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Ora anche Dio ha paura di Israele

Francia, 20 luglio 2014. A Sarcelles (Val d’Oise) i dimostranti del corteo non autorizzato pro-palestinese tentano di raggiungere la sinagoga. Alcuni negozi vengono distrutti, più di un’auto incendiata. Il 19 luglio, a Barbès (Parigi), un altro corteo al grido di: “Israele assassini!” si fronteggia con le forze dell’ordine. Nella notte tra l’11 e il 12 luglio l’esplosione di una piccola bottiglia molotov annerisce il portone della sinagoga di Aulnay sous Bois (Seine - Saint Denis).

Il 13 luglio, in prossimità di Place de la Bastille, in Rue de la Roquette, un gruppo di attivisti della LDJ (Ligue Defénse Juive/Lega Difesa Ebrea) urlando: “Palestina t’inculiamo!” avanza armato di bastoni e di spranghe di ferro. Tra questi, un giovane si fa strada tenendo in mano quello che sembra essere un estintore; forse uno spara gas o qualcosa del genere. È una bombola blu, del tipo camping gas, collegata ad un tubo nero che termina a sua volta nell’innesto di una canna rigida. Minuti dopo lo affianca un altro giovane armato di bombe lacrymogène. Non è il solo, tra i pro-israeliani, ad essere dotato di spray lacrimogeni ed urticanti. Le due fazioni si scontrano. A poca distanza, dietro gli attivisti dei collettivi pro-israeliani, una squadra di agenti della Polizia Nazionale - Nucleo CRS sembra proteggerne la retroguardia. La conferma non tarda ad arrivare. Incalzati da un assalto frontale i sostenitori di Israele trovano riparo dietro lo sbarramento degli agenti.

In Rue de la Rouquette ha sede la sinagoga Don Isaac Abravanel e malgrado le insinuanti dichiarazioni di Joël Mergui (Président du Consistoire Central Israélite de France) contrapposte a quelle rilasciate da Serge Benhaïm (Président de la synagogue) che smentisce formalmente ogni attacco alla sinagoga Abravanel; Joël Mergui ringrazia l’interposizione delle forze dell’ordine e il presidio di alcuni giovani della comunità ebraica per aver garantito, con la loro presenza, l’incolumità del santo luogo. Ma chi sono i giovani di Mergui? Twitter ne rivela le identità grazie ad alcuni messaggi postati il giorno prima. Nei messaggi si legge di un’adunanza in sostegno a Israele. “…appuntamento 13 luglio alle 17.30 davanti alla sinagoga di Rue de la Roquette”. I messaggi sono firmati dai gruppi Betar France Officiel, Collectif Haverim e Ligue Défense Juive.

 

Roger Cukirman, Presidente del CRIF (Conseil Représentatif des Institutions Juives de France), uomo di fiducia dei Rotschild, condanna quanto accaduto come un’allarmante derivato terroristico: “Gli ebrei di Francia sono le sentinelle della Repubblica. Attaccarci vuol dire mettere in pericolo le fondamenta della nostra società!”. Parole forti che non lasciano intendere mezze misure. Cukirman sottolinea che sussiste “il rischio di una jihad contro gli ebrei di Francia”; “…di una Gaza in Francia”; “…la Repubblica è presa di mira e pertanto queste centinaia di giovani devono essere messi nello stato di non nuocere”; “…fare della lotta contro l’antisemitismo e il razzismo una causa nazionale ed europea”.

Cosa vuole intendere Cukirman con le sue dichiarazioni? Che tutti quelli che manifestano o manifesteranno contro Israele sono da considerarsi antisemiti o dei potenziali terroristi? Che tutte le migliaia di persone radunatesi, in questi giorni, nelle maggiori capitali e città d’Europa per esprimere solidarietà al popolo palestinese sono da eliminare o da tenere sotto stretta sorveglianza? Se così fosse la situazione è più che allarmante! Esprimere solidarietà al popolo palestinese non significa essere terroristi o antisemiti e i tafferugli di questi giorni in Francia non sono paragonabili alle violenze inflitte, da circa sessant’anni, al popolo palestinese. In Palestina il diritto internazionale ancora oggi cozza, volutamente, contri i muri. Qual è dunque il messaggio di Curkiman? Strumentalizzare, forse, l’antisemitismo per ottenere dalla Francia e dalle nazioni europee leggi maggiormente coercitive ai danni di chiunque osi contraddire o sfidare l’operato di Israele? O far credere, chissà, che l’Europa, tutta, sia prossima ad una sanguinosa intifada da parte degli arabi?

