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Mattia Bergamini

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  • Primo articolo lunedì 04 Aprile 2014
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  • Di Mattia Bergamini (---.---.---.2) 9 gennaio 2015 23:47

    Ciao Francesca, 

    condivido molte cose del tuo articolo, come il fatto tanto inevitabile quanto rivoltante che tutti i politici europei reclamino il proprio fotogramma nell’immagine dei funerali della libertà d’espressione urlando d’essere anche loro Charlie Hebdo quando fino a ieri ponevano dubbi sull’opportunità e sul buon gusto, fino a praticare le più subdole censure a mezzo querela o col pretesto del ’questa è casa mia e qui comando io’.


    Altre cose che non fanno parte della tua riflessione ma sì della mia e spero possano contribuire alla discussione (seppur in ordine sparso):


    1) agli islamofobi da tastiera e della tv (come la voce di Ferrara che vibrante invocava la guerra Islam vs. Mondo Giudaico-Cristiano) mi piacerebbe ricordare che l’Islam è una costellazione di credi. Non si può separare quello che è successo a Parigi dagli eventi in Siria che pian piano ci sono venuti a noia. I milioni di rifugiati in Turchia o in Libano li guardiamo con insofferenza, e non è che se ne parli neppure tanto. Lasciamo che le potenze planetarie facciano il loro gioco e nemmeno ci preoccupiamo di capire. L’avanzata dell’ISIS in Iraq agli occhi del cittadino medio non significa nulla, tanto sono laggiù in mezzo al deserto chissenefrega. Eppure si tratta anche e soprattutto di una guerra tra due o più fazioni dello stesso mondo musulmano. Forse ci siamo dimenticati troppo in fretta dei fatti di Peshawar, e non è passato nemmeno un mese.


    2) I terroristi si ritrovano involucrati in un sistema non dissimile da quello di altre sette. Sono persone perdute che trovano un appiglio in un ’qualcosa’ che forse non è loro nemmeno tanto chiaro come succedeva ieri ai giovani che finivano tra le file delle BR o dei NAR. Un’idea, un leader che ti guidi, qualsiasi cosa pur di sfuggire alla grigia normalità senza bussola e senza timone d’un lavoro alla Coca Cola. Fino a rendersi conto che da quell’involucro è forse impossibile uscirne. Questo almeno ciò che mi pare traspaia dalle biografie dei terroristi francesi. A questi giovani bisognerebbe saper dare idee e speranze che la politica, e la società in generale, sono sempre meno in grado di offrire e anzi spesso hanno solo creato dei ghetti dove bolle il risentimento e la noia.


    3) A chi è pronto a sacrificare le proprie libertà in nome della lotta al terrorismo chiedo: quali libertà ci sono rimaste? In mondo nel quale anche i governi dell’Europa più avanzata si sono rivelati oscurantisti (vedi WikiLeaks), le multinazionali dell’IT svendono al potente di turno le tue informazioni più private e l’NSA intercetta le telefonate della più potente tra i potenti d’Europa (figurarsi quello che possono fare con un cittadino medio), i governi lasciano i propri giornalisti alla mercé dei terroristi (deterrente perfetto per i pochi che ancora vogliono raccontare il mondo), e nonostante tutto questo tre uomini posso gettare nel panico un intero continente, allora è difficile capire gli obiettivi di chi ci governa e su quali libertà residue si possa ancora capitolare. A meno che per libertà non si intenda il poter fermare o perquisire indiscriminatamente chi ha la barba (nonostante oggi sia tanto di moda) o chi ha la pelle un po’ più scura, ma i metodi statunitensi e i fatti che ne sono derivati dovrebbero servirci non da ispirazione ma da monito.

     

    4) Sulla libertà di stampa, di satira, di pensiero e di opinione: io sono a favore di una libertà totale. I reati di opinione erano l’aberrante figlio del Codice Rocco, e nonostante questo furono riformati solo nel momento in cui a trarne beneficio fu tale Bossi Umberto. E i crimini d’odio all’italiana, una mezza barzelletta. Meglio, a mio modo di vedere, lasciare che ognuno possa esprimere le proprie idee e lanciare il suo messaggio per quanto abominevole ci possa sembrare. Fino, ma non oltre, il limite della calunnia e della diffamazione, ovvero rispettando la libertà di ciascuno di non condividere le tue idee o di non volerle ascoltare o il semplice diritto alla propria dignità. Ma garantirlo davvero e a tutti, non solo al giudice che si sente tirato per la toga in un articolo di stampa o al politico che minaccia azioni legali al grido di ’io ti querelo!’. Siamo sempre più preoccupati delle opinioni degli altri (a cominciare dai ’Like’ di Facebook) e sempre meno della realtà, di ciò che succede nel mondo che ci circonda. E così la stampa italiana, oltretutto sempre più povera di mezzi e di contenuti, ci offre un riflesso di noi stessi così inzuppata di opinioni e riflessioni che il giornalone di ieri pare oggi un blog neanche originale. In questa fase post-Berlusconi (ma con Berlusconi) Crozza e Vauro ci hanno ormai stancato anche loro, ma oggi ci facciamo bandiera del diritto di satira che non ammette vilipendio. Oggi siamo Charlie Hebdo e siamo pronti a modo nostro a oltrepassare i limiti del rispetto, e magari invece di fermarci dall’alimentari pakistano all’angolo facciamo quei 50 metri in più fino a un cattolicissimo supermercato. Charlie Hebdo, che faceva una pernacchia ai jihadisti ma licenziava l’ottuagenario anarchico Sinè reo a dir loro d’antisemitismo. Bisognerebbe capire che è un mondo complesso e che l’anticonformismo di ieri s’è perso forse definitivamente, e che essere Charlie Hebdo vuol dire poter essere antisemiti, islamofobi, anticlericali, antimonarchici (vedi il dramma, a modo suo, del Jueves in Spagna) ma anche ultraortodossi o wahhabisti, fascisti anarchici reazionari comunisti o nazimaoisti. Si può essere Borghezio e Pannella allo stesso tempo. Vuol dire accettare tutto e il suo contrario. Essere più volteriani di Voltaire. 



    Siamo davvero pronti? 

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