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Vecchia e nuova TV in convegno a Roma

Nelle stesse ore in cui Agcom si riuniva in consiglio per discutere il regolamento sul diritto d’autore in rete, si è svolto mercoledì a Roma, presso la Casa del Cinema di Villa Borghese, il convegno “Vecchia TV vs Nuova TV”, promosso dal Corecom Lazio. Al di là dell’opposizione del titolo , espressamente provocatoria, si è parlato del futuro della televisione che – su questo tutti i relatori sono stati unanimi - è già presente.

Il convegno ha visto la partecipazione di esponenti del mondo accademico, della pubblicità, di grandi broadcaster come Rai, Mediaset e Sky, ma anche produttori di devices come Samsung, produttori, giornalisti e, per niente a sproposito, Claudio di Biagio, uno degli ideatori di “Freaks”, la prima web series italiana.

La presenza del ventiduenne romano ben esprime alcune delle considerazioni fatte nella maggior parte degli interventi: la tv ai tempi del web 2.0 e della convergenza degli schermi (TV, smartphone, PC, consolle di gioco) va incontro ad una mutazione in senso social che integrerà aspetti comunitari e una comunicazione aumentata e allargata a una pluralità di soggetti attivi.
La web series “Freaks” ne è un esempio lampante: low budget (è costata in tutto 2000€), artigianale, si ispira a anglosassoni di successo come “Misfits” e “Heroes”. Nata lo scorso aprile da un’idea di un gruppo di giovani romani, ha superato i 5 milioni di visualizzazioni sul suo canale su Youtube e conta su una comunità che partecipa e interagisce con gli autori con commenti e suggerimenti. La serie è prodotta da ShowReel e parla di un gruppo di giovani supereroi della capitale. Di Biagio e i suoi amici si sono detti: “Perché gli alieni devono sempre sbarcare a New York? Perché queste operazioni non si possono fare in Italia?”.

Dunque, è così aliena la cosiddetta “new tv”, per il mercato italiano? 
Negli ultimi anni i principali broadcaster si sono lanciati con successo in esperimenti di over-the-top television o catch-up tv (la tv del giorno dopo), mettendo a disposizione i propri contenuti gratuitamente sul web, uscendo quindi dalla logica della fruizione lineare, incasellata in palinsesti definiti dall’alto. Come ha sottolineato Raffaele Barberio di Key4Biz, “il consumatore è il re” e il suo consumo di video si sta moltiplicando sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, anche in virtù della crescente attitudine al multitasking su più dispositivi (tv + smartphone, tv +pc, tv + tablet).

Attorno alle sue esigenze si sta organizzando anche l’offerta dei fornitori di apparati, che stanno entrando nell’offerta dei contenuti inserendo nei dispositivi applicazioni che permettono la connessione a Youtube. Stiamo parlando del mondo in crescita delle TV connesse, apparati televisivi smart, i cui volumi di vendita sono in rapido aumento, come sottolinea Antonio Bosio di Samsung, che aggiunge: “Il nuovo televisore ha un doppia connettività: può essere connesso anche agli altri dispositivi presenti in casa. Siamo certi che avrà anche il ruolo sociale di avvicinare ad internet chi non sa usare il computer”.

Al di là degli aspetti tecnologici, con l’inesorabile convergenza digitale e la moltiplicazione degli schermi connessi, è evidente che il nuovo scenario tecnologico impone un nuovo modo di concepire i contenuti sia per i nuovi canali che per la televisione tradizionale. Se aziende e pubblicitari inseguono già da tempo i target giovanili sul web (Un esempio? La web series “Ken” della Mattel), gli autori televisivi si sono appena accorti che una massa critica di spettatori sta consolidando l’abitudine a vivere in modo sempre più social la fruizione di alcuni programmi televisivi, specie quelli di attualità politica, alcuni dei quali hanno generato vere e proprie comunità di “twitters” (si vedano i casi di Ballarò e Anno Zero).

Gli autori hanno tentato di contattare questo pubblico, che commenta in diretta i battibecchi dei politici in studio, ne critica gli eccessi di fondotinta e ne smaschera in diretta le fandonie, con esperimenti più o meno riusciti. 
Ilaria D’Amico ha partecipato al panel “La tv diventa social?” illustrando l’esperienza dell’ultima edizione del suo “EXIT” su La7: “Ci siamo accorti che la trasmissione era seguita in tempo reale su twitter da una vasta comunità di spettatori e abbiamo cercato di interagire con loro. Spesso si fa del concetto di partecipazione un uso strumentale, dichiarando che ‘il programma lo fa il pubblico’, ma senza poi coinvolgerlo veramente. Noi abbiamo cercato di farlo: lanciando l’hashtag ufficiale del programma le persone hanno potuto esprimersi direttamente e i loro tweets apparivano in sovrimpressione durante la diretta televisiva”. L’esperimento di portare il pigolio degli spettatori in TV ha comportato anche delle difficoltà tecniche, naturalmente: oltre a dover necessariamente filtrare i contenuti (eliminando quelli offensivi o inappropriati), gli autori hanno dovuto fare i conti con la necessità di trasformare i tweet in grafica televisiva senza perdere l’immediatezza dei commenti, che dovevano comparire in diretta prima di diventare “vecchi” al mutare degli argomenti in discussione in studio.

