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Quale quotidiano parla oggi dei "fatti"?

Quando si esibisce in pubblico Eugenio Scalfari (87 anni) ha il vezzo di presentarsi come un vecchietto facoltoso e un po’ sulle nuvole, che ogni tanto si fa il suo tranquillo giretto in barca o frequenta aste di quadri, che perde facilmente il filo del discorso, che si ripete spesso e volentieri ecc.

Uno dei refrain preferiti , in polemica perenne col Corsera ed il suo direttore De Bortoli è che “ il rispetto verso i lettori si manifesta non illudendoli su una impossibilità obiettività del giornale, ma chiarendogli da subito qual è l’angolo visuale da cui si legge la realtà” .

Lo ha ribadito anche a Parma qualche giorno fa.

E’ da quando ha fondato Repubblica che glielo sentiamo dire ed ormai ha assunto i connotati di un’excusatio non petita.

Scalfari in effetti ha qualcosa da farsi perdonare.

E’ stato su suo impulso che la Repubblica, da quotidiano genericamente di sinistra liberal-democratica, qual’era alle origini (La Repubblica, com’è noto, è l’unico giornale nato - nel 1976 - per essere venduto, insomma per fornire un servizio ai lettori, all’insegna del motto anglosassone “I fatti separati dalle opinioni” ) s’è involuto in giornale schierato e militante, collaterale col Pci-Pds-Pd , e ormai ambisce addirittura a fare politica in prima persona.

Specie dall’ingresso in via dei Mille di un proprietario, De Benedetti, (cui Scalfari ha ceduto le sue quote), intenzionato a trattare da pari a pari col potere politico-istituzionale e nel caso persino piegarlo ai suoi voleri (fu il combinato disposto di Repubblica e Corsera ad imporre nel 2007 Veltroni come segretario Pd, provocando una risentita lettera del concorrente Fassino).

E intanto continua imperterrita a riproporre in prima pagina le solite, stucchevolissime notizie di bassa politica politicante, le esasperanti esegesi dell’alzata di sopracciglio di questo o quel politicante (e non parliamo certo né di un De Gasperi né di un Togliatti).

Infischiandosene dei sondaggi che collocano tali argomenti  in fondo alla scala di gradimento dei lettori e della loro disaffezione crescente, documentata dal calo delle copie vendute (15.2% in meno tra 2007 e 2008 = da 580.000 a 518.000 copie), ma anche da lettere come questa di una lettrice romana: “Ho partecipato a movimenti politici, partiti, ora non riesco neanche più a leggere i giornali, non voglio sapere niente delle interviste ad escort a tutta pagina ecc.… tutto questo mi ha portato ad una forma di depressione inutile…”.

Umori del resto ben presenti allo stesso Scalfari, che in un editoriale di domenica 19 settembre dedicato al dualismo Fini-Berlusconi scriveva: “A me non piace il politichese. Non mi piace come linguaggio e neanche come argomento, anche perché – ne sono certo – non piace neppure ai nostri lettori". Mentre in un editoriale successivo auspicava “di poter presto dedicarsi a parlare dell’amore e delle sue conseguenze", anziché delle diatribe sulla casa di Montecarlo.

Nonché a suoi autorevoli colleghi, quali il corsivista Michele Serra, che in una sua “Amaca” recente ostentava sdegno per il diverso peso che sulla bilancia dell’informazione hanno quisquilie come la casa di Montecarlo e fatti “veri”, ricchi di senso e di pathos, come la manifestazione dei giovani calabresi contro la mafia a Reggio.

Per non parlare di Giorgio Bocca che scriveva già anni fa: “Davvero non si possono chiamare informazione questo dire e disdire sul nulla della nostra politica, l’insopportabile chiacchiericcio sul vuoto".

Non sono da meno il Corsera e Ferruccio De Bortoli, l’altra colonna portante del nostro sistema editoriale.

“I fatti sono fatti e le opinioni sono opinioni", sostiene ad ogni pie' sospinto il direttorissimo. Oppure: “Noi siamo testimoni al di sopra delle parti” . Oppure : “ Siamo un giornale che ragiona con la propria testa, lungo il solco liberale della sua tradizione. Un quotidiano che si ostina a coltivare la propria indipendenza”.

Ora, certe pretese di imparzialità sono discutibili a prescindere (come sottolinea Umberto Eco, “il mito dell’obiettività, del giornale “indipendente” camuffa semplicemente la riconosciuta e fatale prospetticità di ogni notizia. Per il semplice fatto che scelgo di dire una cosa piuttosto che un’altra ho già “interpretato”).

