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L’esplusione di Alma Shalabayeva: un patto politico per chiudere l’affaire Eni?

Sui giornali inglesi si parla apertamente di “deportazione”. In Italia si usa un più cauto “espulsione”. Sta di fatto che – al di là delle questioni terminologiche – molti sono gli interrogativi legati alla consegna di Alma Shalabayeva e di sua figlia al Kazakistan, rispettivamente moglie e figlia di Mukhtar Ablyazov, in esilio a Londra dal 2009 in quanto oppositore del dittatore kazako Nursultan Nazarbayev, “caro amico” dell'ex premier Silvio Berlusconi, che così lo definì nel suo viaggio in Kazakistan del 2010. 

La dinamica. Tutto, stando alle ricostruzioni di questi giorni, avviene nella notte tra il 28 e 29 maggio, quando una squadra della Digos (composta, sembrerebbe, da ben cinquanta uomini) fa irruzione in una villetta a Casal Palocco, Roma. L'obiettivo è Ablyazov, ex banchiere, sul quale pende un mandato di cattura internazionale emesso dal governo del suo paese, che lo accusa di aver organizzato una truffa milionaria attraverso la banca Bta. Nel 2003 Ablyazov viene anche arrestato e torturato nell'ambito di un processo che Amnesty International ha più volte contestato, evidenziando inoltre il trattamento non certo “umanitario” fornito agli oppositori politici in carcere. (qui e qui)
L'uomo però non è nella villetta, abitata invece dalla moglie, dalla figlia e da un cognato. Nessuno capisce cosa sta avvenendo per un semplice motivo: i tre parlano solo russo, i poliziotti solo italiano.

Sta di fatto che la donna – la quale gode di un permesso d'asilo in tutta l'Unione europea e di un passaporto diplomatico rilasciato dalla Repubblica Centrafricana, con il nome di Alma Ayan - viene accusata di detenzione di passaporto falso e portata al Centro di Identificazione ed Espulsione romano di Ponte Galeria, da dove verrà poi imbarcata su un “bombardiere BD-100-1A10 Challenger” noleggiato dall'ambasciata kazaka, appartenente – stando alla ricostruzione che ne fa lo stesso Ablyazov sul suo sito – alla compagnia austriaca “Avcon Jet”, costo del noleggio: 400.000 euro. D'altronde il nostro è ormai diventato un paese di voli illegali e rapimenti, come il caso Abu Omar o il disinvolto uso del nostro spazio aereo e dei nostri aeroporti per operazioni di extraordinary rendition della Cia dimostrano. Da chiarire dunque c'è già un primo aspetto: con chi il governo kazako si è accordato per permettere l'atterraggio dell'aereo?

Approfondimento #1: il memoriale scritto da Alma Shalabayeva (in inglese);

La catena di comando. «L'intestazione ad Alma Ayan anziché ad Alma Shalabayeva appare riferibile non a falsità, ma alla necessità di sottrarsi a nemici politici del marito», scrivono i giudici del tribunale del riesame di Roma. «Lascia perplessi» - continuano i giudici - «la velocità con cui si è proceduto al rimpatrio in Kazakistan della indagata e della bambina, congiunti di un rifugiato politico, in presenza di atti dai quali emergevano quanto meno seri dubbi sulla falsità del documento». Una velocità tale che, a volerci credere, nessuno nel governo italiano sapeva nulla.

Non ne sapeva nulla il presidente del Consiglio Enrico Letta, così come hanno detto di non saperne nulla il Ministro degli Esteri Emma Bonino e della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Né, apparentemente, sembra saperne nulla il diretto interessato, il ministro degli Interni Angelino Alfano, sul quale ricade la responsabilità per tematiche legate all'immigrazione ed alle espulsioni. Da ciò sorgono alcuni, ovvi, interrogativi: come è possibile che almeno quattro appartenenti al governo, responsabili dei più importanti dicasteri tra i quali, addirittura, il Presidente di tale governo, non siano stati messi al corrente di un'operazione di questo tipo?
Quanti altri “casi Shalabayeva” esistono attualmente in Italia e, soprattutto, cos'altro succede in Italia senza che il nostro governo non ne venga messo al corrente (dando per buona tale versione, naturalmente)?

