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(In)ter(per)culturando: analisi-confronto da ’la vita erotica dei superuomini’ di Marco Mancassola- II parte

Riprendo i fili dei ragionamenti attorno al romanzo ’La vita erotica dei superuomini’, iniziati QUI.

Ho ritrovato, stilisticamente, la gestione consapevole, matura, di alcune strutture già presenti e riconoscibili (ad esempio) nei racconti pubblicati da Minimum Fax nel 2005 ovvero ’il ventisettesimo anno’: L’uso sapiente e amplificante delle parole ripetute ravvicinatamente, il ritmo costante che cadenza e accompagna, i ’come’ qui più sfumati e meno pressanti rispetto alla precedente scrittura. Poi l’aggettivazione precisa, le descrizioni puntuali, che scivolano senza appesantire.
 
Fu un giorno bagnato. Una pioggia costante aveva battuto la città, là fuori, senza variare per ore. Pioggia sui palazzi, pioggia sulle strade. Pioggia sui tetti dei taxi e sulle schiene degli autobus. Pioggia sugli ombrelli dei passanti frettolosi, dei turisti impacciati con le loro guide in mano. Pioggia sulle vetrate degli Starbucks, dove chi aveva momentaneamente rinunciato a conoscere la città, o anche solo ad attraversarla, sedeva con un bicchiere di costoso caffè, a contemplare l’esterno o il proprio riflesso sul vetro. Pioggia.
(pag.67)
 
E’ senza dubbio una scrittura scorrevole, può diventare impegnativa la lunghezza seppure credo sia difficile abbandonare la trama una volta trovati gli accessi, gli espedienti narrativi scatenano sospensioni, aloni misteriosi attorno alle morti di questi ex eroi. C’è senza dubbio una consapevolezza importante nell’uso non solo degli strumenti narrativi ma anche delle tecniche di gestione delle trame, nel solleticare interesse e attenzione per legami, dinamiche sentimentali, psicologie che non giocano sulle analisi inconsistenti, piuttosto si insinuano partendo proprio dalla carne. Perché il lettore lo sa, che la tensione, l’attesa non è solo (anzi, lo è in minima parte) per la scoperta del ‘colpevole’, piuttosto è il serpeggiare dietro, dentro i superuomini che paralizza, cattura. Questi personaggi, dei quali il lettore in larga misura conosce già qualcosa, li ha visti (gli ex eroi intendo) nei film, in televisione e forse ne ha anche letto, tra le pagine dei fumetti. Dunque è un po’ come ritrovare vecchie conoscenze dimenticate, che parevano perse nel groviglio di fili della vita e ora tornano, si spogliano ed espongono membra e poteri che non lo sono più, ‘poteri’, piuttosto illusioni di un’ immortalità che si frantuma al suolo.
In alcuni snodi Mancassola si avvale dell’anticipazione velata, quasi una minaccia che il lettore assorbe senza comprenderla a pieno ma che insinua dubbi, prepara il terreno per futuri sradicamenti.
 
Quel silenzio. Quell’attimo. Se solo fosse durato per sempre. Se solo lui non avesse emesso un sospiro, a quel punto, e non avesse iniziato a schiacciare febbrile la tastiera. Se solo non lo avesse fatto. In seguito, molte volte si sarebbe chiesto se quello fosse stato il punto di non ritorno, la svolta senza rimedio. Si sarebbe interrogato su quale fosse il confine esatto, il momento oltre il quale la sua vita aveva smesso di essere sua, e lui aveva fatto ingresso in un altro piano della realtà…
(pag.35)
 
Il finale non è finale in senso canonico, anche perché ogni parte del libro ne ha uno, di finale, seppure aleggi sempre, fino alle ultime pagine, il dubbio a proposito di ’chi li sta uccidendo e perché’.
L’epilogo chiude cerchi rimasti in stand-by in precedenza, non rassicura, non tenta di impastare una felicità di plastica e ologrammi. Si resta storditi, con un sapore amaro in bocca anche fastidioso. Non sono mai stata particolarmente attirata dai fumetti, men che meno gli eroi poi diventati anche cinematografici. Eppure sono uscita dalla lettura spiazzata.
Forse di eroi, in fondo, c’è ancora bisogno. Ogni tanto. Appena un pò. Oppure è esattamente il contrario che scatena una sorta di irrisolto: il "non cadere" pronunciato proprio nelle ultime righe che arriva al lettore dopo cinquecentosettanta pagine sembra quasi la prima favola della storia, arrivata tardi, o addirittura ’fuori controllo’, quasi a contraddire il resto del libro. ’Non cadere’ che può avere molti sensi, rispetto a chi legge quanto alle storie di queste libro. Eppure è - a me è sembrato - un alieno, un’aspettativa che addirittura stride in bocca al personaggio in questione, già ampiamente conosciuto in precedenza. Non cadere è quello che vorremmo tutti e qui, leggendolo a chiare lettere, diventa impossibile ignorare la vocetta interiore che ride e piange allo stesso tempo.
 
Poi, mi sono chiesta: è possibile che ci siano nuovi superuomini oggi? E’davvero tempo di virare, recuperando valori, fatiche, sacrifici e speranze per non lasciarli inutilizzati, questi poteri che sono poi piccoli o grandi talenti di tutti? Nell’ultima parte un Superman trasfigurato dall’anzianità ma detentore di una ‘pace’, una tranquillità che quasi rassicura, propone al lettore questo scenario, simbolo evidente di altro. Del credere, nonostante tutto, oltre i crolli, le perdite di riferimenti, certezze e aspirazioni; del credere che si può, ancora, ritentare.
 