Ma ammettiamo pure che si possa rimanere indipendenti avendo alle spalle – come Corsera e tutti o quasi tutti i quotidiani nazionali e locali - degli editori “impuri” (industriali e finanzieri) che non hanno nessun interesse ad inimicarsi una classe politica che può fare dei favori (da ricambiare?) alle loro attività “principali”, editori i cui utili sono rimpolpati per giunta da qualcosa come 23 milioni di euro all’anno di contributi pubblici, stabiliti cioè da quella stessa classe politica di cui il Corsera dovrebbe essere il cane da guardia. [1]

Come minimo, deve essere una fatica immane, con qualche evidente stramazzamento... 

Come quando, dopo la reprimenda del Ministro Bondi datata 5 agosto sul caso dell’alloggio di Montecarlo (“Il Corriere è rimasto muto e strabico di fronte a episodi denunciati da altri autorevoli quotidiani.. È troppo chiedere anche al Corriere, che ha sempre fatto della completezza dell' informazione una propria bandiera, di informare anche i propri lettori di quanto stanno rivelando alcuni quotidiani nazionali?), De Bortoli - che non era rimasto muto e strabico, ma aveva tenuto fin ad allora un profilo più basso sull’argomento, con articoli quasi quotidiani a partire dal 29 luglio, ma in pagine interne, tra la quinta e la nona, forse più adeguate all’entità oggettiva del fatto - ha fatto dietrofront dopo una penosa ammissione di colpa.

Ed appena il giorno dopo (6 agosto) il Corsera mette in prima pagina (taglio medio) un articolo sull’argomento “Casa di Montecarlo: la guardia di finanza nella sede di An” che poi sviluppa all’interno occupando le pagine ottava e la nona . E via di questo passo nei giorni successivi.

Non pare una gran prova d’indipendenza.

Evidentemente anche per De Bortoli i lettori vengono dopo, se accetta di dare un rilievo debordante al bilocale di 50 metri quadri con cucina Scavolini da 4500 euro a Montecarlo solo per fare un piacere ad un potente.

Ed il problema è che – mentre gli affezionati lettori del Giornale e di Libero, che hanno lanciato e cavalcato lo “scoop” fino all’esaurimento, per mettere la sordina agli scandali del premier oltre che per killerare Fini, sanno benissimo che cosa c'è da aspettarsi da loro ed è proprio quello che vogliono, non certo essere informati, ma semplicemente confermati nelle loro posizioni aprioristicamente berlusconiane – i lettori del Corsera non sarebbero affatto così contenti di scoprire che il loro prestigioso newsmagazine – a parte il caso Montecarlo – anziché assolvere alla sua sbandierata mission di stampa libera e indipendente, si occupa piuttosto di competere al pari de la Repubblica nel sistema politico, orientando l’agenda politica , le scelte di leadership, i comportamenti dei politici .

Ma dovranno prima o poi rassegnarsi anche loro: in un sistema siffatto, in assenza di un mercato strutturato ed articolato, di giornali e giornalisti che si facciano una guerra anche spietata come accade negli Usa, guardando ai lettori più che al loro posizionamento politico (il che spiega più di tutto, più di una presunta idiosincrasia alla lettura degli italiani, la scarsa diffusione della stampa nostrana) non c’è quotidiano che possa davvero rappresentare e dar voce alla pubblica opinione e rappresentare una funzione di controllo democratico del potere , come pretendono i de Bortoli (e pure gli Scalfari). 

Noi internauti, intanto, consoliamoci col webjournalism, almeno finché anch’esso non verrà fagocitato dal Murdoch di turno.



[1] Il Corsera e le altre 385 testate ottengono contributi pubblici diretti  per un importo annuo di circa 600 milioni di euro in totale ( tra cui particolarmente odiosi i 29 milioni per presunte coop create ad arte, compreso quella del mitico Ciarrapico che si frega da solo 5 milioni di euro editando dodici piccole testate locali tipo Ciociaria Oggi o Castelli Oggi) ). Gli italiani dunque finanziano tra gli altri , oltre al giornale della RCS, anche il quotidiano della Confindustria ( 19 milioni di euro l’anno), il quotidiano della Conferenza episcopale italiana ( 10 miliardi) ed il quotidiano della Fiat ( 7 miliardi).

Poi ci sono le imprese editrici di quotidiani, periodici e libri ( ben 495) che beneficiano del credito d’imposta per le spese sostenute per l’acquisto di carta , per un totale di circa 85 milioni annui ( ad es. la Mondadori di Berlusconi prende 10 milioni di euro annui per questa voce, più uno sconto sulle spedizioni postali per 19 milioni di euro annui)

 Questo in un paese che ha il più alto debito pubblico dell’Occidente, salito nel 2006 ad oltre 1600 miliardi di euro, e che paga ogni anno il 6 per cento del PIL per gli interessi su tale debito.

 

 

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