Può un Paese – fosse anche il più inutile che ci sia – permettersi il lusso di avere ben quattro dei più importanti ministri ignari di cosa avviene nel paese che sono chiamati a governare?

Approfondimento #2: La vicenda Shalabayeva. Quello che si sa

Le violazioni italiane. All'Italia viene contestata la violazione della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, non avendo dato la possibilità alla donna – stando a quanto ne riferisce l'avvocato Riccardo Olivo – di presentare richiesta di asilo, e dell'articolo 3 della Convenzione Onu contro la tortura, che vieta di espellere o respingere una persona verso uno Stato in cui può essere soggetto a tortura o persecuzione per motivi di razza, sesso, religione od opinioni politiche (principio ripreso anche dall'articolo 19 del Testo Unico dell'Immigrazione).

«Sono personalmente intervenuto sui vertici della Procura di Roma per informarli. Il Pm Eugenio Albamonte e il procuratore aggiunto Nello Rossi attraverso anche l'intervento del Procuratore capo Pignatone, sono riusciti a bloccare questa macchina infernale » - ha raccontato il legale della donna - «Ma poi deve essere successo qualcosa, la pressione era troppa e la macchina infernale ha ripreso la sua corsa».

Si parla tanto di “riprendere la sovranità monetaria” o di “superlobby internazionali” che governerebbero il nostro Paese per voleri economici superiori. Non si parla mai della sovranità tout court, di un Paese in cui le vie verso l'esterno – come l'aeroporto di Fiumicino o il porto di Gioia Tauro – sono veri e proprio hub per i traffici internazionali né, naturalmente, si parla delle rotte delle consegne straordinarie che hanno visto spesso implicata l'Italia – come riporta ampiamente il rapporto “Globalizing torture. Cia secret detention and extraordinary rendition” dell'Open Society Justice Initiative – senza che né la politica né i media se ne occupassero.

O forse, a voler seguire semplicemente un filone più banale quanto quello del denaro, c'entrano i nostri rapporti economici con il Kazakistan? Non è certo un mistero che sulle risorse naturali kazake ci siano le (sei) zampe dell'Ente Nazionale Idrocarburi (Eni), parte di un partenariato strategico di vari miliardi di euro. Secondo il britannico Telegraph, nel 2010 il Kazakistan avvisò la Gran Bretagna che se avesse concesso asilo politico ad Ablyazov avrebbe strappato i contratti con le compagnie di Sua Maestà per dirottarli verso la Cina, spostando ovviamente anche l'indirizzo geopolitico del Paese. Che all'Italia sia stata fatta una minaccia simile?

Lo scorso anno la procura di Milano aveva chiesto di commissariare o di proibire la negoziazione di contratti alla Agip Kco, la divisione kazaka del gruppo italiano – del 16,8% la quota di partecipazione nel consorzio North Caspian Operating Company (Ncoc) - accusata di corruzione internazionale per una presunta tangente di 20 milioni di dollari pagata a politici kazaki con cui, stando all'accusa, avrebbe finanziato parte dell'investimento nel giacimento di Kashagan, dove si stima siano presenti riserve per 30 miliardi di barili, 370.000 i barili giornalieri sui quali si potrebbe contare. Un business davanti al quale i diritti umani diventano pura filosofia.

Approfondimento #3: Interessi economici tra Italia e Kazakistan: ecco cosa c'è dietro il caso Ablyazov

 

Questo post lo trovate anche qui

 

Foto logo: Astana, capitale del Kazakistan

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.192) 13 luglio 2013 18:43

    .......sempre la nostra povera repubblica delle banane......