I tentati o presunti assalti alle sinagoghe francesi, ovviamente inaccettabili, non possono in ogni caso essere tradotti in antisemitismo e a maggior ragione non possono essere assolutamente considerati atti di terrorismo. Il problema e le paure di Israele sono e appartengono a Israele incapace, per caparbietà sionista, di trovare soluzioni pacifiche nel conflitto arabo-israeliano. La paura di Israele è Israele.

Nelle pagine del CRIF leggiamo che il CRIF è garante dei diritti in difesa dell’Uomo. Quale Uomo, anzi quali uomini? Bisogna ricordare che ancora oggi Israele non ha nessuna intenzione di concedere o di riconoscere ai rifugiati palestinesi del 1948 il diritto di ritorno. Bisogna ricordare che le linee di demarcazione delimitate con l’armistizio del 1949 sono e restano solo confini de facto dello stato di Israele. Si stima che circa cinque milioni di rifugiati e dislocati palestinesi (interni ed esterni) non possa tornare, ancora oggi, nelle proprie case e terre d’origine. Eppure la risoluzione 194 approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (norma già esistente nel dicembre 1948) richiede il diritto di ritorno ai rifugiati e dislocati palestinesi del 1948.

Cosa dire poi della Legge sulla Nazionalità approvata da Israele nel 1952? Scritta di proposito per escludere il più largo numero di richieste e di rilascio di cittadinanza e di nazionalità israeliana ai “non ebrei”? Voluta da Israele per estromettere, ostacolare e snazionalizzare tutti quei palestinesi che fisicamente non erano presenti (come potevano esserlo) all’interno dei confini stabiliti con l’armistizio del 1949?

Infinite sono le risoluzioni di condanna contro l’operato di Israele impugnate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Dal 1951 al 2002 se ne contano ben 72. In quella del 22 dicembre del 1987/numero 605 il Consiglio di Sicurezza deplora le politiche israeliane che negano al popolo palestinese i diritti umani. Nelle risoluzioni 608, 636 e 641 il Consiglio di Sicurezza si rammarica delle deportazioni forzate di civili palestinesi da parte di Israele. In più, Israele non riconosce l’applicazione della Quarta Convenzione di Ginevra (protezione delle persone civili in tempo di guerra) sui territori palestinesi occupati di Cisgiordania e Gaza. A tutt’oggi è ancora presente su Gaza il blocco imposto nel 2007. Un muro/barriera di circa 700 km, voluto da Israele, sta fagocitando giorno dopo giorno fette di territorio e risorse idriche del popolo palestinese. Amnesty International denuncia periodicamente continui soprusi da parte dei coloni e dei soldati dell’esercito israeliano ai danni di civili palestinesi. Nella zona tampone, gli attivisti della ong International Solidarity Movement rischiano la vita, giorno dopo giorno, per proteggere con i loro giubbini luminescenti i coltivatori palestinesi dai tiri di fucile dei soldati israeliani. I pescatori palestinesi non possono andare oltre i cinque chilometri dalla costa. Israele demolisce e impedisce qualsiasi tentativo di costruzione di case da parte dei palestinesi.

I temibili tunnel di Gaza che oggi Israele sta distruggendo sono serviti e servono ai palestinesi per trasportare viveri, farmaci, malati, carburante, materiali edili ed altro. Il blocco su Gaza, di cui nessuno parla ha messo in ginocchio l’economia dei suoi abitanti. Ostacola e rallenta il flusso degli aiuti umanitari destinati al popolo palestinese. Probabilmente le milizie di Hamas utilizzano questi tunnel ma ciò non giustifica la mattanza indiscriminata di questi giorni contro la popolazione palestinese.

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.152) 4 agosto 2014 12:55

    «I tentati o presunti assalti alle sinagoghe francesi, ovviamente inaccettabili, non possono in ogni caso essere tradotti in antisemitismo e a maggior ragione non possono essere assolutamente considerati atti di terrorismo»

    Ovviamente sì, sono atti di antisemitismo. Se fossero manifestazioni antiisraeliane si dirigerebbero contro l’ambasciata di Israele, non verso una sinagoga dove si radunano degli "ebrei" non degli "israeliani" (se non di passaggio).

