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Perché gli americani non intervengono in Iraq?

Di Persio Flacco (---.---.---.176) 2 settembre 2014 00:37

Il New York Post del 29 agosto:
- Obama admits ‘we don’t have a strategy’ on ISIS in Syria -
http://nypost.com/2014/08/29/obama-...

A mio parere la dichiarazione di Obama avrebbe dovuto essere: "Gli USA non hanno una strategia per l’ISIS in Iraq". Infatti, fino a quando l’ISIS, assieme a varie altre organizzazioni, è rimasto in Siria a combattere contro il regime di Assad, la strategia statunitense è stata ben definita: chiunque combatta contro il nemico Assad è benvenuto, anche l’ISIS, o come si faceva chiamare prima.

Da notare che è improbabile che questa organizzazione abbia subito una mutazione genetica passando in Iraq. E’ invece del tutto lecito pensare che in Siria le sue finalità e i suoi comportamenti siano del tutto identici a quelli divenuti pubblici a seguito del suo dilagare in Iraq, e che oggi fanno rivoltare lo stomaco all’opinione pubblica mondiale.

Non risultano particolari prese di posizione degli USA e dei loro alleati contro l’ISIS fin quando si è limitato a combattere in Siria, nonostante gli appelli che le opposizioni più moderate hanno rivolto loro a mano a mano che l’ISIS diventava più forte sul terreno e le estrometteva.

Nemmeno risulta che i due alleati degli USA che hanno offerto agli insorti siriani la necessaria profondità strategica, senza la quale la ribellione contro Assad sarebbe durata nemmeno un mese: Turchia e Giordania, abbiano posto dei filtri sul loro territorio per evitare che rifornimenti e combattenti confluissero all’ISIS.

Si può affermare quindi, con sufficiente sicurezza, che gli USA avevano una strategia per l’ISIS fin quando è rimasto in Siria; a quanto pare l’hanno persa solo quando l’ISIS è dilagato in Iraq.

Ma prendiamo in parola Obama e ipotizziamo che gli strateghi dell’ISIS lo abbiano sorpreso decidendo di loro sponte di riversarsi in Iraq. Può succedere che certe organizzazioni integraliste prendano la mano a chi crede di poterle tenere al guinzaglio per usarle contro i suoi nemici. E’ già successo in passato: può essere accaduto di nuovo. 

Bene, ma come si spiega l’estrema lentezza degli strateghi militari statunitensi nell’elaborare una strategia differente? Sono ancora in ferie? Hanno altro da fare? Non è credibile.
Non dico che debbano elaborare una strategia a lungo termine ma quantomeno una strategia di contenimento rapida a breve termine. Finora si sono limitati a qualche svogliata bombardatina, a dare un po’ di armi ai curdi, a inviare rifornimenti agli assediati. Giusto per rispondere allo sdegno dell’opinione pubblica.

E allora, se non è per l’assenza di una strategia, perché questa lentezza di reazione?

La risposta a questa domanda, a mio parere, la si ottiene rispondendo ad un’altra domanda: perché l’ISIS dopo tre anni di combattimento in Siria, approdati ad un sostanziale stallo a causa della resistenza del regime, decide improvvisamente di invadere l’Iraq?

La risposta a questa domanda può essere sintetizzata così: è andato a fare provviste di uomini e mezzi. L’ipotesi è che avendo constatato l’impossibilità di abbattere Assad con la dotazione di armamenti e di combattenti che aveva a disposizione in Siria, l’ISIS abbia deciso di approvigionarsi di armi pesanti e di combattenti addestrati in Iraq per poi tornare a dare la spallata finale ad Assad.
Per inciso: l’addestramento e le armi dei disertori dell’esercito irakeno che sono andati ad ingrossare le forze dell’ISIS sono stati forniti dagli americani.

Se questa ipotesi è vera, se il motivo per cui l’ISIS è dilagato in Iraq è questo, allora si spiega l’attendismo americano: stanno dando all’ISIS il tempo di tornare in forze in Siria e abbattere il regime.

In tal caso dovremmo assistere nei prossimi mesi al "successo" della reazione curda e irakena e al ripiegamento dell’ISIS in Siria.

Per il resto si vedrà.


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