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Articolo 18: the bad job

Non si può combattere i 'bad job' atipici e precari a favore dei contratti a tempo indeterminato se viene applicato da subito l'articolo 18: lo afferma Pietro Ichino

L'affermazione di Ichino è tutta da dimostrare, impossibile farlo, ed infatti lui non lo fa. Si limita solo ad affermarla in quanto passaggio ideologico, di principio. Molti dati macro e micro economici, molte statistiche e molti studi economici dimostrano l'assoluta separazione e l'assenza di consequenzialità causa/effetto.

Non a caso ogni volta si sposta il tiro. Una volta il legame è fra art 18 e la crescita economica, poi fra questo è il nanismo delle imprese, poi fra questo è la mancanza di investimenti di capitali stranieri, poi fra questo e la precarietà. Insomma l'art 18 come il male assoluto e come tale dimostra la natura ideologica che vi è dietro questo fantasma. 

In realtà non è l'art 18 il problema, ma è solo il simbolo del passaggio successivo che è lo Statuto dei lavoratori. Anche questo stadio intermedio per la lotta di classe.

Ma al di là di questo assioma, il problema che attanaglia tutti gli economisti bocconiani e montiani è il precariato. Piaga e vera emergenza . Vero!


Ma non erano questi, da Biagi a Treu, Ichino a Boeri, Garibaldi tempo addietro ad affermare esattamente il contrario di quanto affermano oggi? Ma la forma precaria del lavoro chi l'ha teorizzato come forma moderna del lavoro, chi l'ha realizzata?

Hanno scritto tomi, volumi e volumi, hanno fatto carriera politica e accademica teorizzando il precariato, la flessibilità come motore di sviluppo per le moderne società . Il nuovo che avanza!

Ed oggi è diventato non solo un problema, ma un problema creato non da loro, ma creato e fatto pagare prima dalle pensioni e dai pensionati, poi dagli stessi lavoratori che la pagano due volte. Una volta come precari e l'altra vedendosi ridurre piano piano il livello del salario, poi il potere d'acquisto ed infine vedendosi togliere anche la dignità di lavoratore e di uomo.

Ora teorizzano ed estendono la precarietà non solo come forma d'ingresso al lavoro, ma anche come forma in uscita.

Ma non vi sembra strano questa assonanza, questa uniformità di voci, questo coro accordato alla perfezione che si è levato come d'incanto tutto insieme poco tempo prima che il governo Berlusconi prima, quello di Monti poi ed infine l'Europa ce lo ponessero come problema politico e poi ce lo chiedessero come forma ancora di modernità e di progresso?

Non vi ponete la domanda: ma non sarà che questi "tecnici" hanno solo preparato la strada, hanno solo preparato la volata finale ai governi? 

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