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Commento di

su Le grandi potenze e l'Unità d'Italia - L'impresa di Garibaldi - L'opera di Camillo Benso di Cavour


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7 marzo 2011 16:01

 Fermo restante il valore dell’unità nazionale, di difetti nel nostro risorgimento ce ne sono parecchi. il processo unitario è coinciso con l’avvento del liberalismo e la sostituzione dei regimi assoluti dell’Italia pre unitaria, fatta eccezione per il Piemote, unica monarchia costituzionale. In Inghilterra, Francia, Olanda, Svezia, Danimarca e Norvegia, l’avvento dei regimi liberali è avvenuto con il coinvolgimento degli strati popolari, gli statuti, le costituzioni e le relative istituzioni sono diventate di tutti. Le successive evoluzioni non hanno modificato questo dato, ma al contrario lo hanno rafforzato. In Italia una piccola e rapace borghesia ha rigorosamente tenuto fuori dai processi unitari i ceti popolari, in primo luogo le sterminate masse contadine.Unica eccezione, la Sicilia, dove i contadini con la speranza di ottenere le terre dei latifondisti sono accorse con Garibaldi (chi erano i 30.000 che combatterono sul Volturno?). A fine guerra ottennero solo qualche fucilata. L’analisi di Gramsci dell’alleanza della borghesia del nord con i galantuomini del sud (borghesia agraria) può essere indigesta per i conservatori, ma è la verità. La riforma agraria non ci fu, le masse contadine e anche quelle operaie continuarono a sentirsi estranee alle istituzioni liberal/monarchiche. Il fascismo non rappresentò alcuna rottura rispetto al monopolio politico della borghesia. In questo senso è più corretto considerarlo una forma di continuità con il vecchio regime. Giolitti pensava di unificare gli italiani con il suffragio universale, Mussolini con la retorica nazionalista e con l’aggressività in politica estera.La tesi di Benedetto Croce sul fascismo come parentesi tra la democrazia liberale e quella repubblicana non ha mai avuto gran seguito. E più sensata mi sembra quella di C. Duggan sulla continuità tra regime monarchioco/liberale e fascismo. La rottura rispetto al passato sarebbe potuta avvenire con la Costituzione del ’48, ma né i democristiani, né i comunisti credevano realmente in questa Costituzione. Il PCI fece entrare nella lotta politica le masse proletarie, ma non per inverare i principi della costituzione bensì per realizzare la società socialista.Con la loro ideologia cattolica, i democristiani avevano scarso entusiasmo per la Costituzione e nella lotta al comunismo sacrificarono tutto (sia i principi cattolici che quelli costituzionali) alleandosi con la mafia, praticando un clientelismo sfrenato (e non solo al sud), e la pratica corruttiva divenne strumento ordinario di governo, come pure la strategia della tensione.
La fine del comunismo e il crollo di" Tangentopoli" potevano essere un altra occasione per porre fine all’estranietà di massa degli italiani dalle proprie istituzioni, ma non fu così. Berlusconi utilizzo il sentimento antipolitico (prima espressione dell’estraneità) e la riproposizione dell’anticomunismo per continuare a gestire il potere secondo le consolidate regole dei precedenti regimi. Corruzione, clientelismo, rapporti tra politica e mafie, rifiuti dei controlli di legalità, ecc. ...
 Come vede dottor Nicotra il modo di come siamo nati ci condiziona ancora. In ogni caso il suo articolo è largamente condivisibile, eccetto la proposizione finale


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