Altra testimonianza interessante quella di Andrea Vianello, giornalista Rai proveniente dall’esperienza poco “web”, ma molto social di “Radio Anch’io”, lo storico programma di RadioRai in cui gli ascoltatori possono interagire con i protagonisti della politica e dell’attualità, telefonando in diretta radiofonica. Passando per l’esperimento di “TeleAnch’io”, realizzato sotto l’egida del pioniere Freccero, ma penalizzato dall’inadeguatezza tecnica delle connessioni via webcam dell’ormai lontano 2000, Vianello è approdato di recente alla conduzione di “Agorà”, nel palinsesto mattutino di Raitre. “Quella 9-11 era una fascia inconsueta per parlare di politica – ha detto Vianello -, e abbiamo pensato di raccontare il punto di vista dei cittadini collegandoci con webcam installate a casa loro e chiedendo al pubblico di autocandidarsi come web opinionista”. Vianello ha parlato anche della rubrica “Il Moviolone”, in cui, ricalcando un’abitudine ormai diffusa degli utenti di internet, si rivedono alcuni momenti della giornata televisiva precedente (un esempio: la scena di La Russa che chiede al suo assistente, in diretta a Ballarò, chi sia Lucašenko).

Sulla questione del diritto d'autore, decisamente calda in questi giorni, i rappresentanti di Rai e Mediaset si sono espressi in modo simile. Riferendosi alla questione Youtube, Gina Nieri, consigliere Mediaset ha affermato: "non si può continuare a fare fatturati importanti senza apportare contributi alla produzione ma continuando a fare un business parassitario. Il fatto che tutti paghino quello che usano è una delle precondizioni per cui ci sia un vero agone democratico e paritario tra gli operatori. Le leggi sul diritto d’autore sono obsolete, ma da qui ad ammettere la pirateria dei video su internet non è possibile. E’ un baco del sistema che rischia di mandare per aria un modello di business che si basa sulla remunerazione della proprietà intellettuale". Piuttosto critico anche Giancarlo Leone, vicedirettore Rai: "Paradossalmente i grandi server globali girano intorno alla vecchia tv classica e non investono sui nuovi contenuti".

Ha chiuso la giornata un panel politico, con Roberto Rao, UDC, vicepresidente della commissione di vigilanza RAI e Paolo Gentiloni del PD, in commissione trasporti e telecomunicazioni (un'associazione di competenze di cui Rao non ha mancato di sottolineare l'anacronismo). Gentiloni si è soffermato sul rapporto tra politica e nuova televisione: "La nuova realtà di auto comunicazione di massa, come la definisce Castells, pone molti problemi alla politica. La politica deve porsi almeno due problemi: 1) l’agenda non si fa più come una volta, telefonando a tg e quotidiani. Oggi gli utenti sono competenti in fact-checking in tempo reale e possono facilmente smascherare i politici in diretta sui social network; 2) siamo in presenza della moltiplicazione dell’ascolto. La situazione interattiva diffusa rende il tema dell’ascolto completamente diverso. Cambia la catena del valore. Possono agire su di essa solo le autorità pubbliche? Credo di no, ma questo non assolve dal mettere dei paletti antitrust significativi per le autorità pubbliche nazionali ed europee, per evitare il crearsi di alcune posizioni dominanti globali".

Gentiloni ha concluso sulla questione del diritto d'autore: "bisogna cercare un punto d’equilibrio tra libertà della rete e remunerazione delle opere dell’ingegno. Il problema esiste, ma se si pensa che si possa risolverlo con il concetto di copyright del secolo scorso, che era legato alla riproducibilità dei prodotti, si vive su un altro pianeta".

Resta da chiedersi che ruolo avrà in questa ricerca di un compromesso l'opinione di quello che molti chiamano "il popolo della rete" (forse sottovalutandolo), che oggi, come hanno dimostrato i recenti esiti elettorali, coincide con vaste aree di pubblico. Un pubblico che, come ha detto Carlo Freccero in apertura del convegno: "ha elevato la piattaforma di internet e tutto quello che ad essa si connette a 'bene comune' da condividere".

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