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"Libertà di stampa": un’arma ideologica

"Libertà di stampa": un'arma ideologica

Ieri, 3 maggio l’Onu celebrava la "Giornata Mondiale della Libertà di Stampa". Qualche frasetta retorica come da copione, il solito richiamo ai nobili princìpi e ai sacri diritti, i soliti slogan sulla libertà da difendere. Sottinteso: la "libertà di stampa" è tutelata in occidente (e alleati) ed è conculcata nel resto del mondo, specie nei regimi ostili al capitalismo occidentale.
 
Sempre ieri Reporters sans Frontieres rilasciava il sua rapporto annuale sui "Predatori della Liberta’ di Stampa". Secondo tale rapporto l’Italia del 2010, unica in Europa con la Spagna, figura tra i Paesi "predatori" e ciò a causa della malavita organizzata. Ma anche qui la retorica dell’Occidente campione della libertà di espressione è un articolo di fede. Cuba, dove nessun giornalista è mai stato ucciso è molto più penalizzata in classifica di paesi come Israele o le Filippine dove l’assassinio dei giornalisti è pratica comune.
 
Tra il 21 e il 25 aprile si teneva in Italia il quarto International Journalism Festival, dedicato ad un pubblico giovane. Ingresso gratuito e personaggi di sicuro richiamo come Roberto Saviano. In Italia, (dove i legami tra esecutivo e malavita organizzata sono risaputi, provati, organici) e dove la "libertà di stampa" è poco più che una barzelletta, nessun incontro è stato intitolato, poniamo, "Italia, oligopolio mediatico e lavaggio del cervello" oppure "il giornalista di oggi: un servo in redazione". Si è parlato d’altro appunto per non parlare di questo, il vero problema. La vetrina mediatica occidentale deve risplendere sempre.
 
Pochi giorni dopo, il 29 aprile Freedom House rendeva pubblico il suo "Rapporto Annuale 2010" sulla libertà di espressione nel mondo. L’Italia dell’egoarca risulta occupare il 72esimo posto, ed è tra i paesi "parzialmente liberi". Solo il carattere fortemente ideologico dell’ente americano può giustificare un piazzamento così elevato. L’Italia dovrebbe figurare tra la Corea del Nord e il Turkmenistan, ma siccome il suo regime è un cliente degli Usa stessi, ecco spiegato il solito doppio standard. Concentrazione mediatica, censura, autocensura, legislazione punitiva (DDL intercettazioni, diffamazione), giornalisti minacciati e obbligati alla scorta permanente (Capacchione, Cavalli, Abbate, per esempio), tutto ciò non è così grave per il blasonato Freedom House.
 
Il giorno prima, 28 aprile, il quotidiano Il Manifesto usciva con "Ultim’ora", un inserto monografico sulla situazione attuale dei media. Cifre, nomi, percentuali, analisi. Dati sui quali avrebbero dovuto aprire Tg e mainstream. E sui quali invece vige la congiura del silenzio.
 
E ciò non stupisce, nel Paese dove un italiano su due non legge nemmeno un libro all’anno, dove il 65% non supera il secondo livello di alfabetizzazione, e dove la fonte principale d’informazione popolare è la tv. E dove il padrone delle tv è, sostanzialmente, uno solo.
 
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Domanda: dov’è la "libertà di espressione" in tutto cio? Ha senso parlare, in un regime come quello italiano, di "libertà di stampa"?
 
L’approccio che useremo sarà quello del noto "Modello della Propaganda" di Chomsky e Hermann. Secondo tale teoria (la più articolata ed empirica sui media), i media non sono altro che imprese che vendono prodotti (il loro pubblico) ad altre imprese, gli inserzionisti.
 