  • Di (---.---.---.192) 13 luglio 2013 18:53

    .....anni fa, girava una canzone di stile goliardico, che narrava di un certo "sacrificio" sofferto dalla contessa di Castiglione, in nome della "ragion di stato". Rispetto a questa situazione, le parole della canzone erano acqua di rubinetto diluita con altra acqua.

    Eccellente articolo

     

    P.S.: se non si trattasse di una tragedia, sembrerebbe la trama di un film di Mel Brooks 

  • Di GeriSteve (---.---.---.40) 14 luglio 2013 20:40

    Balletto Kazako.
    così oggi (14 luglio), su Corsera, Giannelli intitola la sua vignetta in cui, in costume kazako, Bonino e Alfano se la ballano allegramente: tanto hanno trovato il modo di scaricare tutte le colpe su funzionari e poliziotti, che però non sono stati denunciati e licenziati, ma sono stati tutti promossi.
    Promossi per il merito di essersi presi la colpa al posto dei due allegri ministri.
    Le promozioni, oltre che essere dei premi materiali, sono onoreficienze al merito che testimoniano che sono tutti bugiardi. Non lo testimoniano soltanto nei corridoi dei ministeri, ma lo testimoniano al mondo intero.
    GeriSteve

  • Di GeriSteve (---.---.---.40) 14 luglio 2013 22:04

    da rainews24
    Roma, 14-07-2013

    "Continuavano a gridarmi in italiano. Non capivo esattamente cosa dicessero. L’unica cosa che ho potuto distinguere in questa serie di offese fu ’Puttana russa’". E’ quanto scrive Alma Shalabayeva in un memoriale pubblicato dal Financial Times in cui racconta cosa accadde la notte in cui fu ordinato il blitz nella villa di Casal Palocco nella notte tra il 28 e il 29 di maggio. 
    "Avevo una sola sensazione in quel momento: erano venuti ad ucciderci senza un processo, un’indagine, senza che nessuno lo avrebbe mai saputo".
    "A un certo punto hanno portato Bolat (il cognato, ndr) nella stanza. Aveva un occhio rosso e gonfio, un labbro rotto, una ferita al naso. Disse che lo avevano pestato". Così Alma Shalabayeva, moglie di Ablyazov, nel suo memoriale rilasciato al Ft e nel quale ricorda che nella notte del blitz nella villetta a Casal Palocco era - oltre che con Alua - con la sorella, suo marito e la loro figlia.

  • Di Sandro kensan (---.---.---.232) 15 luglio 2013 01:55
    Sandro kensan

    È avvenuto tutto nella notte tra il 28 e il 29 maggio. A mezzanotte. Fui svegliata da un forte rumore. C’era gente che bussava alle finestre e alle porte. Mia sorella, mio cognato e io ci precipitammo verso la porta d’ingresso. Eravamo spaventati. Quando aprii la porta tentai di chiedere in inglese chi fossero. Mi diedero una spinta e circa 30-35 persone entrarono in casa. Un’altra ventina rimase fuori. Erano vestiti di nero e armati. Del gruppo faceva parte una donna di circa trent’anni che non mi perse mai di vista. Tra loro parlavano in italiano. Mentre ce ne stavamo nell’ingresso paralizzati dalla paura cominciarono a perquisire la casa. Capii dopo che cercavano mio marito Mukhtar Ablyazov. In quel preciso momento ebbi la certezza che ci avrebbero ucciso. Il capo del gruppo mi chiese chi ero. Non volevo fornire il vero nome mio e di mia figlia. Risposi: “Sono russa”. “Puttana russa”, mi disse uno di loro. Un italiano con una grossa catena al collo e l’aspetto da mafioso cominciò a urlare indicando la pistola. Ci chiesero i documenti. Mostrai il passaporto della Repubblica Centrafricana. Era un passaporto diplomatico. Mi mostrarono diverse foto tra cui quella di mio marito. Mi chiesero se lo conoscevo. Risposi di no. Poi nel computer che avevamo in casa trovarono la foto di mio marito e mia figlia. Alla fine mi dissero di vestirmi e seguirli. Trascinarono fuori me e mio cognato Bolat. Ci condussero in una stazione di polizia al centro di Roma. Ci costrinsero a firmare un documento in italiano. Poi ci portarono all’ufficio immigrazione. Alle 6 del mattino ci portarono in un altro posto nella zona sud-orientale di Roma. Dopo ore di attesa mi chiesero, in un inglese approssimativo, chi ero, cosa facevo in Italia e perché avevo un passaporto falso. Risposi: “Telefonate all’ambasciata della Repubblica Centrafricana: vi confermeranno che il passaporto non è falso”. Alle 21 e 30 dopo oltre 15 ore i nervi mi cedettero. Ammisi che ero del Kazakistan e che ero la moglie del capo dell’opposizione. Mi trasferirono in un centro di detenzione a Ponte Galeria. Mi rinchiusero in una cella con altre tre donne. Avevo paura. Una compagna di cella mi aiutò a fare il letto. Non ricordo quando mi addormentai.

