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Renzi ha un solo obiettivo:
dimostrare di essere un “riformatore”. Di riuscire a cambiare il paese, a
prescindere dagli effetti prodotti.
Si è visto l’8 agosto con la prima lettura
della riforma del Senato voluta in funzione del previsto Consiglio EU. Ora,
entro l’8 ottobre, dovrà incassare la Delega sul Lavoro in occasione del summit
Europeo da lui promosso su occupazione e crescita.
Il motivo è sempre lo
stesso.
Guadagnare in “credibilità” presso gli Organismi UE che decideranno i
margini praticabili per la formulazione della prossima Legge di Stabilità.
Per
non correte rischi, anche questa volta Renzi ha partorito una riforma del
lavoro tale da poter contare sul “favore” del centrodestra.
Tiene altresì come
arma di riserva la prospettiva di un ritorno alle urne.
Rimetterebbe così in
gioco quel 40,8% frutto di una irripetibile convergenza di fattori contingenti.
Dagli 80 euro alla frantumazione del PdL, dal diluvio politico evocato da
Grillo all’area del non voto salita al 42%.
In sintesi.
Un disegno politico che
non ha nulla a che spartire con un confronto di merito sulle problematiche irrisolte
del mercato del lavoro.
Tant’è che sull’annunciata “estensione” di sussidi e ammortizzatori
sociali si sa solo che partirà nel 2015. Coperture finanziarie permettendo.
La
storia insegna che la Febbre del Tribuno non conosce remore o limiti fino a …