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Breve guida al renzismo

Il renzismo è una forma abbastanza aggressiva di inutilità politica innalzata a superficiale stile di pensiero.

Altamente endemica quanto stagnante, questa nuova mostruosità non è altro che un’evoluzione ben più perniciosa e subdola del già noto berlusconismo, poiché mira ad esser più trasversale, in quanto mediocramente neutra e per questo facilmente trasmissibile. Se il primo si diffondeva per contatto quest’ultimo dilaga anche in forma aerea.

Sul versante propagandistico, essere incolori e fingere di non assumere alcuna connotazione politica allarga notevolmente il bacino dei consensi: chiunque può, in potenza, riconoscersi in questo vuoto pubblicizzato e aderirvi, perché tale adesione non implica alcun impegno sociale o culturale e né, tantomeno, procura ideologiche e “anacronistiche” compromissioni. Questi semplici fattori – oltremodo elementari – del renzismo offrono quindi un’apparente distanza dalla sua pessima e ingombrante paternità politica e lo sigillano in un rassicurante – quanto falso – alveo di neutrale novità!

Se il berlusconismo era facile da individuare e riconoscere, innanzitutto perché faceva gli interessi di un solo individuo e poi perché era ben collocato politicamente, contrariamente, il renzismo – prodotto in vitro per rinverdire e saldare i legami tra una politica inetta e un pessima economia – è in grado di celarsi meglio tra le fitte maglie del clientelismo lobbistico; è più fresco, offre maggiore elasticità di adesioni e può persino far riposare tutti i suoi catecumeni sotto la rassicurante bandiera del riformismo, vessillo cinicamente scippato dal feretro di un’intera tradizione progressista morta nella solitudine più assoluta e desolante.

Con questa versione 2.0, l’ “ad personam” diviene dunque “ad regimen”. Ora nel calderone delle oscenità tutti i “potentumi italici” possono esser protetti e garantiti restando puntualmente inefficienti. Altro che distanza dal passato, il berlusconismo è stato talmente efficace che si è pensato bene di allargarne i benefici.

L’Italia è sempre stata terreno fertile per deleteri protagonismi costruiti ad hoc e appoggiati da cordate imprenditoriali di inossidabile stampo vetero-latifondista, e il renzismo non è altro che l’espressione più evoluta e plurale di questa miseranda tradizione, arrivata ad un limite di insopportabile parossismo.

Essere renzista non è quindi per nulla difficile; basta essere tanto arrivisti quanto vacui, sostanzialmente inetti per lasciar spazio a chi comanda davvero, ma fingere alacre iperattività davanti alle telecamere.

Si prediligono soggetti giovani, anche se solidi e navigati frequentatori della politica, ai quali iniettare ipocrita buonismo da spargere veneficamente in giro con slogan prodotti in serie: sentire a distanza di un giorno la Moretti e la Picerno (ex bersanianane convertite) pronunciare esattamente la stessa frase:“Facciamo il mestiere più bello del mondo perché ci occupiamo dei bisogni della gente”, ci dà una triste idea del fenomeno e ci fa capire che tale pratica richiede pochissimo impegno e l’arruolamento di un numero pressoché irrilevante di neuroni.

Il renzismo è dunque alla portata di tutti, basta solo avere i santi giusti in paradiso e non possedere alcun spirito critico, sfoggiare una certa scolarizzazione – che è ben altra cosa dalla formazione culturale –, abdicare dal senso dello stato in nome di un incerto quanto deleterio riformismo, per poi giungere serafici a definire come vecchia e inutile ogni basilare garanzia costituzionale.

Tutto questo pot pourri di mediocrità va poi condita e legittimata dal placet di un Quirinale oramai dimentico del proprio ruolo istituzionale (sia per senescenza che per volontaria omissione) e infine insaporito da una protettiva spruzzatina di immancabile e “s-pregiudicato” berlusconismo – oramai al tramonto ma sempre vivo e arzillo –, giusto per dare quel sapore di sfacciata perseguibilità giudiziaria al tutto, ed ecco, signore e signori, che il renzismo è servito.

 

Fonte foto: in bici con Renzi

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