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Italia 1984

 

La censura di internet in Italia è un fenomeno in continua espansione, anche se nessuno, o quasi, ne parla.

Eppure, anche se considerato dai media mainstream "non notiziabile", il controllo delle autorità italiane sulla rete, così pervasivo, poliziesco e capillare da non avere paragone nei paesi occidentali, difficilmente trova eguali nel mondo e solo tra i regimi più palesemente illiberali.

Innanzitutto vorrei chiarire l’assunto di base: per "censura" intendo ogni tipo di controllo esercitato da un’autorità (quale che sia) su qualsiasi tipo di comunicazione, pubblicazione, divulgazione, spettacolo, per adeguarli a dettami politici o religiosi o morali o altro.

Detto questo vorrei ricordare alcuni recenti dati.

Globalmente:
 1 L’informazione via web nei paesi occidentali ha ormai superato quella cartacea. Il caso tipo è rappresentato dagli USA.

 2 La tv resiste come "regina dell’informazione" ma è in costante e regolare calo di di preferenze, specie tra i giovani, che le preferiscono sempre più internet.

 3 La penetrazione di internet e delle moderne tecnologie ad esso connesse (adsl, wi fi, wi max, etc...) sono in costante crescita. In Francia, per esempio, ci sono attualmente, oltre 20000 access point Wi-Fi pubblici.

In Italia (invece):
 1 Le famiglie con accesso al web sono diminuite dal 43% del 2007 al 42% del 2008 (fonte Eurostat). E’ questo, bisogna sottolinearlo, un caso unico in Europa; persino in Cina, dove vige una ferrea censura su ogni tipo di espressione, l’accesso è in costante espansione. Forse per trovare un trend analogo bisognerebbe avere i dati della Corea del Nord.

 2 Il governo destina fondi pubblici per finanziare i decoder tv (vedi caso Sardegna, dove si è completato da poco lo switch off della tv analogica). Nel frattempo il capo del governo, che è anche l’uomo più ricco del Paese, che è anche quello che ne ha il controllo semi-totalitario dell’informazione mainstream, rende noto, per bocca di un suo sodale, che "tutto il (futuro) dividendo digitale (cioè le frequenze risparmiate grazie allo switch off tv) dovrà andare alle tv per l’alta definizione" (Fedele Confalonieri, "Prima Comunicazione", nov.2008) e non, come per esempio negli USA, per migliorare l’accesso a banda larga di internet. In Italia ci sono attualmente circa un quinto degli access point Wi-Fi pubblici fruibili nella vicina Francia, ma per i nostri governanti va bene così.

 3   Il decreto Pisanu, ovvero provvedimenti d’urgenza che, col pretesto del terrorismo, introducono, per il web, una delle legislazioni più restrittive del pianeta, (Legge n.155 del 31.7.2005) viene prorogato per il 2009. Nel silenzio dei media generalisti. In base a tale decretazione d’urgenza, oggi perfettamente in vigore, la stessa che ha legalizzato i rapimenti di stato (per es. il caso Abu Omar), lo stato italiano ha il diritto di impossessarsi di tutt’una serie di dati personali relativi ad ogni tipo di comunicazione telefonoco-telematica di tutta la popolazione, e di conservarli per diversi anni (data retention).

Sempre in base a tale decretazione, e sottolineo la parola "decretazione", (convertitasi poi in legge senza discussione, e sull’effervescenza emozionale degli attentati di Londra del 2005) in Italia, chiunque voglia offrire un accesso pubblico ad internet, come un internet café, deve chiedere il permesso alla polizia. Inutile aggiungere che, oltre all’autorizzazione della questura, si ha poi l’obbligo di schedare chiunque si connetta e conservare i suoi dati di navigazione per anni. 
 
Quest’obbligo di registrazione è una cosa sconosciuta nel resto dei Paesi democratici: nemmeno il Patriot act USA del 2001, un pacchetto di leggi antiterrorismo liberticide e incostituzionali (talune poi annullate dalla Corte Suprema), prevedeva una registrazione universale sul tipo della "Pisanu".