    «I temibili tunnel di Gaza che oggi Israele sta distruggendo sono serviti e servono ai palestinesi per trasportare viveri, farmaci, malati, carburante, materiali edili ed altro».

    Ovviamente no. Sono i tunnel verso l’Egitto quelli che sono serviti agli scopi indicati. Quelli verso Israele hanno o avevano solo scopi militari; è evidente che Hamas non avrebbe scavato chilometri di tunnel per andare a comprare sigarette in Israele. E qualsiasi commercio di più ampia portata sarebbe stato individuato.

    «Probabilmente le milizie di Hamas utilizzano questi tunnel ma ciò non giustifica la mattanza indiscriminata di questi giorni contro la popolazione palestinese».

    Ovviamente non giustifica. Ma di certo non aiuta la popolazione israeliana a credere in opzioni di pacificazione.

    • Di Il Gufo (---.---.---.115) 4 agosto 2014 17:46

      Manifestare di fronte ad una sinagoga è come manifestare contro gli ebrei francesi che, se religiosi, vengono trattati da criminali. Decisamente antisemita.

      Chiarito questo tutti i tunnel vanno in Sinai e servono per far passare qualsiasi cosa i padroni della zona non reputino necessario; il confine con Israele, da cui passano la maggior parte delle merci, è blindato dall’esercito.
      Bye

    • Di (---.---.---.152) 5 agosto 2014 00:39

      I tunnel che vanno in Sinai sono quelli diretti in Egitto e servivano al contrabbando (merci indispensabili e armi). Quelli che vanno in direzione di Israele non hanno funzione commerciale. Chiunque lo può capire.

  • Di (---.---.---.49) 4 agosto 2014 19:46

    La sinagoga è il luogo simbolo della comunità ebraica: attaccarla significa attaccare gli ebrei in quanto tali, e questo è espressione di antisemitismo.

    Attaccare la sinagoga per le azioni che commette Israele significa ritenere ogni ebreo corresponsabile di quelle azioni, e questo è antisemitismo. 

    Ma questo ragionamento regge se si verificano due premesse:

    1. che Israele non rappresenti tutti gli ebrei.
    Il fatto che Israele si definisca "Stato ebraico", cioé Stato degli ebrei, alimenta la confusione tra Israele ed ebrei e tra Israele ed ebraismo.
    Se Israele si definisce "ebraico" allora bisogna supporre che le sue azioni siano conformi all’ebraismo in senso lato, inteso come identità culturale e comunitaria. E questo giustificherebbe quanti estendono allo specifico ebraico, cioè a tutti gli ebrei, le sue responsabilità.

    2. che certe azioni ritenute ingiuste o criminali commesse da Israele non siano manifestamente condivise dall’intera comunità oggetto dell’attacco.
    Se la sinagoga, intesa come luogo e simbolo della comunità ebraica, per mezzo dei suoi rappresentanti esprimesse la propria condivisione per le azioni commesse da Israele, questo giustificherebbe chi ritenesse almeno moralmente corresponsabile delle sue azioni l’intera comunità ebraica.

    Nei casi in cui le due premesse non siano verificate non si può propriamente parlare di antisemitismo.

    • Di (---.---.---.152) 5 agosto 2014 00:35

      Se Israele si definisce stato "ebraico" significa che si dà come fondamento la cultura, la lingua, la religione, le caratteristiche proprie del popolo ebraico e della sua tradizione. Già questo è vero solo parzialmente, perché Israele si è dato anche caratteristiche proprie delle democrazie moderne (elezioni, parlamento, leggi ecc.) che non corrispondono alla tradizionale "legge ebraica" (halakhà). Anche la lingua ufficiale non è solo l’ebraico; anche l’arabo lo è. Solo in alcuni aspetti della vita civile (matrimoni, funerali, anagrafe) sono rintracciabili le tradizioni ebraicamente corrette.

      Sicuramente Israele non è lo "stato degli ebrei" per il semplice fatto che, pur proponendosi di accettare come cittadini tutti coloro che sarebbero ebrei secondo la legge (figli di madre ebrea, convertiti), non può imporre a tutti gli ebrei di diventare israeliani né di essere rappresentati da Israele. Quindi, dal momento che un 50% della popolazione ebraica mondiale non è israeliana, Israele non può dirsi "stato degli ebrei"; e infatti si definisce stato "ebraico", non "degli ebrei".