Le "notizie" subiscono la censura (ovvero il controllo) di 5 FILTRI, i più importanti dei quali sono: proprietà, pubblicità, fonti. Gli autori dello studio parlano di FABBRICA DEL CONSENSO: questo e nient’altro che questo sarebbe la tanto sbandierata e ostentata formuletta nota come: "libertà di stampa", (la "nostra"), da contrapporre ad una pretesa "mancanza" di tale diritto fondamentale, (degli "altri"). Null’altro che un’arma ideologica.
 
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Per quanto riguarda il primo e l’ultimo degli eventi (Onu e Il Manifesto) si può dire che i mainstream nostrani hanno totalmente ignorato i temi in questione. Ma anche per gli altri eventi non c’è stata nessuna particolare attenzione mediatica. Nessuna apertura del Tg1, nessun dotto elzeviro dei Panebianco, dei Della Loggia, dei De Bortoli, dei Feltri. I mainstream devono nascondere le notizie importanti, quelle che potrebbero far cadere la maschera al regime.
 
Innanzitutto i media devono vendere (sesso, sangue e soldi) e non raccontare i fatti loro al popolino, quindi non c’è contraddizione nella bassa visibilità mediatica riservata a tali eventi. I mainstream devono distrarre l’opinione pubblica.
 
Però i giornalisti, invece di ammazzarli o imprigionarli (estrema ratio sempre possibile ma poco telegenica) è molto più proficuo farli lavorare per gli interessi "giusti" ovvero i poteri forti, politici ed economici. Così non disturbano il potere e anzi gli fanno fare tanti bei soldoni, con la scusa, naturalmente, dei "nobili" principi.
 
A questo serve, per esempio, il Festival Internazionale di giornalismo sopracitato. Basta vedere gli sponsor tra cui spiccano Unicredit (che commercia in armi) e l’ENI, una multinazionale criminale colpevole, tra l’altro, di disastri ambientali (Sud America ) e genocidio (Niger). E nel corso di tale festival, non si è parlato delle inchieste del Corsera o del Sole 24 Ore sui traffici d’armi e sui genocidi di stato, semplicemente perché tali inchieste non esistono.
 
Esistono gli interessi dei proprietari dei media, ovvero di Mediobanca nel primo caso e di Confindustria nel secondo. Queste sono le cose importanti, anche se indicibili.
 
Ecco cos’è il giornalismo attuale. meglio che i giovani, che guardano meno tv dei vecchi e potrebbero avere le idee poco chiare, lo capiscano subito: regola giornalistica numero 1, se lavori in redazione devi leccare il sedere a qualcuno. Altrimenti sei fuori dal sistema dei media. Punto.
 
Era un festival "internazionale", ma non c’erano, e nemmeno si è parlato, di personaggi come Gianni Minà o John Pilger. In compenso c’erano "professionisti" dei tg... ciascuno tragga le conclusioni che crede.
 
Le classifiche degli organismi come Freedom House o RsF non è bene che siano troppo enfatizzate dal sistema mediatico del belpaese per evidenti motivi di concentrazione di potere e conflitti di interessi. Per questo i mainstream le ignorano quasi del tutto. Eppure, in realtà, tali istituti, uno americano e l’altro francese, sono ultraliberisti, molto conservatori, filoccidentali. E, soprattutto, sono molto benevoli col regime italiano.
 
Freedom House è un ente di propaganda governativa fondato dalla moglie del presidente Roosevelt, Eleanor. E’ a completo libro paga del governo USA. FH ha definito, per esempio, le elezioni del 1979 in Rhodesia "democratiche", così come quelle del 1982 di El Salvador, all’epoca degli squadroni della morte di D’Abuisson e delle urne trasparenti. Secondo tale ente il fatto che Israele (che nel rank è 63esimo, paese "libero") ammazzi i reporter impunemente (persino un italiano) è meno grave che a Cuba si imprigioni o che nell’ Italia medesima si minaccino di morte i reporter. La chiamano: "indipendenza di giudizio". Noi la chiamiamo doppio standard.
 
Reporters sans Frontieres, l’associazione creata 25 anni fa da Robert Menard, riceve fondi dalla Cia, dal NED, nonché da multinazionali come Coca Cola. Seppur con delle differenze l’approccio ideologico è il medesimo di Freedom House.
 
