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Lettere dal passato: le carte di una guerra Grande

Riscoprire lettere, diari, memorie e manifesti della grande guerra aiuta a cogliere aspetti profondi di psicologia e comunicazione del primo grande conflitto di massa della storia. 

La Grande guerra come primo conflitto moderno di massa[1], si contraddistinse anche per l’incremento del sistema di comunicazioni tra chi stava al fronte e chi stava a casa. Sarà una delle dimensioni di analisi che consentiranno agli storici di costruire le percezioni degli uomini chiamati al sacrificio per la patria, in un esercito, quello italiano, che mobilitò più di cinque milioni di uomini nei tre anni e mezzo di campagne italo austriache. L’approccio a tutte le caratteristiche di questa guerra non può che tenere in debita considerazione, come ha giustamente sottolineato uno degli storici più affermati dell’evento, Antonio Gibelli, la questione della “scala” con cui si misurano:

Il Novecento inaugura la società dei grandi numeri. Nella produzione, nella demografia, nella vita urbana, nell'organizzazione delle masse, nei consumi, nella comunicazione e nelle forme dell'opera d'arte e via dicendo. Così anche nella guerra, nella coercizione, nella produzione di morte. La società di massa fa i suoi esordi nella guerra di massa e nella morte di massa. Tutti i fenomeni si producono su scala enormemente più vasta che nel passato: il numero degli uomini coinvolti, quello dei cannoni e dei proiettili, quello delle derrate alimentari, ma anche quello delle penne e dei fogli di carta necessari ai soldati mobilitati per scrivere a casa, quello delle pratiche burocratiche che li concernono e così via. I servizi postali durante la prima guerra mondiale devono fronteggiare flussi di corrispondenza senza precedenti: i soldati francesi e i loro parenti si scambiarono ad esempio quattro milioni di lettere e cartoline in franchigia al giorno a partire dal 1915, e più di dieci miliardi nei quattro anni di guerra, mentre in Italia il volume della corrispondenza complessivo toccò i quattro miliardi[2]

I soldati italiani sono contadini, operai, artigiani, bottegai, borghesi, intellettuali; e la prima guerra mondiale scatenò in questi uomini che, strappati dal proprio naturale ambiente famigliare, lavorativo, affettivo, venivano trascinati nel vorticoso incedere del conflitto, un bisogno di scrittura irrefrenabile[3]. Milioni e milioni di lettere e cartoline vennero spedite da e verso il fronte, con l’obiettivo di non spezzare i fili di rapporti privati della quotidiana normalità. Ma i soldati scrissero anche diari su supporti di fortuna per lasciare testimonianza, giorno dopo giorno, della propria vita tormentata, cercando nello scritto una forma di orientamento, di salvaguardia del proprio spazio esistenziale. Si tratta, riscoprendole oggi a cent’anni di distanza: di documenti straordinari. Di carte di straordinario valore. Già, carte. Come le lettere. Facciamoci guidare ancora dalle parole di Gibelli:

Dal cuore della più disumana e meccanica delle guerre fino a quel momento conosciute, tanto ai fronti come nelle retrovie, fluì un fiume copioso, ininterrotto di scritture prodotte dai suoi attori in gran parte sconosciuti, che ne erano in primo luogo le vittime e che tuttavia ne riflettevano a modo loro, a dispetto dei modesti mezzi linguistici generalmente disponibili, la trama. Di questo processo fu pienamente partecipe la popolazione italiana[4].

Lettere e cartoline furono il tramite di un dialogo ininterrotto, anche se spesso mediato: un efficace sistema di censura, infatti, nel superiore interesse nazionale bloccava il filtrare di informazioni contro la guerra o che la raccontassero la stessa in modo troppo rispondente alla realtà. Ciò che filtra o che scappa, tuttavia, può raccontare di arditi auspici, di fratellanza internazionale, di supremi desideri di pace. Ma per ora fermiamoci qui e dalle scritture private, individuali, passiamo brevemente alle comunicazioni di carattere pubblico, collettivo. Durante la grande guerra furono prodotti moltissimi manifesti. Dalla chiamata alle armi ad avvisi di ogni genere, divieti, requisizioni: il manifesto rappresentava il più efficace e chiaro strumento di comunicazione della società industriale di massa e anche le amministrazioni locali furono provvide di pubblicazioni. Ma il manifesto fu anche uno strumento di propaganda: una guerra che impegnava una così larga disponibilità di uomini e mezzi non poteva infatti non avere anche risvolti psicologici nelle coscienze individuali e collettive, che andavano supportate, convinte, portate per mano verso l’obiettivo, fosse questo una dispendiosa offensiva sul carso o la difesa del suolo patrio dopo la rotta di Caporetto. Riscoprire queste “carte” dimenticate, magari polverose, rappresenta oggi un modo straordinario, nella sua semplicità, di prendere coscienza degli eventi: di chi siamo e da dove veniamo, riannodando i fili di una comunicazione lunga un secolo, che porta ancora la voce e le testimonianze dei sacrifici del popolo italiano.

 

[1] Me ne sono occupato in diversi scritti. Tra tutti Raito L. (2009), Il conflitto della modernità, Roma, Aracne.

[2] Vedasi Gibelli A. (1996), Guerra, violenza, morte: un paradigma del nostro secolo, L’Impegno, anno XVI, n. 1 aprile 1996.

[3] Si occupa di questo tema nel suo ultimo libro Gibelli, A. (2014), La guerra grande. Storie di gente comune, Roma-Bari, Laterza

[4] Gibelli, A. (2014), La guerra grande. Storie di gente comune, Roma-Bari, Laterza, p. 3. 

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