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Giornalismo e atti intimidatori

Di Zag(c) (---.---.---.71) 6 febbraio 2011 19:00
Zag(c)

Io ho informazioni diverse. La giornalista non è iscritta in nessun registro degli indagati né imputata di nessun reato, ne tanto meno di favoreggiamento. Infatti "il provvedimento è stato disposto per la presunta violazione dell’articolo 323 del codice penale, ’’ al fine di trovare la fonte delle notizie oggetto della violazione. 

Così si legge nella motivazione dell’atto giudiziario. 

Secondo,l’eventuale reato di diffamazione a mezzo stampa deve essere accompagnata da una precisa denuncia da parte della vittima, non è un reato perseguibile per ufficio in quanto rientra nel codice civile e non in quello penale(Corte di Cassazione, prima sezione civile con sentenza n. 5259 del 18 ottobre 1984) . 

Terzo. L’eventuale ritrovamento del corpo del reato non comproverebbe l’eventuale l’accusa di diffamazione( che non vi è stata). In ogni caso
Per comprovare l’accusa occorre che la giornalista 
a)abbia non detta la verità. 
b) la non continenza e cioè il non rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca e anche la critica (e quindi tra l’altro l’assenza di termini esclusivamente insultanti); 
c) la non sussistenza di un interesse pubblico all’informazione.
Tutti presupposti verificabili sono in sede giudiziaria, e da un giudice giudicante

Ma il "quid" vero o supposto è la rivelazione della fonte al fine di perseguire il membro del CSM. 
Esistono numerose sentenze della corte di Strasburgo a difesa della riservatezza delle fonti 

ln Belgio perché vennero perquisiti l’ufficio e l’abitazione di Hans-Martin Tillack, giornalista, con lo scopo “di svelare la provenienza delle fonti". La Corte sentenziò che "il diritto dei giornalisti di tacere le proprie fonti non deve essere considerato come un semplice privilegio che può loro essere tolto in funzione della liceità o non liceità delle fonti".
caso Roemen del 25 febbraio 2003, affermò che «le perquisizione aventi a oggetto la scoperta della fonte di un giornalista costituiscono, anche se restano senza risultato, un’azione più grave dell’intimazione di divulgare l’identità della fonte»
E potrei continuare. 

E’ indubbio che lo Stato ha il diritto-dovere di accertare se siano state violate le norme che impongono su certi atti la riservatezza dei loro contenuti ma è anche evidente che questo diritto non può spingersi fino a violare l’altrettanto diritto di chi esercita una funzione costituzionalmente garantita. E cioè il diritto di cronaca. Questo dice la Corte europea.
Lo Stato pertanto può ben cercare (e individuare) il responsabile che ha violato la norma, e può legittimamente punirlo, ma non può obbligare (forzatamente) il giornalista a rivelarne l’identità o a non pubblicarne il contenuto, se questo contenuto non contrasta con altri diritti costituzionalmente garantiti . Se tale impedimento fosse ammesso acriticamente e a prescindere, crollerebbe l’intero sistema sul quale si basa una democrazia compiuta.


Quindi legale ( parzialmente) l’atto, ma risibile sul piano dei diritti garantiti e della legittimità.

Resta comunque intatta la mia costernazione di fronte al silenzio tombale dei "nostri" giornalisti che si sarebbero sollevati come un sol uomo se lo stesso fosse capitato a quelli " della nostra parte".

E’ sempre un piacere confrontarsi. 
Saluti 








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