      Il fatto che sia "ebraico", ma non il rappresentante di tutti gli ebrei, impone di distinguere gli ebrei dagli israeliani. E come non tutti gli ebrei sono israeliani, così non tutti gli israeliani sono ebrei: esistono israeliani non ebrei (ma imparentati con israeliani ebrei), immigrati, arabi, drusi, beduini, cristiani.

      Le comunità ebraiche, che sono articolazioni diverse dalla sinagoga, non possono esprimere la voce di tutti gli aderenti circa le politiche dello Stato di Israele, ma solo i sensi di una comprensibile "vicinanza" più o meno entusiasta o più o meno sofferta, alla quale i singoli aderenti alla comunità possono aderire o non aderire.

      Quindi qualsiasi manifestazione rivolta contro le strutture dell’ebraismo (sinagoghe, scuole talmudiche, musei etc.) sono manifestazioni di razzismo antisemita senza alcun dubbio e senza alcuna possibile giustificazione.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.49) 6 agosto 2014 00:22

      << Se Israele si definisce stato "ebraico" significa che si dà come fondamento la cultura, la lingua, la religione, le caratteristiche proprie del popolo ebraico e della sua tradizione. Già questo è vero solo parzialmente [...]>>

      Secondo me non è vero affatto, almeno secondo la mia concezione laica dello Stato. La definizione di Stato ebraico, come di qualunque Stato che sia comunque aggettivato, è una evidente forzatura di tipo ideologico voluta dalla leadership sionista. Per quanto mi riguarda vedo Israele come lo Stato degli israeliani, i quali ovviamente e naturalmente imprimono allo Stato le caratteristiche culturali proprie della maggioranza di essi.
      Tuttavia, il mio parere e quello di altri non può ignorare l’aggettivazione che la leadership sionista impone ad Israele, che esprime una volontà sicuramente influente nei rapporti tra i cittadini e nelle relazioni con altre entità culturali, religiose, statuali.

      Se la si prende in parola, ed è difficile che non la prendano in parola quelli che in un modo o nell’altro soffrono per le azioni di Israele, allora quello che fa lo Stato ebraico è ebraico, e ogni ebreo ne è corresponsabile.

      << Sicuramente Israele non è lo "stato degli ebrei" per il semplice fatto che, pur proponendosi di accettare come cittadini tutti coloro che sarebbero ebrei secondo la legge (figli di madre ebrea, convertiti), non può imporre a tutti gli ebrei di diventare israeliani né di essere rappresentati da Israele. >>

      Sono d’accordo. Ma come la mettiamo se Israele, cioé la leadership sionista che egemonizza ideologicamente la sua vita pubblica, si arroga il diritto di rappresentare tutti gli ebrei, e lo afferma pubblicamente?
      Io e lei possiamo vederla in modo diverso perché, per nostra fortuna, non siamo palestinesi, né siamo parenti o amici di chi vive a Gaza o nei Territori. Dagli altri è difficile pretendere che difendano Israele da se stesso.

      << Quindi, dal momento che un 50% della popolazione ebraica mondiale non è israeliana, Israele non può dirsi "stato degli ebrei"; e infatti si definisce stato "ebraico", non "degli ebrei". >>

      Una distinzione sottile e piuttosto forzata. Se è "ebraico" è accomunato a tutti gli ebrei.

      << Le comunità ebraiche, che sono articolazioni diverse dalla sinagoga, non possono esprimere la voce di tutti gli aderenti circa le politiche dello Stato di Israele, ma solo i sensi di una comprensibile "vicinanza" più o meno entusiasta o più o meno sofferta, alla quale i singoli aderenti alla comunità possono aderire o non aderire.>>

      Le motivazioni della vicinanza delle comunità ebraiche a Israele sono piuttosto facilmente comprensibili da tutti. Quello che invece è difficilmente comprensibile è la solidarietà espressa dalle comunità ebraiche al governo di Israele.
      Un forte legame con Israele non implica affatto un forte legame con chi lo governa. Al contrario: chi avverte un forte legame con Israele dovrebbe essere portato a giudicare con severità le azioni dei sui governi, se ritiene che lo danneggiano.
      Ma allora come si spiega che quei pochi ebrei che esprimono pubblicamente il proprio dissenso a proposito delle scelte dei governanti israeliani vengono generalmente emarginati nelle comunità ebraiche?

