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La difesa degli indifendibili

La difesa degli indifendibili

Nello stretto giro di parenti e conoscenti nessuno, di fronte alla notizia di un arresto, accetta la realtà, nemmeno nel caso che il colpevole sia stato trovato con la pistola fumante: "Era un bravo ragazzo - si sente ripetere sempre -, un ragazzo tranquillo". E’ normale, perché ammettere di avere tra i parenti più stretti o tra gli amici un criminale significa ribaltare i valori su cui ci eravamo basati, fino a quel momento.

E’ normale, quindi, anche il serrate le fila ordinato dal premier ai suoi attorno prima a Scajola, poi a Brancher, ora a Verdini e Cosentino. Il fatto è che la realtà è ben diversa da come la immagina il cavaliere, e far finta di niente non risolve i problemi di una maggioranza che si va sgretolando giorno dopo giorno.

Meno normale è la reazione dei diretti interessati: nessuno è colpevole, è solo un polverone, è solo fango gettato su persone rispettabili dai soliti magistrati rossi che complottano contro Berlusconi. Peccato che spesso costoro di rosso abbiano ben poco: come rileva Phastidio.net "basterebbe prendersi la briga di andare a controllare, e si scoprirebbe che Luca Palamara è di Unità per la Costituzione, mentre Piercamillo Davigo è di Magistratura Indipendente. Le due correnti più moderatamente destrorse della magistratura associata italiana".

Eppure tutti si dichiarano innocenti (e tali sono fino a sentenza definitiva, per la verità), anche se dovrebbe esistere un’etica in base alla quale i signori indagati dovrebbero almeno tenere la bocca chiusa, almeno fino alla sentenza - in un senso o nell’altro - del tribunale che agisce, è bene ricordarlo, in nome del popolo italiano. La dichiarazione preventiva di innocenza fa l’effetto contrario, e più gli interessati e gli amici si ostinano a difendere l’indifendibile, e più nell’opinione pubblica si radica l’opinione della loro colpevolezza. Molto meglio sarebbe tacere e rimettersi alla clemenza della corte.

Il momento per questa maggioranza non è facile. Berlusconi sa benissimo cosa sta succedendo attorno a lui, tra diatribe interne con i finiani e con Tremonti, inchieste giudiziarie che stanno venendo a galla una dopo l’altra, come gli gnocchi in una pentola in ebollizione, ed un nuovo fronte di conflitti, aperto stavolta da un fedelissimo del premier come Galan contro la fedelissima Lega, rea di coprire i malfattori delle quote latte.

Come in una partita di battaglia navale, quando il fuoco nemico arriva vicino, prima o poi anche la corazzata più potente viene colpita. Che poi è nella logica del diritto, oltre che nel buon senso: Tanzi è stato condannato perché non poteva non sapere del crac che stava investendo la Parlamat, il direttore di un giornale viene co-imputato assieme al proprio giornalista in caso di reato a mezzo stampa. Perché esiste una responsabilità oggettiva di chi dirige o deve controllare.

Come per il genitore di un minorenne, un capo del governo non può chiamarsi fuori dal gioco losco che avviene attorno al tavolo del consiglio dei ministri: se ne è a conoscenza è correo, se ne è all’oscuro non può dirigere un esecutivo senza sapere cosa fanno i suoi più stretti collaboratori. Se non sarà un tribunale umano a giudicarlo, c’è sempre il tribunale della storia ad emettere la sentenza.

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