Se Israele si definisce stato "ebraico" significa che si dà come fondamento la cultura, la lingua, la religione, le caratteristiche proprie del popolo ebraico e della sua tradizione. Già questo è vero solo parzialmente, perché Israele si è dato anche caratteristiche proprie delle democrazie moderne (elezioni, parlamento, leggi ecc.) che non corrispondono alla tradizionale "legge ebraica" (halakhà). Anche la lingua ufficiale non è solo l’ebraico; anche l’arabo lo è. Solo in alcuni aspetti della vita civile (matrimoni, funerali, anagrafe) sono rintracciabili le tradizioni ebraicamente corrette.
Sicuramente Israele non è lo "stato degli ebrei" per il semplice fatto che, pur proponendosi di accettare come cittadini tutti coloro che sarebbero ebrei secondo la legge (figli di madre ebrea, convertiti), non può imporre a tutti gli ebrei di diventare israeliani né di essere rappresentati da Israele. Quindi, dal momento che un 50% della popolazione ebraica mondiale non è israeliana, Israele non può dirsi "stato degli ebrei"; e infatti si definisce stato "ebraico", non "degli ebrei".
Il fatto che sia "ebraico", ma non il rappresentante di tutti gli ebrei, impone di distinguere gli ebrei dagli israeliani. E come non tutti gli ebrei sono israeliani, così non tutti gli israeliani sono ebrei: esistono israeliani non ebrei (ma imparentati con israeliani ebrei), immigrati, arabi, drusi, beduini, cristiani.
Le comunità ebraiche, che sono articolazioni diverse dalla sinagoga, non possono esprimere la voce di tutti gli aderenti circa le politiche dello Stato di Israele, ma solo i sensi di una comprensibile "vicinanza" più o meno entusiasta o più o meno sofferta, alla quale i singoli aderenti alla comunità possono aderire o non aderire.
Quindi qualsiasi manifestazione rivolta contro le strutture dell’ebraismo
(sinagoghe, scuole talmudiche, musei etc.) sono manifestazioni di
razzismo antisemita senza alcun dubbio e senza alcuna possibile giustificazione.