      Recentemente l’associazione Adei-Wizo-Donne ebree d’Italia, parte di quella superlobby che è il WZO, ha annullato il concerto della cantante Noa: ebrea e israeliana, per le sue dichiarazioni contro Netanyahu e a favore di Abu Mazen.
      Mi dica: come si fa a dire che quell’associazione distingue tra Israele e governo di Israele e tra ebrei e Israele? E come fare per distinguere quell’associazione dalle azioni del governo israeliano in modo che chi è contro le azioni di questo non consideri corresponsabile anche quella?

      << Quindi qualsiasi manifestazione rivolta contro le strutture dell’ebraismo (sinagoghe, scuole talmudiche, musei etc.) sono manifestazioni di razzismo antisemita senza alcun dubbio e senza alcuna possibile giustificazione. >>

      No, non è così. L’antisemitismo è altra cosa.

    • Di (---.---.---.181) 20 agosto 2014 19:38

      << Se Israele si definisce stato "ebraico" significa che si dà come fondamento la cultura, la lingua, la religione, le caratteristiche proprie del popolo ebraico e della sua tradizione. Già questo è vero solo parzialmente [...]>>

      Secondo me non è vero affatto, almeno secondo la mia concezione laica dello Stato. La definizione di Stato ebraico, come di qualunque Stato che sia comunque aggettivato, è una evidente forzatura di tipo ideologico voluta dalla leadership sionista. Per quanto mi riguarda vedo Israele come lo Stato degli israeliani, i quali ovviamente e naturalmente imprimono allo Stato le caratteristiche culturali proprie della maggioranza di essi.
      Tuttavia, il mio parere e quello di altri non può ignorare l’aggettivazione che la leadership sionista impone ad Israele, che esprime una volontà sicuramente influente nei rapporti tra i cittadini e nelle relazioni con altre entità culturali, religiose, statuali.

      Secondo la sua concezione laica dello Stato. La definizione di Stato etnicamente o religiosamente definito è ampiamente diffusa nel mondo ed è una delle forme istituzionali che i popoli si sono dati. Posso condividere l’idea che uno stato non etnicamente o religiosamente definito sia migliore (almeno in via teorica), ma questo  non riguarda me, in questo caso riguarda gli ebrei. I quali approvano o non approvano quella forma di stato. La storia però non si può cambiare; piaccia o non piaccia Israele nasce come stato ebraico in seguito e come conseguenza della particolare storia degli ebrei europei dell’ultimo secolo e mezzo.

      Se la si prende in parola, ed è difficile che non la prendano in parola quelli che in un modo o nell’altro soffrono per le azioni di Israele, allora quello che fa lo Stato ebraico è ebraico, e ogni ebreo ne è corresponsabile.

      Questo è il fondamento di ogni comportamento razzista. Quelli che soffrono delle azioni di Israele sono legittimati a prendersela con Israele (in ogni sua espressione). Se ritengono ogni ebreo corresponsabile adottano una mentalità razzista e chi ne condivide le azioni adotta anche lui una logica razzista.

      << Sicuramente Israele non è lo "stato degli ebrei" per il semplice fatto che, pur proponendosi di accettare come cittadini tutti coloro che sarebbero ebrei secondo la legge (figli di madre ebrea, convertiti), non può imporre a tutti gli ebrei di diventare israeliani né di essere rappresentati da Israele. >>

      Sono d’accordo. Ma come la mettiamo se Israele, cioé la leadership sionista che egemonizza ideologicamente la sua vita pubblica, si arroga il diritto di rappresentare tutti gli ebrei, e lo afferma pubblicamente?
      Io e lei possiamo vederla in modo diverso perché, per nostra fortuna, non siamo palestinesi, né siamo parenti o amici di chi vive a Gaza o nei Territori. Dagli altri è difficile pretendere che difendano Israele da se stesso.

      Israele e i suoi politici possono dire quello che vogliono, ma se dicono che Israele rappresenta tutti gli ebrei semplicemente sbagliano. Non capisco cosa significhi “difendere Israele da se stesso”: ogni stato è responsabile di quello che fa o non fa. E in uno stato democratico (dove il popolo si esprime con le elezioni, quindi anche in Israele) i cittadini esprimono la loro volontà.

      << Quindi, dal momento che un 50% della popolazione ebraica mondiale non è israeliana, Israele non può dirsi "stato degli ebrei"; e infatti si definisce stato "ebraico", non "degli ebrei". >>

      Una distinzione sottile e piuttosto forzata. Se è "ebraico" è accomunato a tutti gli ebrei.

