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La Buona Scuola: l’opinionista bacchettato e la riforma vista da dentro

E' bastato esprimere un'opinione positiva sulla riforma della scuola per raccogliere una miriade di insulti e improperi. In mezzo a tutti questi, anche dei perché la riforma non andrebbe bene. Proviamo a raccogliere il tutto e fare un pò di sintesi, perché, in fondo, c'è tanto da imparare. W la democrazia. 

E' bastato esprimere un'opinione sulla riforma della scuola, lodandone le finalità, per sollevare un polverone di proteste e critiche che ritengo opportuno riportare, perché la democrazia non è bella se non è litigarella e perché viviamo in un paese libero dove ognuno può dire quello che pensa e non in un mondo dove vige il pensiero unico (per fortuna, né il mio, né quello dei docenti che protestano).

Tralascio le offese, che fanno parte del gioco (ma sono contro lo spirito costituzionale), ma esasperano i toni, per venire ai contenuti più seri del dibattito, anche con proposte fatte da docenti, tutti da tempo inseriti nel contesto istruzione, chi da precario e chi no, ma anche da genitori, semplici osservatori esterni.

Le critiche sulla riforma sono molteplici. Tra i contestatori del mio articolo c’è chi dice che non una virgola del testo va bene. Qui mi sentirei di obiettare che chi contesta sia uno strenuo difensore del sistema scolastico attuale, che in realtà, ma questo è un pensiero mio, condiviso da molti, ha grandissimi limiti. Veniamo comunque ad alcuni punti di critica feroce, e cerchiamo di argomentarli.

Uno dei punti fermi e qualificanti della riforma dovrebbe essere l’immissione in ruolo di un buon numero di docenti. La sostanza relativa al come, solleva molte perplessità. In merito alle assunzioni dei 100.000 docenti, Bea, ad esempio, critica che siano state stralciate le graduatorie di merito aprendo il sistema al nepotismo e al clientelismo. In sostanza, la figura del dirigente manager viene vista come quella di un deus ex machina capace di vita e di morte sulle carriere dei docenti.

Non si tiene conto di quello che, a mio avviso, dovrebbe essere lo spirito innovativo della riforma, quello di responsabilizzare di più la figura dei dirigenti nello spirito dell’autonomia. Ma è un punto di vista. In realtà, anche l’organico dell’autonomia dovrebbe aprire nuove strade per regolarizzazioni di docenti, ma forse non va bene.

Attacco frontale anche nei confronti dell’alternanza scuola lavoro, che dovrebbe essere invece un altro punto qualificante della riforma, che intenderebbe rafforzare il collegamento fra istruzione e mondo del lavoro, introducendo una previsione di durata minima dei percorsi di alternanza nell’ultimo biennio di scuola secondaria di secondo grado (almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali e almeno 200 ore nei licei), prevedendo la possibilità di stipulare convenzioni anche con gli ordini professionali, musei ed enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni e disponendo che l’alternanza può essere svolta durante la sospensione delle attività didattiche anche all’estero, o con la modalità dell’impresa formativa simulata.

Questo punto, da molti critici bollato come non novità, porta a dire che i ragazzi verranno sfruttati dalle aziende. Mi sembra una posizione forte, anche perché le aziende dovrebbero trasferire competenze ai giovani studenti, riservando invece uno spazio e delle risorse alla loro formazione proprio per dare una possibilità di conoscenza di una professione. Qui, anziché vedere il lato positivo del rapporto tra impresa e mondo dell’istruzione, si legge una sorta di prevaricazione del primo sul secondo, vedendo nelle aziende delle sanguisughe che sfruttano il lavoro non pagato dei giovani. Potrei obiettare ma riporto le critiche.

La formazione obbligatoria degli insegnanti non stuzzica le critiche, così come i 500 euro annui di bonus per l’aggiornamento, che dovrebbero essere apprezzati per la possibilità che offrono, ma non mi pare lo siano (si sottolinea anzi che oggi come oggi i docenti pagano almeno 1500 euro per fare corsi).

Zero anche i commenti sulle questioni relative alla scuola digitale e agli investimenti in edilizia scolastica. Peccato.

Infine, il termine stipendificio, che ha fatto infuriare molti critici: l’ho usato non in spregio a tanti docenti che fanno bene il proprio lavoro, ma con una logica che provo a spiegare: un settore pubblico, delicato, come la scuola, dovrebbe avere come primo obiettivo la qualità della formazione degli studenti. Prima di qualsiasi altra cosa. Perché quindi non esiste un serio sistema di valutazione dei docenti che sia in grado di mettere fuori da questo delicatissimo settore chi davvero non sa insegnare?

Ecco raccolto, in mezza giornata, il senso di un dibattito aspro, in cui (magari giustamente) sono stato fortemente attaccato per una posizione espressa. C’è però un problema. In sostanza, di fronte all’opinionista bacchettato, accusato di essere un servo del potere, non si vedono molte controproposte in grado di migliorare la buona scuola.

Ma la piazza ha deciso: l’opinionista è colpevole. Al resto ci penseremo. 

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