque, come terreno comune di dialogo, mentre il dialetto è un codice interpersonale per distinguersi dagli altri.

Ai tempi del mio liceo a Mestre non esisteva che entro i confini scolastici anche solo si accennasse al dialetto: l’uso dell’italiano al classico non era un’imposizione, quanto una specie di codice per distinguersi - culturalmente e socialmente - dagli altri istituti. Così un giorno decisi di telefonare ad una mia compagna per invitarla fuori; mi rispose la madre in perfetto italiano e, alla mia richiesta di avere all’apparecchio la figlia, la sentii chiamare: "Luisa, i te vol al teefono!". Rimasi di stucco: mai avrei sospettato che la mia compagna conoscesse anche il dialetto.
La guerra tra lingua nazionale e dialetto è sempre vinta dalla prima. Prendete dieci bambini nati e cresciuti in Alto Adige (dove non si parla il tedesco di Bonn, ma il dialetto tirolese), cinque di gruppo italiano e cinque di gruppo tedesco, e metteteli a giocare insieme: pur non conoscendo la lingua dell’altro gruppo a poco a poco tutti impareranno a parlare in italiano.

Lingua e dialetto storicamente hanno rappresentato la stratificazione sociale delle classi. Contro il signore che "parlava forbito" il villano si è rifugiato nella sua "lingua", e lo stesso italiano (il volgare) ha preso il sopravvento sul latino ufficiale quando l’impero romano con tutte le sue gerarchie dominanti si è dissolto. Non è azzardato supporre che nel futuro l’inglese - lingua ufficiale degli scambi commerciali e di Internet - soppianterrà le varie lingue nazionali per un interclassismo globale.

E questo è sempre avvenuto (e avverrà) naturalmente, senza il ricorso a leggi o ad ordinanze comunali: la lingua si evolve da sola, ed in fretta, senza che il potere abbia mai potuto fare alcunché per contrastarne lo sviluppo.

Voler equiparare gli infiniti dialetti locali alla lingua nazionale è dunque, oltre che antistorico, anche sintomo di una grave verità di fondo: il progressivo decadimento culturale di certe zone. Parlare in dialetto per molte persone è l’unica maniera di esprimersi, dal momento che non conoscono la lingua italiana. E’ un sintomo - peraltro accertato anche fra i laureati - della scarsa o nulla conoscenza della lingua di Dante, è un mascherare la propria ignoranza, è la denuncia inconsapevole del fallimento della nostra scuola, in certe zone abbandonata precocemente per rincorrere un guadagno immediato.

Il dialetto sta ritornando ad essere uno strumento di classe, non più per distinguersi oggi dalla classe dominante, quanto perché oltre al dialetto molti non sanno andare. Per chi ne ha fatto una bandiera ideologica non è un grande onore.

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