      Nemmeno per idea. Con la stessa logica se islamico accomuna tutti gli islamici diventa legittimo ritenere anche il pizzaiolo tunisino responsabile di quello che fa uno stato teocratico come l’Arabia Saudita o l’Iran. Uno stato “arabo” che lapida una adultera è responsabile per quello che fa, ma la sua azione non può coinvolgere tutti gli “arabi”. Questi sono discorsi molto pericolosi.

      << Le comunità ebraiche, che sono articolazioni diverse dalla sinagoga, non possono esprimere la voce di tutti gli aderenti circa le politiche dello Stato di Israele, ma solo i sensi di una comprensibile "vicinanza" più o meno entusiasta o più o meno sofferta, alla quale i singoli aderenti alla comunità possono aderire o non aderire.>>

      Le motivazioni della vicinanza delle comunità ebraiche a Israele sono piuttosto facilmente comprensibili da tutti. Quello che invece è difficilmente comprensibile è la solidarietà espressa dalle comunità ebraiche al governo di Israele.
      Un forte legame con Israele non implica affatto un forte legame con chi lo governa. Al contrario: chi avverte un forte legame con Israele dovrebbe essere portato a giudicare con severità le azioni dei sui governi, se ritiene che lo danneggiano.
      Ma allora come si spiega che quei pochi ebrei che esprimono pubblicamente il proprio dissenso a proposito delle scelte dei governanti israeliani vengono generalmente emarginati nelle comunità ebraiche?

      Ovviamente la vicinanza a un paese non implica la vicinanza a chi lo governa. Ma non può pretendere che chiunque interpreti le vicissitudini storiche esattamente come lei. Evidentemente ritengono che l’interpretazione maggioritaria dei fatti che contrappongono Israele alle formazioni palestinesi sono più convincenti di altre che sono minoritarie. Nelle comunità ebraiche come in Israele. Dal momento che la leadership israeliana è una formazione politica, il dibattito interno alle comunità ebraiche riflette le posizioni politiche esistenti in Israele, per via del particolare legame che quelle comunità (che NON rappresentano, nemmeno loro, tutti gli ebrei) hanno con Israele e con la sua storia. Quindi si spiega con la diatriba politica che è legittima fino a prova contraria, fino a che non assume forme illegali di violenza personale. Sono affari interni alle comunità, esattamente come nel caso di politici non coerenti con la maggioranza di un partito che vengono emarginati (o espulsi, pensi al gruppo del Manifesto ad esempio) all’interno di esso.

      Recentemente l’associazione Adei-Wizo-Donne ebree d’Italia, parte di quella superlobby che è il WZO, ha annullato il concerto della cantante Noa: ebrea e israeliana, per le sue dichiarazioni contro Netanyahu e a favore di Abu Mazen.
      Mi dica: come si fa a dire che quell’associazione distingue tra Israele e governo di Israele e tra ebrei e Israele? E come fare per distinguere quell’associazione dalle azioni del governo israeliano in modo che chi è contro le azioni di questo non consideri corresponsabile anche quella?

      L’Associazione fa quello che ritiene giusto nell’interesse dei suoi aderenti, con scelte a maggioranza, essendo una associazione privata. Esattamente come una qualsiasi associazione islamica probabilmente impedirebbe a Magdi Allam di tenere una conferenza nella sua sede. Di nuovo: sono scelte politiche, opinabili o meno, ma legittime in uno stato democratico. Resta il fatto le persone che fanno quelle scelte sono “ebree”, non “israeliane”. Con ogni probabilità ogni islamico che vive in Italia è filopalestinese. Molti sicuramente supportano Hamas. Quindi, con la sua logica, gli ebrei sarebbero legittimati a ritenerli tutti terroristi e nemici pericolosi. Forse solo Borghezio ragiona così.

      << Quindi qualsiasi manifestazione rivolta contro le strutture dell’ebraismo (sinagoghe, scuole talmudiche, musei etc.) sono manifestazioni di razzismo antisemita senza alcun dubbio e senza alcuna possibile giustificazione. >>

      No, non è così. L’antisemitismo è altra cosa.

      Secondo la Working Definition of Antisemitism dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali "l’antisemitismo è quella certa percezione descrivibile come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette contro singoli ebrei o non ebrei, e/o contro la loro proprietà, contro le istituzioni comunitarie e contro le strutture religiose ebraiche”. Veda lei.

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