    30 maggio 2013
    Il risveglio a Ponte Galeria

    Al risveglio volevo chiamare mia sorella, ma non avevo il cellulare. Me lo prestò una detenuta. Chiamai mia sorella ma nessuno rispose. Temevo che avessero preso mia figlia. Intorno alle 10 mi portarono in una stanza dove un italiano che parlava russo mi disse di essere l’avvocato di quella prigione. Gli raccontai tutto quello che era accaduto. Mi rispose che potevano trattenermi al massimo 48 ore. Finalmente con il telefono di una detenuta riuscii a parlare con mia sorella che disse che gli avvocati si stavano dando da fare. Ero confusa dalla paura. Più tardi mi fecero parlare con una persona dell’ambasciata del Kazakistan. Mi disse di chiamarsi Arman e di essere il console. Mi disse che secondo le leggi del Kazakhstan non potevo avere la doppia cittadinanza. Capii che non mi avrebbe aiutato.

    31 maggio 2013
    Il rimpatrio ad Astana

    La mattina del 31 maggio mi condussero in una stanza dove trovai un uomo e una donna. Da un porticina laterale entrarono tre miei avvocati. La donna negò di essere in possesso del mio passaporto. I miei avvocati andarono su tutte le furie ribadendo che il passaporto mi era stato tolto durante l’operazione che aveva portato al mio arresto. Dopo un’ora mi riportarono in cella. Poco dopo una donna di nome Laura, che avevo già visto all’Ufficio immigrazione, mi chiese di chiamare mia sorella per dirle di affidare mia figlia ai suoi uomini. Mi rifiutai. Era presente anche l’italiano che parlava russo. Laura mi disse che per legge non potevo telefonare al mio avvocato. Mi costrinsero a parlare con mia sorella, che mi disse che volevano portare via la bambina. “Mai senza gli avvocati”, urlai. Mia sorella singhiozzava. Poi all’improvviso mi dissero che dovevo essere trasferita altrove. Mi fecero salire su un minibus verso Ciampino. All’aeroporto riabbracciai mia figlia. Quando capii che volevano rimpatriarmi in Kazakistan risposi furibonda: “Chiedo asilo politico in Italia”. Alle 18 Laura entrò nella stanza, afferrò mia figlia, la prese in braccio e la portò via. Le corsi dietro urlando. Salì su un minibus e la seguii. Ripetei che volevo l’asilo politico. “È troppo tardi. È tutto già deciso”, mi rispose Laura. Il minibus si fermò improvvisamente. Si avvicinarono due persone del Kazakhstan. Mi dissero che dovevo lasciare la bambina a un ucraino che lavorava per noi. Dissi che preferivo portare mia figlia con me. Ci fecero salire su un aereo senza documenti né passaporto. Era un aereo privato e molto lussuoso. Dopo sei ore di volo atterrammo ad Astana.

    di Alma Shalabayeva
    traduzione di Carlo Antonio Biscotto

    da Il Fatto Quotidiano del 14.07.2013

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