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Reggio: una città che si sveglia nella lotta alla ’ndrangheta

Di Prince de Saint Brown (---.---.---.130) 21 gennaio 2009 15:12

Pie illusioni!
Reggio Calabria è avvolta in una cappa pesantissima: non passa giorno che una o più autovetture non vengano date alle fiamme o che un negozio non salti all’aria.
C’è bisogno di una rivoluzione culturale, come è ovvio che sia. Ma un tale cambiamento non può essere affidato solo ai cittadini che sono inermi di fronte alla violenza mafiosa
I cittadini reagiscono ai segnali, agli input che arrivano dalle istituzioni: se un’amministrazione tollera irregolarità piccole e grandi, dalle soste selvagge (vedi Via Marina alta, in prossimità dei bar più frequentati) agli abusi edilizi (la periferia è devastata da edifici non completati o senza facciate), è chiaro che i cittadini si sentiranno autorizzati a continuare a porre in essere comportamenti di questo tipo.
Il messaggio che passa è: fai ciò che vuoi.
La città vive da anni, dalla morte di Falcomatà, una fase di questo tipo.
"Panem et circenses" da un lato, libertinaggio dall’altro.
Tutto ovviamente funzionale al comitato d’affari che gestisce la città.
Ricordo le parole di Boemi all’inviato del Venerdì di Repubblica, Paola Zanuttini: Reggio è governata da un "sistema" in cui politica, massoneria, imprese e ’ndrangheta siedono allo stesso tavolo. E la ’ndrangheta non è l’azionista di maggioranza di questo "consiglio d’amministrazione".
Non mi sembra che, al di là delle scontate dichiarazioni di facciata, la politica abbia fatto nulla per iniziare un percorso virtuoso di legalità, nè per dare segnali forti contro la ’ndrangheta a Reggio Calabria.
Tutt’altro.
Il sindaco Scopelliti che accetta - a titolo gratuito - il "prestito" di un ex teatro per il suo ufficio elettorale da un imprenditore in odor di mafia che segnale dà alla città?
Certamente non quello di lontananza siderale da determinati ambienti.
Si potrebbe obiettare che la vicenda non ha rilevanza penale, certo. Ma in politica, come nella vita di ognuno di noi, non sono solo i comportamenti penalmente rilevanti a contare, ma anche quelli dettati dall’etica individuale, dalla linearità, dalla trasparenza.
In un contesto di questo tipo, in questo magma indistinto di comportamenti al limite dell’illegalità, mentalità mafiosa e frequentazioni opache, può una città cambiare se i segnali che arrivano dalla testa sono quanto meno ambigui?
E per quanto i blog possano fare da cassa di risonanza a un tentativo di cambiamento, alla fine hanno poche chanches di incidere sul reale.
Un po’ come i gruppi di Facebook che, a parte farci sentire politicamente corretti o a posto con la nostra coscienza, non servono assolutamente a nulla.


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