Supponiamo pure che non vi sia stata alcuna causa esterna a scatenare il conflitto, nessuna trama ordita da dentro e da fuori il Medio Oriente per destabilizzare la Siria e portarla dove è ora.
Dimentichiamo le ragioni e i torti, e indossata la veste del pragmatismo ragioniamo su cosa è meglio intraprendere per la popolazione e per il suo futuro.
Pesiamo la questione capitale (questione capitale per la valutazione di quelli che la sostengono ovviamente): l’espulsione di Assad dal potere, secondo le precondizioni poste dalle opposizioni a Ginevra 2.
Poniamo questo obiettivo su un piatto della bilancia e sull’altro mettiamo i costi per la popolazione conseguenti alla sua realizzazione. La cacciata di Assad con le armi della rivolta pesa più o meno di altri mesi, o anni, di morti e distruzioni? Cosa interessa di più alla gente di Siria: la scomparsa di Assad o riconquistare la serenità, la pace, la sicurezza, un regime più democratico e tollerante: rispettoso dei diritti fondamentali dei cittadini?
Nessuno glielo ha chiesto. E questo è un fatto, non una illazione.
Anzi, per essere certi che nessuno sia tentato di chiederglielo, i cosiddetti "Amici della Siria" hanno già decretato ciò che è meglio per il popolo siriano designando loro, sostituendosi ad esso come fonte di legittimità, chi debbono essere i suoi "legittimi rappresentanti", rigettando dunque qualunque ipotesi di elezioni o di mediazione con Assad.
E’ lo schema, che ormai dovrebbe essere ben noto, già adottato in diversi altri contesti dagli stessi attori internazionali. In Libia, ad esempio, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi.
Il Regime di Assad invece insiste affinché sia il popolo siriano a scegliere da chi vuole essere governato. E quest’anno dovrebbero svolgersi in Siria le elezioni presidenziali secondo le norme stabilite dalla nuova Costituzione siriana promulgata nel 2012. Assad potrebbe essere cacciato per mezzo di un esercizio democratico del potere, e i siriani, credo per la prima volta, potrebbero assaporare la Democrazia esercitando il diritto di determinare il proprio governo.
Questo né le opposizioni né gli "Amici della Siria" lo vogliono, dando vita in questo modo al gigantesco paradosso di sedicenti democratici che rifiutano la democrazia, a costo di sottoporre la Siria ad ulteriori distruzioni e lutti, e di asseriti tiranni che invece la difendono per evitare alla Siria altre sofferenze.
Bisogna essere affetti da una stoltezza patologica per non accorgersi che la bilancia è truccata, che la posta per la partita che si sta giocando non è affatto l’interesse del popolo siriano, è tutt’altro. Oppure bisogna essere dotati di un cinismo e di una doppiezza diabolici per fingere di ignorarlo.
Gli "Amici della Siria" sanno perfettamente di poter obbligare gli insorti a partecipare alle libere elezioni per il nuovo Presidente siriano, perché senza il loro supporto l’insurrezione avrebbe vita breve; sanno di avere tutti i mezzi a disposizione per obbligare il Regime siriano a garantire la correttezza delle consultazioni, anche ricorrendo al supporto di truppe sotto l’ombrello della legalità internazionale e con l’egida delle Nazioni Unite.
Lo sanno, ma fingono di non saperlo: hanno paura che il popolo siriano faccia scelte non compatibili con i loro fini. Anzi, ne sono certi: altrimenti avrebbero già acconsentito allo svolgimento delle elezioni.
E pur di non lasciare nelle mani del popolo siriano il diritto di scegliere il proprio destino sono pronti a lasciare la Siria, e il suo popolo, nel carnaio che li sta distruggendo.