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 Home page > Attualità > Società > Violenza sulle donne | 1522. Ho detto NO

Violenza sulle donne | 1522. Ho detto NO

​In occasione del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ho pensato di scrivere un racconto liberamente ispirato a una storia vera di cui sono venuta a conoscenza.

Il racconto si intitola "1522 - Ho detto no alla violenza" e vuole dare un piccolo contributo nel veicolare la conoscenza del numero di telefono gratuito 1522, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e attivo 24 ore su 24 su tutto il territorio nazionale. Dal 2013 è gestito dal Telefono Rosa in relazione a un'ampia rete di accoglienza territoriale.

La protagonista del racconto che vi invito a leggere non ha un nome, perché la scrittura ha per me esattamente questo compito: rendere universali le storie accadute a singole persone, in modo che possano parlare a tutte e tutti.

Buona lettura.

1522 - Ho detto no alla violenza

Sono nell'angolo più buio del pronto soccorso. Mi hanno sistemata quaggiù per pudore, mio o degli altri, non fa alcuna differenza. Le tumefazioni che porto in viso sono troppo evidenti questa volta, non sarei stata in grado di nasconderle a lungo. Ho avuto paura quando l'infermiera mi ha domandato cosa fosse successo. Se avessi detto la verità, lui sarebbe venuto a saperlo. Sa tutto lui, è come se mi leggesse dentro.

La solita scusa "sono caduta dalle scale", non ha retto. Ovvero, io lo so che all'accoglienza non mi hanno creduta, l'ho capito. Anche se cambio spesso ospedale e in questo non ci ho mai messo piede, loro lo sanno che le cose non stanno così. E anche io lo so, ma sono muta, completamente muta.

L'infermiera non mi ha guardata con la solita aria indifferente o giudicante, mi ha sorriso, poi mi ha preso la mano buona, quella che non mi fa male e mi ha fatta accomodare qui.

Non so perché ma non mi ha riempito di domande inutili cui dare inutili risposte. Ogni tanto torna da me, solo per vedere se tutto va bene, mentre attendo la visita del medico di turno.

Ecco, è come l'amica che non è qui con me perché mi vergogno a dirle che la coppia innamorata che tutti conoscono è in realtà la mia prigione, la mia "stanza delle torture". Ci sente urlare la mia amica, me e mio marito. Abita al piano superiore, ci conosciamo da quando ci siamo trasferiti qui dopo che ho dovuto abbandonare il lavoro. Sono passati sei anni ormai, ora sono a casa, tutto il giorno, in attesa di lui. Mio marito mi vuole tutta per sé, dice che sono sua, solo sua. Ma io non gli credo, anche se non ho la forza di andarmene e alla fine mi sono concessa, forse per quieto vivere.

Dove avrei potuto andare, altrimenti? Senza il mio amato lavoro non sono nessuno. L'ho perso per via delle botte viola che a un certo punto sono apparse sul collo e sul viso e che non potevo più mostrare ai bambini. Ero un insegnate, sono un'insegnante, anche se persino io ora, che mi vedo riflessa nella porta vetri dell'infermeria, stento a riconoscermi.

Ho solo dimenticato di cancellare quel maledetto sms, ed eccomi qui. Nemmeno un amico, nemmeno un rapporto, di nessun tipo posso avere, solo lui deve esserci nella mia vita. La gelosia è la causa di tutto, così mi dice quando fa la pace con me. E poi, che pace è? Io davvero la pace non so cosa sia, ma so cos'è la violenza, l'abuso, la sottomissione, il dolore e la paura.

L'infermiera viene di nuovo verso di me con quel suo sorriso largo e i denti storti, mi viene persino da ridere. I tempi di attesa sono lunghi, chiede se deve avvisare qualcuno, a casa o al lavoro. Per carità, se lo sapesse mi ucciderebbe davvero, visto che ancora non ci è riuscito.

Mi ha portato una bibita con una cannuccia, un'aranciata amara, chissà come fa a sapere che è la mia bevanda preferita.

Si volta per andare via ed io ho tanta voglia di dirle qualcosa, ma cosa? La chiamo con voce fioca, ciò nonostante mi sente subito, si volta e torna indietro. Benedetta signora dai denti storti. Mi dice: "Ti ascolto".

Nessuno mi aveva mai risposto in un modo tanto semplice e vero. Così parlo. Le racconto che una volta ero la migliore insegnante della scuola, amavo tanto i miei bambini. Io e mio marito ne volevamo uno tutto nostro, ma non ne abbiamo mai avuti. Quando lui ha capito di essere sterile è cambiato, è diventato dapprima scontroso e poi via via sempre più irruento e poi, poi è diventato violento. Come se fosse mia la colpa di tutto. Persino il sesso era diventato un modo per farmi del male, sfogare la sua rabbia e godere di una insana vendetta. Ed io che volevo solo consolarlo, solo continuare ad amarlo come avevo fatto fino ad allora...

Mentre le racconto queste cose le mi guarda. Qualcuno la chiama ma lei, con un cenno, risponde di non disturbarla. Mi guarda negli occhi e mi mette tra le mani un biglietto: "Impara il numero a memoria, ti salverà la vita".

Quando se ne va apro il biglietto. Ci sono solo quattro numeri, 1522.

Li ripeto all'infinito, 1522, 1522, 1522, come un mantra. E' strano ma già mi sento meglio.

Dal fondo del corridoio un volto familiare mi sorride. E' lei, la mia amica del piano di sopra. Come avrà fatto a scovarmi il cielo lo sa, io non so rispondere a questa domanda. L'unica cosa che so è che ho imparato quattro numeri a memoria. 1522.

"Chiameremo insieme" mi dice, mentre tenta di abbracciarmi dolcemente. Ed io forse sorrido. Il calore di un abbraccio e il gesto gratuito di una sconosciuta mi hanno fatto capire che non sono sola.

E che la salvezza può affacciarsi alla tua vita quando meno te lo spetti.


Se il racconto vi è piaciuto vi chiedo di condividerlo affinché molte altre persone possano confrontarsi con questa storia.

Siate libere e liberi di dire ciò che pensate. Uomini e donne, siamo tutti coinvolti contro la violenza!

Questo articolo è stato pubblicato qui

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