Gentile signor Damiano Mazzotti, rispondo a lei e alla signora Marinella Colombo, col dire per prima cosa che io non conoscevo questa storia per niente, eppure come blogger leggo ogni giorno le agenzie di stampa e le innumerevolo storie che si intrecciano grazie a Facebook, e neanche conoscevo i così tanti drammatici casi, alcuni affiorati recentemente con il giornalista Iacona e la trasmissione Chi l’ ha visto su Rai 3 ...rispondo a lei e contemporaneamente ringrazio l’ altra signora che è interventa, con il bagaglio pesantissimo del suo vissuto personale. Internet è anche questo, si apre una porticina e appare un portone e poi gallerie e caverne...Rispondo con un articolo che ha scritto la signora Colombo di cui invio il link ma anche tutto il testo, per ampliare la nostra conoscenza. GRAZIE infinitamente per il vostro contributo
Doriana Goracci
“È
finita. Tutti assolti. Ma non c’è nulla di cui rallegrarsi. “Tutti
assolti” significa che la morte di Federico non ha un responsabile,
significa che “in nome del popolo italiano” lo Stato potrà continuare a
togliere l’affido di un bambino alla madre che vuole proteggerlo e
metterlo nelle mani del suo carnefice. Se quest’ultimo lo uccide,
pazienza, è successo, nessuno risponderà, nessuno è responsabile.
Questo potere immenso dato ad assistenti sociali, psicologi, ASL,
Tribunale per i Minorenni potrà continuare, come prima, più di prima.
Due vite spezzate, quelle di un bambino e della sua mamma, pare vengano
considerate un incidente di percorso. Probabilmente non verrà spesa
neppure una parola su questa sentenza in nessun telegiornale. Sto
parlando di Federico Barakat e della sua mamma, Antonella Penati e
della sentenza che ha emesso ieri la Suprema Corte di Cassazione di
Roma. La vicenda è intricata, ma estremamente semplice. Antonella
conosce un uomo colto e gentile, un immigrato dall’Egitto con lauree e
competenze e perfettamente integrato in Italia. Se ne innamora. Nasce
un figlio. Ma la felicità della piccola famiglia dura poco, l’uomo ben
presto sparisce e Antonella scopre che quell’uomo, che credeva di
conoscere così bene, in realtà ha più di una identità. Delusione e
solitudine, ma immediatamente cancellate dall’amore per suo figlio. La
vita continua ed è, nonostante tutto, una vita raggiante. Quel bambino,
amato e desiderato, è la ragione e il senso della sua esistenza.
Antonella continua a lavorare, ma organizza la sua vita in funzione
delle esigenze del piccolo che intanto diventa sempre più bello,
socievole, sereno. Un giorno il padre ricompare. E’ cambiato,
trasformato, completamene diverso da colui che lei aveva amato. Non
lavora più, assume stupefacenti, è violento. Antonella non teme tanto
per sé, ma per il bambino, Federico. Quello sconosciuto, così diverso
dall’amato padre di suo figlio, la perseguita giorno e notte e arriva
persino a tentare di mandare fuori strada la macchina su cui viaggiano
Antonella e Federico. Lei deve proteggersi, deve proteggere la sua
creatura e per questo denuncia le violenze. Ma l’unica “protezione” che
riceve è quella degli assistenti sociali e del Tribunale per i
Minorenni che le toglie l’affido esclusivo per conferirlo ai Servizi
Sociali e costringerla a dare il bambino all’uomo che gli fa tanta
paura. Le relazioni dicono che Federico deve scoprire la “parte buona
del padre”. Per fare questo, dovranno scrivere che la madre è
iperprotettiva e le imporranno un incontro settimanale tra il bambino e
il padre. L’incontro è in “ambiente protetto” e Antonella, pur
preoccupata, “consegna” (è questa l’espressione correntemente usata
dagli operatori) il bambino ogni settimana all’educatore. D’altronde
non le hanno lasciato nessuna possibilità di scelta, l’affido è stato
trasferito ai Servizi Sociali e lei non ha più nulla da decidere, può
solo ubbidire. In una società nella quale l’opinione pubblica viene
sempre più bombardata da notizie che evidenziano come il “vero”
pericolo per i bambini siano i propri genitori, nella quale ogni
separazione diventa una separazione litigiosa, si vuole rendere normale
l’intervento delle autorità e la conseguente privazione dei diritti
genitoriali; qualsiasi motivazione può essere addotta: genitore
iperprotettivo, genitore non tutelante, genitore inidoneo, genitore
psichicamente instabile, genitore troppo impegnato dal lavoro, genitore
povero … Fatto è che quel 25 febbraio 2009, quando il Comune di San
Donato Milanese (detentore dell’affido del piccolo Federico) tramite i
servizi sociali, fa incontrare il bambino con il padre all’interno
della ASL, cioè in ambiente protetto, non lo protegge. L’educatore che
avrebbe dovuto essere presente sembra abbia lasciato solo il padre con
il bambino. Di sicuro il padre era entrato portando con sé una pistola e
un coltello e li ha usati entrambi per uccidere suo figlio e poi
uccidersi. Eppure nessuno è responsabile, nessuno poteva prevedere,
nessuno può essere accusato di non aver difeso Federico. Ma davvero
nessuno è responsabile di aver ritenuto Antonella – evidentemente
sbagliando – una madre eccessivamente preoccupata e iperprotettiva?