Il decreto in questione ha poi prodotto effetti anche sulla connessione senza fili, che in un Paese come l’Italia, collinare ed accidentato, avrebbe rappresentato una valida (ed economica) alternativa all’adsl. Il Wi-Fi nella penisola quasi non esiste e non è un caso, bensì uno dei frutti avvelenati della "Pisanu". I famigerati protocolli AAA (authentication, authorization, accounting), complessi e invasivi, rappresentano solo costi e burocrazia in più: non sappiamo quanto siano utili nella lotta al terrorismo, ma è sicuro che hanno stroncato lo sviluppo del wireless nostrano.

Quindi, sintetizzando, in Italia, coi più nobili pretesti, il potere ostacola in ogni modo l’accesso a internet. E ci riesce. Del resto, per l’informazione, a detta di Berlusconi, c’e’ già la tv.
 ....................

Proviamo ora ad alzare lo sguardo e contestualizzare sommariamente il rapporto tra potere e libertà di espressione, per vedere se questa è una tendenza recente o se, al contrario, la prassi censoria, in Italia, è una tradizione consolidata, più o meno dissimulata.

Alcuni dati:

- Gennaio 2009: prorogata la legge d’emergenza Pisanu (n.155/05)


- Dicembre 2008: il capo dell’esecutivo dichiara pubblicamente che "in occasione del prossimo G8 bisognera regolamentare internet".


- Novembre 2008: presentato alla commissione cultura della Camera un disegno di legge (c 1269) che prevede l’obbligo di registrazione per i blog a un "registro" (il ROC) e l’estensione delle leggi (di matrice fascista) relative ai "reati a mezzo stampa" anche per internet.


- Settembre 2007: l’ex ministro Frattini, in qualità di commissario europeo alla sicurezza propose pubblicamente la censura, sui motori di ricerca, per alcune "parole pericolose" (come per es. bomba, terrorismo, genocidio etc...). Inutile dire che la proposta di legge non passò, ma utile ricordare l’episodio per avere un’idea di chi ci rappresenta a Bruxelles.



- Agosto 2007: DDL Levi-Prodi, poi ritirato a furor di popolo (della rete), meglio noto come "Legge sul riassetto dell’editoria". Punti salienti: obbligo di registrazione
(registro ROC) e "reati a mezzo stampa" anche per i blog.


- Gennaio 2007: decreto Gentiloni contro il pedoporno che obbliga gli stessi provider a censurare i siti incriminati e ne permette alla polizia il sequestro immediato. Come noi, in Europa, solo la Gran Bretagna. Il decreto sarà poi convertito in legge.


- 2006, legge finanziaria: censurati dalla polizia postale, su ordine della AAMS (monopoli di stato), 500 siti esteri di scommesse (tra l’altro con blocchi DNS aggirabili da qualsiasi dodicenne...).


- 31 luglio 2005: legge n. 155/05, " Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale". E’ il famigerato decreto Pisanu, convertito in legge e di cui si è accennato più in alto, la schedatura di massa legalizzata.


- 24 marzo 2004: decreto Urbani, che prevede un inasprimento delle pene contro il peer to peer audiovisivo (fortunatamente è di quasi impossibile implementazione, altrimenti la metà degli italiani sarebbe "in galera"). In tale occasione Pietro Folena si domandò, non troppo retoricamente, se il governo non volesse "internet come stato di polizia".


- Dicembre 2003: il ministro Castelli vara un decreto sul "data retention", meglio noto ai netizen come "decreto grande fratello", che, seppure cannoneggiato sul web a palle incatenate, vista la sua palese natura liberticida, e stigmatizzato come incostituzionale da alcuni parlamentari (Cortiana e Cento) , spianerà poi la strada al decreto Pisanu dell’anno successivo. Tale decreto prevedeva, tra l’altro, conservazione dei dati per 5 anni, complicità dei provider nella raccolta dati e spese extra per gli stessi, e, in sostanza, un controllo governativo capillare, sistematico, continuo di tutte le comunicazioni elettroniche della repubblica, di tutto e di tutti con tutto e con tutti.


