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Noam Chomsky: "Denied entry", in Israele

Noam Chomsky: "Denied entry", in Israele

Domenica 16 maggio, Noam Chomsky è stato bloccato alla frontiera dall’esercito israeliano.
 
L’intellettuale statunitense (di origini ebraiche) avrebbe dovuto tenere una conferenza all’Università palestinese di Birzeit presso Ramallah (Gaza), ma l’esercito israeliano gli ha impedito l’accesso in Israele, decisione poi confermata dal ministro dell’interno dello stato ebraico.
 
Lo riferisce il quotidiano israeliano Haaretz, aggiungendo che sul passaporto del grande linguista è stata apposta, da un ufficiale di frontiera israeliano, la dicitura "denied entry", ovvero "ingresso vietato".
 
L’81enne leggendario intellettuale, linguista ed attivista, è in Palestina per tenere una serie di conferenze, tra cui quella, poi vietatagli, all’università palestinese e, contestualmente, incontrare il primo ministro palestinese e alcuni attivisti locali che si battono contro il regime di apartheid israeliano.
 
Nell’itinerario del professore emerito non era contemplata alcuna visita ad istituzioni israeliane.
 
Al momento di attraversare la frontiera tra la Giordania e Israele, presso il ponte di Allenby Bridge, è stato fermato dai militari alla frontiera, interrogato per oltre 3 ore, dalle 13.30 sino alle 16.30 e poi rilasciato, senza però la possibilità di raggiungere la Striscia di Gaza. "Denied entry" nello stato che i mainstream occidentali dipingono come una "democrazia".
 
Alla faccia della retorica sulla libertà di espressione.
 
La portavoce del ministero degli interni israeliano, Sabine Haddad, ha detto che i funzionari stanno cercando di fare chiarezza (...) per permettere a Chomsky di proseguire il suo viaggio. In realtà non c’è molto da chiarire nel comportamento di Israele. I fatti parlano da soli.
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C’è un intellettuale che deve parlare e c’è un regime che glielo impedisce.
Niente di nuovo sotto il sole. Questo è ciò che intende il regime sionista per "libertà di espressione". 
 
Secondo Reporters sans Frontieres lo stato ebraico continua a perdere posizioni nel rank mondiale sulla libertà di espressione.
 
Nell’ultimo rapporto (2010) Israele figura al 93esimo su 175 e si distingue per l’eccidio di giornalisti (6) nell’operazione "Piombo Fuso" del dicembre 2008-gennaio2009.
 
Nel piccolo stato ebraico i giornalisti sono sottoposti a severe restrizioni, la censura militare sui media è pervasiva e sistematica, serve il permesso governativo per recarsi nei territori occupati, l’attivismo è ferocemente osteggiato.
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Quando Chomsky ha domandato ai militari il motivo del divieto d’ingresso, gli è stato detto che la risposta alla sua domanda sarebbe arrivata, per iscritto, presso l’ambasciata statunitense.
 
Gli è stato comunque detto, durante l’interrogatorio alla frontiera, che ciò che scrive non piace al governo isrealiano, al che l’intellettuale avrebbe ribattuto con una fulminante domanda, invitando i suoi interlocutori a trovare un governo che gradisca ciò che scrive...
 
Il dirigente palestinese che lo ha invitato, Mustafa al Barghouti, ha definito il comportamento israeliano "un’azione fascista, che mina la libertà di espressione".
Anche l’Associazione per i Diritti Civili israeliana ha duramente criticato l’operato del ministero degli interni per aver "detenuto un uomo vietandogli di esprimere la sua opinione".
 
"Trovo difficile pensare ad un altro caso simile al mio, in cui una persona non può entrare in un Paese perche’ non dara’ la sua lezione a Tel Aviv. Forse solo nei regimi stalinisti accadeva", ha dichiarato Chomsky una volta rilasciato.
 
In realtà per il regime israeliano ammazzare giornalisti, arrestarli, impedirli, schedarli, ostacolarli, intimidirli, è pratica assolutamente normale, prescritta dalla legge, così come l’apartheid, la tortura, i rapimenti e le uccisoni extragiudiziali.
 
Anche Richard Falk, relatore speciale ONU per i diritti umani, si è visto negare, meno di un anno e mezzo fa, l’ingresso in Palestina dal governo israeliano.
 
Prima di lui anche a un altro intellettuale, Norman Finkelstein, nel 2008, era stato vietato di esprimere le sue idee nella repubblica della stella di David.
 
Giornalisti, intellettuali, attivisti, difensori dei diritti umani: per il regime israeliano sono tutti nemici a cui chiudere la bocca, con le pallottole, con la galera o coi visti sul passaporto.
 
Inutile dire che questa, per i media mainstream, è la classica non notizia. Non cercatela sulle prime pagine dei giornali, non aspettatevi gli elzeviri dei corifei del "liberalismo" (quando-gli-fa-comodo) da Panebianco a Riotta a Calabresi a DellaLoggia a Ostellino e compagnia bella. Per non dire la Tv.
 
Non cercatela, perché non la troverete. O la troverete in un francobollo in centesima pagina.
 
Si chiama "doppio standard", (magistralmente descritto dal grande linguista statunitense in numerosi suoi libri, tra cui il classico "Manufactoring consent") e postula un diverso trattamento per la stessa azione, a seconda se a compierla sia il nostro governo, un regime amico o un regime nemico. Il doppio standard viene chiamato dai regimi occidentali "obiettività giornalistica"
 
Per le sedicenti "democrazie" occidentali la pratica del doppio standard non sarebbe possibile senza il lavaggio del cervello dei mainstream.
 
Per avere detto (e soprattutto scritto) ciò le sedicenti "democrazie" (come Israele) impediscono a quelli come Chomsky di esercitare un diritto fondamentale, una delle famose 4 libertà liberali: il diritto alla libertà di espressione.
 
Perché la cosiddetta "libertà di espressione", in Occidente, oggi, non è null’altro che un’arma ideologica. Come ci dimostra, l’ennesima volta, il regime israeliano.
 
Al professor Chomsky tutta la nostra solidarietà. La sua umanità e il suo coraggio sono un esempio per tutti noi.

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