E’ vero, è appena stato pubblicato il rapporto dove anche l’Italia dell’egoarca viene stigmatizzata come "Predator of press freedom", ma bisogna leggere fra le righe: le motivazioni ufficiali si richiamano alla malavita organizzata e NON alla criminalità di un governo illiberale, illegittimo, corrotto, sempre più totalitario: un laboratorio dittatoriale, quello italiano, unico al mondo.
 
In Italia il 73% del mercato totale nazionale dei media è in mano a 5 gruppi, uno dei quali è anche titolare del potere esecutivo, ma NON è a causa di ciò che, secondo RsF, tale Paese merita la maglia nera di "predatore". Pare che l’ente francese voglia distogliere l’attenzione dai veri enormi problemi del "caso Italia". Un caso mediatico unico, senza paragoni. Da lasciare allibiti. Ma non RsF.
 
Lo studio del Manifesto ci dice che in Italia 5 gruppi controllano il 73% dell’editoria, con un giro di quasi 5 miliardi di euro: in calo. Ecco cosa si intende per "crisi dell’editoria". La diminuzione degli utili dei padroni dei media. La diminuzione degli offensivi guadagni dei fabbricatori di "illusioni necessarie" con le quali guidare il popolino.
 
Il fatto che i media siano diventati uffici stampa padronali e spacciatori di non notizie inutili, il fatto che le inchieste siano scomparse, il fatto che la pubblicità sia il vero business dell’editoria, tutto ciò non sembra essere in relazione con la "crisi dell’editoria".
 
Come dire: è giusto e utile imbottire la testa del popolo bue di inutili fregnacce, l’importante è che tutto ciò paghi e che gli editori siano sempre più ricchi. Ecco, questo è ciò che la classe dirigente chiama "libertà di stampa".
 
Si intuisce molto bene perché sui dati divulgati dal Manifesto occorreva far calare la censura totale, il silenzio. E’ la procedura standard del cosiddetto giornalismo mainstream: parlare solo dell’inutile, del puriginoso, dell’aria fritta. Distrarre. Evitare che il popolo possa impicciarsi in ciò che fa la classe dirigente, che non può perdere tempo a spiegare ai sudditi i suoi alti disegni. Qualcuno parla di "mezzi di distrazione di massa".
 
Altrimenti la gente come potrebbe accettare le "riforme condivise", lo strapotere della finanza, la presa per i fondelli delle elezioni, il nucleare, la guerra... Ed ecco perché è possibile bloccare i Gad Lerner, sollevare dall’incarico i Vulpio, censurare i Santoro, denunciare Il Fatto, eccetera eccetera...
 
Ecco perché l’egoarca, padrone del governo, delle tv e della casa editrice che pubblica Saviano può accusare il giovane scrittore napoletano di favorire, coi suoi libri, la fama della mafia all’estero.
 
E la chiamano "libertà di stampa e di espressione". La chiamano così allo stesso modo in cui, in 1984 di Orwell, si diceva che LA GUERRA E’ PACE e L’IGNORANZA E’ FORZA.
 
In realtà la libertà d’espressione nel giornalismo, semmai c’è stata, oggi è morta e sepolta. Ci ripetiamo slogan vuoti, mentre sappiamo che in redazione comandano l’editore e l’inserzionista. L’unica libertà è nel giornalismo on-line, quanto di più antitetico a quello mainstream.
 
E la vera libertà di stampa l’avremo quando smetteremo di dare soldi a questa stampa. Perché un editore o è "puro" o non è un editore, è un uomo d’affari, che è tutt’altra cosa e che non c’entra nulla con la libertà di espressione.
 
Prima morirà questa editoria velenosa e mendace e prima torneremo liberi. Sempre che la rete resti al riparo da qualsivoglia provvedimento governativo. Ma questa e’ un’altra storia.
 

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