Davvero nessuno è responsabile per aver costretto Federico a cercare
“la parte buona del padre” consegnandolo nelle mani di un consumatore
di stupefacenti, un uomo della cui identità nessuno è certo? Un uomo
ben noto alla polizia per essere stato un cittadino non proprio
esemplare? Se avessero lasciato l’affido ad Antonella, lei avrebbe
protetto il suo bambino, così come ogni genitore responsabile sa fare
per il bene della sua creatura, quella creatura che è una parte di sé e
non un “fascicolo” come invece è stato chiamato Federico per tutti gli
anni del dibattimento. Quel 25 febbraio 2009 la vita di Antonella è
diventata uno strappo, e il vuoto. Un vuoto che lei ha tentato di
colmare reclamando giustizia per suo figlio, reclamando che i
responsabili della sua morte venissero, più che puniti, messi nella
condizione di non nuocere ulteriormente, di non ripetere le fasi di
questo dramma con altri bambini, di non togliere senza vere ragioni i
figli ai genitori, rovinando altre giovani esistenze. Così facendo lei
metteva in discussione un sistema ben rodato, un sistema redditizio, un
sistema che sa proteggersi molto bene. E che infatti si è protetto.
Antonella ha speso cifre enormi – tutti i suoi risparmi e di più – per
pagare avvocati e periti, affinché si facessero i processi e suo figlio
ottenesse giustizia. Certamente nessuno avrebbe più riportato alla vita
Federico, ma almeno lui avrebbe potuto riposare in pace. Da quasi sei
anni Antonella affronta processi, situazioni “inspiegabili” di
fascicoli che spariscono e ricompaiono, di periti che cercano le sue
vecchie foto in rete per stabilire se da quel 2009 è ingrassata o
dimagrita, di procuratori che le spiegano che per salvare Federico
avrebbe dovuto infrangere il decreto del Tribunale per i Minorenni e
scappare in Francia. Tra annullamenti, sospensioni e rifacimenti, la
causa è arrivata a Roma e ieri, la Suprema Corte di Cassazione,
diversamente da ogni aspettativa e da quanto richiesto dalla Procura,
ha cassato la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Milano,
ritenendo in pratica che nessuno è responsabile della morte di Federico
e ognuno dei personaggi coinvolti continuerà ad occupare la stessa
posizione e ad agire come ha già fatto. Auspico che quel “Popolo
italiano” in nome del quale è stata emessa la sentenza voglia far
sentire la sua solidarietà ad Antonella, voglia aiutarla a non sentirsi
sola, voglia incoraggiarla e sostenerla nella lotta che ha sostenuto
fino ad ora e che speriamo voglia continuare a condurre con la sua
Onlus
(http://www.federiconelcuore.com/ass...)
a favore dei tanti piccoli Federico che desideriamo continuino a
vivere insieme ai loro genitori e nel ricordo di Federico Barakat, un
innocente privato della giustizia terrena, ma che rimarrà sempre vicino e
nel cuore della sua mamma”. Marinella Colombo
Membro della European Press Federation
http://www.mariaserenellapignotti.i...