Lo chiedo a Mancassola:
Uno dei punti, a mio avviso, più aperti alle interpretazioni è il finale. Dove si chiudono incastri, appare uno degli eroi più amati e noti, Superman, e aleggiano miscugli di sensi, forse anche contraddizioni. C’è dunque, l’intento di lasciare uno spiraglio alla speranza di recuperare ‘eroi’ in senso ampio, trasversale? Poi questo “Non cadere” (senza svelare nulla della trama) pronunciato ripetutamente da un personaggio e che diventa il sostituto del celeberrimo “The end”, ci restituisce la favola inversa rispetto alla disillusione che si respira in tutto il romanzo? Ci stai dicendo che ‘non crediamo più a niente’ ma vorremmo, credere ancora e possiamo, forse, entro certi confini?
 
“Innanzi tutto è un epilogo, è quasi un parte a sé. Per il lettore la storia potrebbe concludersi anche con la parte di Mystique.
Il senso dell’epilogo è proprio quello di chiudere e riaprire, in un certo senso. Il senso è quello che dici tu.
Dopo una serie di chiusure, alcuni protagonisti muoiono, si arriva a una dichiarazione di fine di un’epoca che era un valore, dunque la fine di immaginazioni, sogni, romanticismi.
Dopo questa disfatta.
C’è spazio per ricominciare con qualcosa di nuovo, con altro in questo epilogo. E sono stato abbastanza esplicito, quasi didascalico. Il vecchio supereroe, Superman, che ha conservato una sua dignità, pur invecchiato, stanco, tenta di proporre un inizio ma con una nuova consapevolezza. E lo fa a modo sua, attraverso questa specie di scuola strana, dove non è ben chiaro cosa, chi e come. Tutto resta sfuggente, è in linea coi tempi narrati. Non volevo delineare uno scenario preciso, spiegare se funzionerà o meno. Tanto più che un personaggio dimostra scetticismo palese, insiste nell’incertezza.
Però resta una possibilità accennata, proposta.
Infine, proprio nelle ultime pagine, un personaggio parte della storia di Mister Fantastic, svela un proprio percorso importante. Percorso che non è stato narrato. Nato come oggetto del desiderio sfuggente, perché tutto viene narrato dal punto di vista di Reed, invece alla fine questo personaggio sposto l’angolazione. All’oscuro del lettore ha fatto un viaggio notevole, e ora sta rientrando. È andata realmente e letteralmente fuori dal pianeta, ora torna e vede che c’è qualcosa che ha ancora una sua bellezza, dunque invoca che ’non cada’. Quest’immagine finale, che è anche immagine di riapertura, speranza, volevo ci fosse. E’ un’invocazione, la sua, come preghiera, consapevole che adesso tocca a lei, essere diversa, ma c’è – resta comunque - qualcosa che sfugge. Il destino, questo ‘mondo in bilico’ non è nelle sue mani, in quelle di questo personaggio, ma neanche in quelle dei supereroi.” 
 
 
Non tutte le storie ci sono ’vicine’, è uno dei motivi per cui molte volte si acquista un libro solo dopo aver sbirciato la quarta, alla ricerca di un riassunto, elementi di trama che possano far capire se il libro sarà interessante per chi lo compra. Ebbene, in questo romanzo ci sono diversi sviluppi capaci di cattura l’attenzione, che si avvicinano al vissuto quanto meno potenziale, di chiunque. La storia d’amore di Mister Fantastic ha punti sublimi, intensi, carnali e veri. Nell’ossessione si celano piaghe e confini che non hanno nulla di eroico bensì diventa sforzo e bisogno estremo di un corpo che è presenza - appiglio costante capace di restituisce aria e sicurezze, che colora il grigio pressante del mondo. Ma anche il tratteggio psicologico e carnale di Batman, lo scavo nel passato, tra le piaghe di un altro corpo-simbolo, quello di Robin. Poi Bruce De Villa, personaggio che il lettore per la prima volta non conosce, dunque non ha precise aspettative o informazioni a cui aggrapparsi per cercare decodifiche. Bruce De Villa è l’incognita. L’umano forse umano e basta ma anche no, l’umano proteso verso il ’super’. Nuovi confini, linee d’ombra, sfumature.
 
La vita erotica dei superuomini probabilmente avvalla una convinzione in parte non nuova: nell’essere ’super’, ’oltre’ l’umano (o nel credere di esserlo) non c’è alcuna precisa e univoca ragione del ’Bene’, non significa rispettare le regole del mondo, non in senso assoluto, non da assoluzione ultraterrena. Non evita manie, fissazioni, debolezze, dolori, perdite, voglie, affanni e fragilità. Non rende ’migliori’. Non si è migliori neppure possedendo un qualunque potere, piccolo o grande che sia. Si resta comunque ciò che si è, nell’imperfezione, nell’errore, nella solitudine, entro le maglie di corpi, carne, dolori.
 
Un dibattito, discussione interessante sull’open blog di Massimo Maugeri, Letteratitudine.
 

Segnalo infine questo articolo di Marco Mancassola, apparso su Il Manifesto il 4 settembre scorso: Un corpo politico imbarazzante.


Ringrazio Marco Mancassola.

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