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La collana ‘Ciclopis’ di Ediciclo: Zannoner e Nori

Ediciclo editore nasce nel 1987 con l’intento di concentrare ogni sforzo editoriale verso pubblicazioni che raccontassero storie, mondi, realtà, attraverso i transitare in bicicletta.

Dalla prima collana (‘Il Grimpeur’) dedicata alle salite in bicicletta, ne sono nate altre come le ‘Cicloguide’ dedicata alle ciclopiste, oppure ‘Altre terre’ per i reportage di viaggi estremi in bicicletta. Nel tempo le pubblicazioni si sono differenziate e intensificate, suggerisco uno sguardo al catalogo completo della casa editrice, per capire quante tematiche, approcci e sguardi possono nascere da un così comune mezzo di transito.

La Collana ‘Ciclopis’ curata da Fabrizio Fiocchi ha attualmente all’attivo tre pubblicazioni (‘Firenze in quattro stagioni’ di Paola Zannoner, ‘Le bici sono Berlino’ di Max Mauro, e ‘A Bologna le bici erano come i cani’ di Paolo Nori).

Si tratta di un approccio che va a miscelare narrativa in senso stretto con esperienze personali degli autori nel raccontare una città, i suoi percorsi, gli spazi e le atmosfere restituite attraversandola in bicicletta.

Scrive Fiocchi: “Non una guida in senso stretto, non un prontuario di percorribilità ciclistica: la città in bicicletta è anche suggestione, tra cultura, storia, ricordi, visioni ed esperienze vissute dagli scrittori invitati a partecipare a questo viaggio. Itinerari storici e artistici, ma anche letteratura, società, ambiente sono i possibili referenti di un “racconto” che è al tempo stesso proposta e invito a un modo più consapevole di osservare e vivere le nostre città.”

Una declinazione della c.d. ‘narrativa da viaggio’ laddove ogni autore ha poi interpreto lo spirito della collana scegliendo in che modo mixare storie e percorsi a raccontare città già note ma qui riproposte con sguardi meno comuni, tra spazi, umori e ricordi.

******

Zannoner (Firenze in quattro stagioni, pag. 168, euro dodici) porta il lettore tra una Firenze mutevole scoperta attraverso brevi viaggi in bicicletta tra stagioni a susseguirsi, esigenze pratiche, necessità e memoria.

Ho comprato la mia bici quando ho deciso di trasferirmi in centro, al contrario di molti cittadini che fuggivano per la mancanza di ascensori e supermercati, per la scomodità del parcheggio, per la confusione dei troppi bar e locali.
Mi sono convinta, negli anni, che la cosiddetta comodità raramente si accompagna alla bellezza.
(pag.12)

L’autrice ripercorre percorsi in una Firenze amata, faticosa ma non per questo meno intrigante, intensa e piena di bellezze da scoprire. Un viaggio tra calendari, climi e ricorrenze, dove Zannoner ripercorre alcune tappe della propria vita quanto della Storia della città, attraverso gli spostamenti in bicicletta che – il lettore lo scopre molto presto – non sono mai uguali in una città, specialmente nel suo centro, meno dominata da mezzi motorizzati ma sovraffollata da turisti.

Dal ponte alle Grazie fino a ponte San Niccolò il marciapiede e diviso in percorso pedonale e pista ciclabile, con tanto di segnalazione stradale cui nessuno, peraltro, fa molto caso, cosi si e costretti a usare il campanello con una certa insistenza, meritandosi occhiatacce e rimproveri da chi passeggia. Andatura molto lenta, dunque, ma nel caso di questa serata speciale probabilmente e impossibile tenere qualsiasi andatura, perche ci stiamo avvicinando a piazza Poggi, alla porta di San Niccolò, uno dei punti piu affollati: siamo proprio sotto le rampe da cui si sale verso piazzale Michelangelo.
(pag.23)

Quando aveva diciotto anni, mia madre passo gran parte della sua estate in questo tratto del fiume, sulla peschiera di Rovezzano: era il 1953, e lei era arrivata a Firenze da pochi mesi, ma si era trovata subito benissimo. Era quasi scappata da un piccolo paese della Maremma povero e mezzo diroccato, e la città le era sembrata scintillante come nei film americani.

Firenze era persino più bella di Roma, dove aveva abitato alcuni mesi presso una zia: era un piccolo salotto con negozi dove si assumevano solo signorine “di bella presenza” e con giovanotti che la invitavano a teatro e ai concerti.
(pag.27)

Molto e cambiata la città da quando ero bambina e ragazza. Per esempio, l’aspetto non era quello di città incatenata, come un Prometeo orgoglioso, con orrendi paletti neri conficcati nelle pietre antiche, per impedire alle auto di arrivare dappertutto, perché non bastano i normali segnali di divieto, per lo più ignorati; ma l’incatenamento non e tanto per delimitare la riserva indiana della sparuta tribù di cittadini rispetto alla stragrande maggioranza che dorme in periferia o addirittura in altri comuni; la città e crocifissa perche funzioni come centro commerciale con annesse centinaia di ristoranti di ogni tipo, e le torme di turisti possano occupare le strade e la gran parte dei palazzi diventati alberghi e pensionati.(pag.56)

Un libro che in un qualche modo sembra ‘funzionare come una guida’ a raccontare delle diverse Firenze che si susseguono nel corso delle quattro stagioni, eppure in questo raccontare entrano a pieno titolo ricordi dell’autrice, memorie storiche, agganci letterari, ragionamenti urbani e sociali. Una Firenze profondamente amata da Zannoner ma non per questo restituita con clemenza, piuttosto presentata nuda e fragile, in un moto transitorio lento e faticoso quale quello del pedale.