- 2001, governo Prodi, legge n. 62/2001: "Nuova legge sull’editoria": da tale data in Italia, chiunque voglia pubblicare informazioni on line deve registrarsi. I reati a mezzo stampa sono, pari pari, applicabili anche ad internet, comprensivi di multe, processi e sequestri polizieschi.
 
Questa è forse, in Italia, la "madre di tutte le censure" del web. Con questa legislazione intimidatoria si impone l’autocensura.

Essa stabilisce, per la prima volta una surrettizia equiparazione tra blog e redazioni, introducendo il concetto di "prodotto editoriale". Inoltre per ogni sito internet d’informazione ci vorrà obbligatoriamente un "responsabile".

Seguiranno polemiche infinite, distinguo, precisazioni, per la vergogna di una legge che ci accomuna al regime di Pechino, ma la sostanza di tale ignominia sarà così apprezzata dal potere politico, che il successivo governo Berlusconi la manterrà tale e quale (Bonaiuti dirà che essa è "un perno della politica del governo"). L’unico problema per la casta è quello di riuscire a far passare tali principi liberticidi senza che la massa se ne accorga, perciò nei tg si apre con le nevicate, si prosegue con gli omicidi, meglio se a sfondo sessuale, e si chiude con lo sport.
 .................

Ecco, queste leggi, questi decreti, queste proposte di legge: è questo ciò che intende la casta, al di la degli slogan, per "liberta’ di informazione" o "net neutrality" o "diritti del cyberspazio". 

E se questo vale in generale, in Italia c’è una situazione informativa tragicamente abnorme, senza eguali in paesi democratici: un vecchio monopolista autoritario e una casta politica che non sopporta che il "popolo" non si abbeveri all’informazja di regime, ovvero i media mainstream, quelli a libro paga del potere (finanziamenti all’editoria).

Ma questo "decennio liberticida" per l’informazione on line non nasce dal nulla, non per niente è bipartisan, unisce quasi tutto il parlamento come forse solo la guerra riesce a fare.

E infatti, se volessimo, per concludere, andare un po’ più a ritroso nella tradizione italiana potremmo notare come nella legge sulla stampa n. 47 del 1948 siano contemplati i reati a mezzo stampa.

E la legge in questione è figlia diretta della legge n. 2307/1925 con la quale furono inventati dal Duce ordine dei giornalisti e direttore responsabile... Come si vede il ROC non lo inventano certo Prodi o Berlusconi, semmai lo mantengono, perfezionandolo e rivestendolo di nuova ideologia. Del resto hanno anche rispolverato lavecchia tessera annonaria fascista, ribattezzandola "social card"...
 
Per questo in Italia l’accesso all’informazione indipendente on line è ostacolato in ogni modo dallo stato, perché fa parte di un modo di sentire consolidato: quello dello stato paternalista e tutelare, quasi etico, che indica la strada ai suoi sudditi, dolcemente, con la tv e i giornali, perche non si facciano male con informazioni "pericolose" o sovversive.

A questo punto qualcuno magari penserà : "si, può darsi, ma io col mio pc da casa navigo dove voglio". Vero (parzialmente). Ma si provi ad accedere ad un internet point di una biblioteca pubblica per vedere come ci si informa in Cina: obbligo di schedatura, tempo rigidamente contingentato (45 minuti - 1 ora), censura tramite filtro (a Torino ho sperimentato Websense). Da sottolineare che, tale filtraggio, non è dichiarato dagli operatori, e non è nemmeno possibile conoscere la black list dei siti e/o parole proibiti.

Dopo le mie prime due domande a una signora piuttosto gentile che cercava di darmi delucidazioni mi si è avvicinato un tizio in giacca e cravatta, che mi ha sibilato di non fare domande, poiché quelle erano informazioni "riservate".

Forse la Corea del Nord è qui dietro l’angolo.

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