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Italia, la dura vita di un clochard

Epifani ha detto al Circo Massimo che oltre 14 milioni di persone in Italia vivono con meno di mille euro al mese (la cosiddetta soglia di povertà). Per l’esattezza, sono 14 milioni e mezzo: due milioni e mezzo (tra dipendenti e autonomi) tra i 15 e i 40 anni e tre milioni e mezzo di ultraquarantenni guadagnano tra i 600 e i 900 euro al mese (la cosiddetta generazione mille euro). Cui vanno aggiunti gli otto milioni e mezzo di pensionati.

Tutta questa gente, insomma, viaggia nella zona grigia: basta un quid, la perdita del lavoro, qualche bicchiere di troppo, una separazione, la morte di una persona cara, e questi rischiano di finire per strada, di diventare cioè dei barboni (il cui numero difatti è in crescita soprattutto tra i giovani tra i 26 ed i trentacinque anni). Ed a quel punto è una rapida discesa agli inferi, ossia fuori dal contesto sociale, fuori da ogni visibilità, fuori da tutto, salvo qualche riga in cronaca nera (otto senzatetto morti a Milano, nella capitale economica d’Italia, nei primi due mesi dell’anno).

I barboni sono una razza a parte. Di solito niente a che vedere con quanti elemosinano per le strade ostentando a volte deformità immaginarie, come lo “storpio" che a Piacenza chiedeva l’obolo agli automobilisti in sosta ai semafori poggiandosi malamente alle stampelle, ma s’è dimostrato insolitamente rapido e scattante all’arrivo della polizia che poi l’ha arrestato per abuso della pubblica credulità (una cosa spiacevole, non c’è che dire: essere turlupinati, anche se da bisognosi, non piace a nessuno).

I clochard non chiedono l’elemosina, anzi non chiedono nulla, nemmeno un letto per dormire o una mensa per sfamarsi (e questo li rende tra l’altro invisi ai burocrati in carriera della beneficenza pelosa, quelli come li definisce Vittorino Andreoli, che operano nei loro begli uffici con tanto di segretarie, girano in macchine blindate ed hanno il filo diretto coi potenti). Soprattutto quando sono ormai sprofondati nell’emarginazione, diventano degli irriducibili che rifiutano ogni tipo di assistenza o ricovero. Bisognerebbe prenderli prima che questo avvenga, come si fa negli States (quarantamila homeless solo a New York, ma in diminuzione grazie a queste nuove strategie assistenziali): i volontari li avvicinano subito e gli offrono non solo un ricovero per la notte, ma anche sostegno psicologico, training, educazione, terapie e altri servizi per aiutarli a reinserirsi nella società (ma questo è più complicato che passargli coperte o minestre calde).



Un aiuto indiretto potrebbe venire dal Fondo per l’inclusione sociale, creato nel 2007 per favorire l’integrazione degli immigrati (molti barboni, specie se stranieri, vanno a rifugiarsi tra le comunità di Rom e Sinti). Purtroppo le risorse del Fondo sono scarse (non a caso la stessa Carta di Parma ne chiedeva il rifinanziamento) e comunque sottoutilizzate: solo € 2.636.892 finora spesi per quattro progetti presentati da altrettanti Comuni tra cui quello di Milano, dove ci sono ben 3863 homeless (per fare un confronto, in Spagna il governo ha speso in tutto 96 milioni di euro nel corso degli ultimi dieci anni, di cui 62 ottenuti dall’Unione europea a fronte di progetti validi di integrazione, contro il solo milioncino scarso ottenuto dall’Italia e gli effetti si vedono).

A Parma ci sono gli uni e gli altri, ovviamente, come dappertutto: gli elemosinanti ed i barboni. Né manca, tra i primi, quello dalla studiata camminata strascicata particolarmente commovente, che però zompetta con sorprendente agilità sul bus che lo riporta a casa nell’intervallo tra un’esibizione e l’altra. Ricordo di aver sentito parlare in passato, da uno che faceva la guardia giurata davanti ad una banca sotto i portici e ne aveva visti di tutti i colori, del cieco che se gli mettevi un bottone nel piattino ti tirava dietro una bestemmia e di altri poco ameni personaggi da commedia dell’arte. Poi ci sono i barboni, che non tendono la mano a chi passa, non fingono deformità inesistenti, al massimo tirano su un cartello che appoggiano al corpo mentre dormono, per non essere continuamente richiamati da chi ha voglia di dare.

Ad esempio, l’anziano polacco col cappellaccio in testa e l’aria affatto avvilita che si vede spesso dalle parti di via Garibaldi ed in ispecie all’ingresso della cappella dei Rossi: si direbbe, a guardarlo, che non se la passi poi tanto malaccio (ed a qualcuno fa pure invidia!). Un altro, di nome Pino, pugliese, apparentemente anziano, rientrava -al contrario del primo- nel cliché che vuole i barboni in buona parte afflitti da qualche forma di dipendenza (per lui, l’alcool) e di malattia mentale (circa il 50 per cento, secondo le statistiche). Lo incrociai un giorno in via D’Azeglio che non si reggeva in piedi, lo presi per mano e lo accompagnai alla Pubblica dietro via Bixio, dove lo misero a letto con qualche lamentela dicendo che "ci marciava". Mah! Nel frattempo m’aveva raccontato le sue peripezie (tra l’altro aveva avuto, diceva, un fratello deportato a Mathausen). Quando lo rincontravo, mi chiedeva l’obolo, ma con voce bassa e dimessa, quasi si vergognasse. Qualche volta glielo negavo, sapendo che sarebbe finito in qualche bettola. Ultimamente dava proprio di matto, andava in giro sbraitando e minacciando la gente. Insomma, pareva proprio alla frutta. Poveraccio.

In Italia, ed a Parma, più che di integrazione è tempo di repressione: Vignali & C. chiedevano maggiori poteri, Maroni glieli ha dati, ma almeno nel caso della multa da trecento euro per l’elemosina molesta (sulla base di chissà quali criteri), non si capisce bene a che pro, dato che ad occhio e croce il multato non pagherà mai, visto che è ridotto a fare il clochard. Non era sufficiente, come a Piacenza, perseguire l’elemosina truffaldina, che è già prevista come reato? Così, mentre i sindaci-sceriffi sprigionano la loro (scarsa) creatività, il popolo dei barboni cresce.

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