Certo, è tutta questione di come si considera la vita di partito, se sia formativa o non lo sia. Io credo che crescere in un partito, come è successo per la maggioranza dei nostri politici, aver cominciato a 18 anni a non lavorare, a studiare poco, ad evitare il militare (per i maschietti), a non avere problemi economici, finisce per creare un distacco dalla vita reale, un solco che non si riesce più a riempire, e si finisce per credere che quella sia la vita reale. Crea un forma di logorrea, un insieme di frasi fatte, che poi si crede saggezza ed esperienza. Crea una propensione ad ogni forma di compromesso pur di conservare la fetta di potere, pur di conservare la nomina a deputato o a qualsiasi altro incarico, sempre remunerativo. Non è un caso che la nostra classe politica abbia un ricambio così lento, e tutti tendono a conservare tutto, e non è un caso che sia così provinciale, legata ai piccoli problemi di zona. E che cambino così facilmente partito e idee, pur di rimanere. Non è un caso che all’Europarlamento si mandano le vecchie cariatidi o personaggi innocui, ben inteso dopo che almeno una volta i big ci sono tutti passati, perché le prebende sono decisamente interessanti.
Io sono convinto che una militanza politica di sei o sette legislature sia un’oscenità sociale, e per questo, se proprio dovessi scegliere fra Bindi e Carfagna, prenderei la seconda, almeno potrebbe esserci una speranza.