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 Home page > Tribuna Libera > Ancora sulla Buona Scuola. Le mille lettere all’opinionista bacchettato

Ancora sulla Buona Scuola. Le mille lettere all’opinionista bacchettato

Non avrei mai creduto che un mio modestissimo articolo sollevasse un dibattito quasi nazionale. Intendo dar conto delle tante lettere ricevute con un nuovo pezzo. Colgo l'occasione per scusarmi con tutti i docenti competenti e coscienziosi per averli feriti col l'uso del termine "stipendificio". Spero che le scuse possano essere accolte. 

Davvero non avrei mai creduto che il mio modesto (mediocre secondo molti) articolo di sostegno alla riforma della scuola avesse sollevato un tale dibattito-scontro in grado di coinvolgere giornali, sindacati, organi di informazione.

E parto facendo autocritica, e scusandomi con tutti i docenti competenti, bravi e appassionati che lavorano nel mondo della scuola: il termine “stipendificio” non lo dovevo usare. Generalizzato, così, ha colpito persone che non lo meritavano e recito il mea culpa. Capita a chi, in modo concitato e in poche righe, cerca di sostenere una posizione, di calpestare qualche cacca. L’ho fatto io. E me ne scuso, davvero. Come il pubblico attento avrà comunque visto, convinto democratico come sono, ho dedicato un secondo articolo alle critiche giunte, in massima parte, da docenti. E vorrei tornare sul pezzo, cogliendo l’occasione per riportare stralci di lettere giuntemi in questi giorni. Sono state davvero tante, e non tutte offensive, per fortuna. Però potrebbero essere utili per il dibattito.

Comincio con una lettera che mi ha fatto molto piacere e che arriva da un gruppo di docenti polesani:

Caro Leonardo, siamo un gruppo di docenti di ruolo polesani, alcuni sono stati anche tuoi colleghi negli anni adriesi. Tutti, in comune, abbiamo avuto l’orgoglio di averti come assessore provinciale alla pubblica istruzione, sempre presente, attento alle nostre richieste, capace di mediare e di risolvere molti problemi, come quando la riforma Gelmini mise a rischio istituti e posti di lavoro e la Provincia seppe svolgere un compito di raccordo fondamentale, salvaguardando le identità territoriali e i punti di erogazione.

Non dimentichiamo la passione che metti e hai messo nell’insegnamento e l’entusiasmo che hai trasmesso ai tuoi allievi, che ti ricordano tutti con grande affetto. Consentici di dissentire dall’uso del termine stipendificio, in cui non può ritrovarsi chiunque svolga con passione e impegno un lavoro diventato, anno dopo anno, sempre più gravoso e difficile per adempimenti e condizioni di ogni genere. Capiamo che il tuo sostegno alla riforma è un invito a cercare di sfruttarne il buono che c’è, e possiamo confermarti che spesso è anche colpa nostra se le novità introdotte ci fanno paura. Cambiare il modo di operare e di rapportarsi, con i dirigenti, con la formazione, con il merito, dopo tanti anni di sostanziale appiattimento, può essere un esercizio complesso. Ma la scuola deve vincere tante sfide, superare i suoi tanti problemi. Non siamo convinti che le linee della riforma siano quelle che ci faranno vincere queste sfide, ma non vogliamo rinunciare a provarci, specie a priori.

 

Tralascio gli apprezzamenti (sono sempre stato ipercritico nel giudicarmi) e vengo al senso del messaggio. La riforma deve essere un’opportunità. Se la guardiamo in negativo, difficilmente potremo guidarla verso l’obiettivo nobile che si pone: quello di migliorare la qualità della formazione dei ragazzi. La lettera dei docenti contiene anche dei passaggi sulla complessità del reclutamento, e spiega che si capiscono le ragioni dei precari che vedono cambiare modelli e strumenti di accesso alla carriera continuamente. Ma io credo che ridurre la sostanza di una riforma a questo, sia troppo fuorviante. Giungono comunque anche altre lettere.

Un docente mi scrive:

Noi tutti vorremmo un sistema che valuti il merito e che permetta di mettere fuori dal mondo della scuole gli incompetenti e i raccomandati.

Il problema è reale. Solo qualche anno fa, una preside mi raccontò che tre docenti su dieci del suo istituto non sapevano accendere un computer e si rifiutavano di imparare. E non dico del registro elettronico, verso cui c’era un autentico rifiuto. Mi chiedo come possano, questi docenti, dialogare con dei ragazzi nativi digitali.

C’è poi la splendida lettera di Lorenzo, chiarissima e pacata, nonostante i toni critici al mio articolo. Per esempio, sulla questione del reclutamento, scrive:

L'idea che mi sto facendo è questa: in assenza di un qualsivoglia progetto pedagogico e/o organizzativo, con fretta fretta fretta, con una strategia politica di allargamento al centro pseudoBlairiano (semplificando, perché c'era da conservare la sinistra-sinistra-ma-non-troppo, e fuor di battuta penso che sappiano che le condizioni non son le stesse, credo - ma le ultime sull'imu mi confermano che forse no), con scarsissima confidenza con la macchina e di Renzi e di Giannini, vista la prevedibile prevista sentenza europea, il punto chiave erano le assunzioni e la fine della "supplentite", da fare con una operazione di marketing (rilanciare il paese). Ma le graduatorie non corrispondono ai posti ed era necessaria una soluzione tecnica (il preside-padrone e gli albi) per non incartare il meccanismo.

Lorenzo fa molte considerazioni serie e puntuali, che devo studiare in modo approfondito. Ma il senso delle sue parole è chiaro: una riforma non è un’operazione di marketing. Il mondo della scuola è molto più complesso di quello che si vuol far credere. Le riforme, insomma, vanno concertate e la fretta spesso è cattiva consigliera. Vorrei scrivere molto di più, ma ritengo di aver annoiato troppo con questa vicenda.

Il segnale però, mi rinfranca: si può dibattere seriamente, e ancora, in questo paese. 

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