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Jean Soler: nuova critica del monoteismo

Un altro libro, dopo l’ultimo di Jan Assman cui ho già accennato, si riferisce in modo critico al monoteismo e "alle sue malefatte".

Con una ancor più esplicita nostalgia per i politesimi, lo studioso francese Jean Soler nel suo Chi è Dio? (Mucchi Editore) ribadisce la condanna della fede esclusiva in un unico Dio camminando, si direbbe, sulle tracce di Assman.

Ma con una prospettiva storica finale dal sapore vagamente antisemita, se è corretta la prima recensione che ne abbiamo letto, a firma di Pierfranco Pellizzetti, su Micromega. 

In che modo Soler traccia, in sintesi, la nascita del monoteismo?

Accortamente evita di addossare al mitico Mosè l’onere di aver inventato il culto in un Dio uno, unico e universale, come si è soliti fare, da una buon numero di secoli, sulla base di una diffusa cultura dominante (tanto cristiana quanto ebraica ed islamica).

Al contrario, correttamente si dice che «l’analfabeta Mosè (dunque incapace di leggere le Dodici Tavole di cui era latore) non era neppure monoteista. Semmai “monolatra”, ossia devoto di un dio particolare del pantheon politeista, con cui stipulare l’alleanza sulla base di un reciproco scambio: devozione esclusiva a fronte di protezione miracolosa», ma differenziando comunque la monolatria ebraica «dalle altre per una sorta di esclusivismo sempre crescente, attribuibile alle alte funzioni identitarie svolte dalla religione mosaica per un popolo stretto tra vicini potenti e sempre a rischio di estinzione». Una specie di ancora di salvezza, in sostanza, per evitare di sparire semplicemente dalla storia.

La tesi non è affatto nuova e chiunque abbia fatto un semplice pensiero sulla nota “gelosia” del dio biblico ci sarebbe arrivato. Si è gelosi se qualcuno insidia il nostro “territorio” (personale o pubblico che sia), ma se si è “unici” non c’è alcun motivo di essere gelosi. Il testo quindi non fu redatto da scriba dalla mentalità monoteistica, ma al più, come è stato detto, monolatrica. Un estensore che accettava, per sé, un unico ente cui riferirsi (tradotto con “dio” ancora oggi dai teologi, benché la traduzione di Elohim con Dio sia discutibile e fortemente discussa) ma che contemporaneamente riconosceva l’esistenza di altri Elohim/dèi: gli israeliti erano il popolo del loro Jahvè così come «gli assiri erano il popolo del dio Assur, come i babilonesi veneravano Marduk e i persiani Ahura-Mazda; senza che nessuno di loro si sognasse minimamente di affermarne l’esclusività, l’unicità».

Allora da dove arriva il monoteismo? È per rispondere a questa domanda, scrive l’articolista, che Soler affronta «il passaggio (ricostruito in maniera un po’ farraginosa) del pensiero religioso ebraico dalla monolatria al monoteismo». In maniera farraginosa perché questo fondamentale passaggio deriverebbe da tre catastrofi: la fine del regno unico di Salomone (che la storiografia ritiene ormai un avvenimento mitico, non storico), l’invasione assira e, infine, l’esilio babilonese. 

Riflettendo su queste catastrofi gli estensori biblici avrebbero elaborato il concetto che «assiri e babilonesi erano strumenti di Jahvé» deciso a punire il popolo ebraico per i suoi tradimenti, fondando così l’idea che il loro dio era l’unico ad agire nell’universo, manovrando altri popoli secondo la sua volontà (e quindi negando implicitamente l’esistenza dei loro dèi).

Non quindi una "rivelazione" mistica come nel caso del cristianesimo o dell'Islàm, in cui Dio improvvisamente si manifesta a qualcuno di prescelto, quanto una "deduzione" intellettuale, derivante da una particolare analisi di fatti storici.

Ma, se ci possiamo permettere una critica, anche questa interpretazione, già avanzata da Assman e da altri ancor prima di lui, appare però assai debole: solo in alcuni versetti dei capitoli attribuiti al Secondo Isaia (dal 44 al 56 del Libro di Isaia) si accenna a questa potenza superiore di Jahvè che avrebbe infine “manovrato” a uso e consumo i persiani del re Ciro il Grande per sconfiggere i babilonesi e liberare così Israele dal suo esilio, alla fine, si direbbe, di uno specifico ed articolato percorso punitivo che prevedeva la sua catastrofe.

Ma l’impostazione di Isaia Secondo (o Deutero Isaia) non pare aver lasciato traccia nel pensiero successivo, se già i profeti a lui posteriori parlano nuovamente di Jahvè nei termini classici del giudaismo: come re di Israele, Dio di Abramo, Giacobbe eccetera. Cioè come dell’Elohim proprio del popolo israelita in una logica senza alcun dubbio etnocentrica e, al più, monolatrica.

Quella del nostro Deutero Isaia non era dunque una compiuta elaborazione teologica monoteistica, ma la conclusione un po’ euforica di chi, vissuto probabilmente nell’esilio, si è trovato poi improvvisamente e assai fortunosamente “liberato”. E come tale "vincente" su quei babilonesi che avevano sconfitto e umiliato il suo popolo e lui stesso. 

Tutt'altro, si direbbe, da una concettualizzazione solida in grado di affermare l'esistenza in modo convincente di un Dio uno, unico e universale.

Come infatti conferma uno dei maggiori biblisti italiani, Gian Luigi Prato, docente di esegesi dell’Antico Testamento alla Pontificia Università Gregoriana, «sarebbe sin troppo facile constatare che, se per ipotesi potessimo leggere qualunque testo dell’Antico Testamento senza doverlo inquadrare appunto nella tradizione religiosa che ce lo ha trasmesso come Sacra Scrittura (...) con tutta probabilità dovremmo onestamente ammettere che nessuna sua pagina suppone una concezione monoteistica della divinità».

Nemmeno quindi nei capitoli attribuiti al nostro profeta, su cui si basa l'idea che il monoteismo sia un'invenzione del vecchio testamento. Non c’è invece alcun monoteismo nella Bibbia, non solo nei testi "mosaici", come ormai affermano apertamente anche Assman e Soler, ma in "nessuna sua pagina".

La domanda quindi è ancora valida, con buona pace dei teologi di ogni religione: se non è la Bibbia ebraica ad aver proposto l’unico Dio dell’universo, da dove viene l’idea monoteistica, l'esistenza di uno Spirito Assoluto Unico e Universale, a cui siamo stati tutti assoggettati?

 

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