A fine marzo, quando ormai la primavera e ufficialmente iniziata, a volte Firenze e scontrosamente freddina. Superba, vuol farsi attendere per l’entrata trionfale prevista in aprile, quando scuotera chiome di tigli profumatissimi lungo le rive dell’Arno e indosserà rose a iosa, grandi e piccole, e di ogni tipo per la gioia degli intenditori, quelli che con occhio esperto sanno riconoscere a colpo d’occhio la Buttercup dalla Serenissima. State tranquilli, non posso annoverarmi tra questi sublimi specialisti: per me, come diceva Gertrude Stein, «una rosa e una rosa e una rosa», e…[…]
(pag.113)

Una scrittura semplice, fluida, coinvolgente concentrata a focalizzare, rendere carne, luoghi, ricordi, agganci tra tempi, geografie ed evoluzioni. Zannoner prende per mano il lettore, lo fa salire su una bicicletta sgangherata, e lo accompagna controllando periodicamente che non si sia perso, che abbia colto i passaggi del tempo, i dettagli di una tra le città italiane che più ha lasciato un solco nelle Arti e nella Storia.

Adesso faremo un percorso davvero pericoloso: usciti da San Lorenzo, saliamo sulla bici e imbocchiamo via Ginori: mi raccomando, scampanellate, scampanellate! Perchè i gitanti spesso sono storditi dalla confusione, o hanno le orecchie incuffiate negli auricolari a tutta musica, o vagano con l’occhio alle vetrine e d’improvviso cambiano direzione, attratti da qualcosa.


(pag.122)

***

Paolo Nori (A Bologna le bici erano come i cani, pag. 208, euro tredici) racconta una storia. Dove – sì – c’entrano le biciclette e c’entra Bologna. Ma dalle prime pagine è evidente che per Nori si tratta di raccontare entro quel modo che ne ha reso riconoscibile la scrittura e gli approcci narrativi.

«Non so perché i giapponesi mi odiano», mi aveva detto.
Era la prima volta che mi parlava.
Era un signore al quale avrei dato ottant’anni, ne aveva settantanove, avrei scoperto dopo, con delle mani grosse con delle dita enormi che sembrava che avessero ancora tutta la loro forza, delle dita che a guardarle veniva da pensare che dovevano aver sofferto molto di essere andate in pensione, era evidente che quel signore, a parte l’età, era in pensione, aveva un bisogno di parlare con gli altri che hanno solo i pensionati o le persone molto estroverse o quelle molto disturbate, avevo pensato.
(pag.7 - incipit)

Inizia così un viaggio dove il narratore dettaglia ciò che gli succede, ammiccando all’autore com’è nelle abitudini di Nori, ma ammiccando anche al lettore che tra aneddoti, dialoghi, sviluppi, pensieri e luoghi, rintraccia sapori bolognesi e qualche bicicletta appoggiata qui e là.

Ero sceso in cantina per prender la bicicletta e avevo incontrato Gianni Morandi. Gianni Morandi avrà avuto un po’ più di settant’anni, era in pensione e girava sempre per il quartiere su una Graziella rossa; quando pensavo a Gianni Morandi pensavo a quella Graziella e anche a una frase, che mi aveva detto una volta, due inverni prima, che l’avevo appena conosciuto, anche quello era stato un inverno che era piovuto molto, e nevicato, molto, e lui un mattino mi aveva incontrato su per le scale aveva scosso la testa mi aveva detto: «Neanche il tempo ci vuole bene».
(pag.31)

Meno guida, insomma, questo libro di Nori ma più narrativa miscelativa, eppure pienamente entro il pathos d’una collana che non limita il raggio d’azione ma lo espande, agganciando le pedalate ai luoghi senza fretta, senza restrizioni o percorsi obbligati.

Nori è Nori, chi non ne ha letto nemmeno un libro può non capire cosa s’intende perché il suo approccio linguistico e stilistico, per essere compreso appieno, ha bisogno di essere ‘ascoltato dal vivo’ almeno una volta: le sue cadenze, le gestioni di toni, pause, linguismi caratteristici, si svelano allora con facilità.

E avevo portato la bici dal meccanico, e il meccanico, alla fine, quando me l’aveva riconsegnata mi aveva detto: «Venga almeno ogni tanto a gonfiargli le ruote».
E un geometra e un idraulico avevano fatto un sopralluogo allo sciacquone del water che c’era nel bagno dell’appartamento dove abitavo. L’idraulico aveva guardato il geometra e gli aveva detto: «Ma qui ci vuole una scala».
«La vado a chiedere a Gianni Morandi», avevo detto io.
«A chi?» mi aveva detto il geometra.
«A un mio vicino. Un omonimo».
«Eh, – aveva detto l’idraulico, – ma qui ci vuole anche il galleggiante».
«Ah. – avevo detto io. – Non ce l’avete?».
«Eh, – aveva detto l’idraulico, – no».
(pag.61)

Una storia che non ha inizio né fine, una scheggia del vissuto narrativo di un autore che di un certo modo di dire le cose, ha fatto contrassegno del suo scrivere.

Link

La scheda di ‘Firenze in quattro stagioni’.

La scheda di ‘A Bologna le bici erano come i cani’.

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