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Vatican Girl: un tuffo dove l’acqua è più nera

Si torna a parlare della scomparsa di Emanuela Orlandi con la docu-serie di Netflix Vatican Girl. Un caso in cui si mischiano connivenze, segreti e corruzione che toccano il Vaticano e la politica. Un caso che rischiava di cadere nel dimenticatoio, come quello della coetanea Mirella Gregori, scomparsa poche settimane prima di Orlandi nel 1983. Affronta il tema Micaela Grosso sul numero 1/2023 della rivista Nessun Dogma

 

Di recente è uscita su Netflix Vatican Girl, la docu-serie con la quale il regista Mark Lewis ripercorre in quattro puntate gli avvenimenti relativi al noto caso di cronaca nera di Emanuela Orlandi.

Il mistero celato dietro la scomparsa della quindicenne cittadina vaticana, avvenuta nel 1983, è infatti rimasto tale per quasi quaranta anni. La vicenda ha conosciuto una nuova ribalta grazie alla serie, posizionata nei trend dello streaming a lungo, e al piano marketing spietato, che per il lancio si è avvalso persino dei manifesti originali dell’epoca – di cui Roma è stata tappezzata.

Nonostante l’interesse rinnovato, le chiacchiere e le supposizioni, la verità fatica però ancora a essere svelata poiché tuttora, da tre papi or sono, non si sa né chi abbia commissionato il presunto rapimento, né che fine abbia fatto la povera Emanuela. È indubbio che la Santa sede abbia svolto un ruolo determinante e che la connivenza delle persone implicate, il silenzio della politica e la volontà dei vertici di insabbiare l’accaduto abbiano superato il limite di tollerabilità.

Perfino Carlo Calenda, il leader di Azione, dopo aver terminato la visione della serie ha scritto su Facebook: «è ormai chiaro che il Vaticano sa perfettamente cosa è accaduto […] è dovere dello stato italiano pretendere la verità. Il grado di protervia e arroganza delle gerarchie vaticane anche davanti a prove documentali che attestano il coinvolgimento della Santa sede è inaccettabile. Siamo uno stato laico, non una comunità di vassalli della chiesa. Chiederemo al ministro degli esteri di attivarsi».

La questione rimane però ancora aperta, anche se pare impossibile che oggi, nel 2023, non si venga a capo di un vero e proprio giallo sulla bocca di tutti, del quale si è interessata non solo la stampa nostrana, ma anche quella estera e su cui sono state scritte migliaia di parole.

La storia, che inizialmente viene liquidata dalla polizia come un normale episodio di fuga da casa da parte di un’adolescente (e con l’infelice frase, rivolta alla madre che sporgeva denuncia il mattino dopo: «Non mi preoccuperei, non è nemmeno una così bella ragazza. Sicuramente è un allontanamento volontario, non è stata rapita»), rivela gradualmente una trama alla Dan Brown: intricata e piena di colpi di scena.

Vatican Girl prova a fare chiarezza, con l’intervento di membri della famiglia di Emanuela e di Andrea Purgatori, giornalista investigativo, sui fatti di una vicenda in cui paiono intrecciarsi interessi e dinamiche impensabili: dalla banda della Magliana ai Lupi grigi, da papa Giovanni II al mitomane Marco Fassoni Accetti, sedicente coinvolto.

Gli avvenimenti vengono ripercorsi per ordine: il 22 giugno 1983, giorno della scomparsa, Emanuela, figlia di genitori da decenni al servizio dello stato Vaticano, si dovrebbe presentare alla scuola di musica che frequenta, appena fuori dalle mura. Non ci arriva mai. Chiama invece casa sua, avvertendo la sorella Federica che un uomo l’ha avvicinata con la promessa di una grossa somma in cambio della distribuzione di prodotti Avon. Comincia sin da subito una fase di indagini vane, testimonianze invalidate, indizi e informatori inaffidabili.

I genitori diffondono un appello e presidiano una linea telefonica: «Non si hanno più notizie dalle ore 19 di mercoledì 22 giugno, chi avesse utili informazioni è pregato di telefonare al numero 69.84.982». Si succedono diverse telefonate che più che voler fornire notizie sembrano avere l’intenzione di fuorviare le indagini.

Chiama un tal Pierluigi che afferma di aver incontrato, a Campo dei Fiori, due giovani venditrici di cosmetici, di cui una si chiama Barbara e ha con sé un flauto. Il 28 giugno chiama poi un certo Mario, con una comunicazione confusa e inquinata dalla probabile presenza di un suggeritore, che riporta una storia simile su due ragazze (una delle quali, bruna, si chiamerebbe Barbarella) intraviste vendere cosmetici nei paraggi della fermata dell’autobus alla quale le amiche di Emanuela la perdono per sempre di vista. Si pensa oggi che questo Mario sia un personaggio vicino o interno alla banda della Magliana.

Dopo due settimane interviene anche Giovanni Paolo II, dal balcone di piazza San Pietro, nell’Angelus di domenica 3 luglio 1983: «Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e le angosce della famiglia non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso».

Viene fissato un ultimatum, il 20 di luglio, per il rilascio di Emanuela, che potrà avvenire solo a fronte della liberazione di Mehmet Ali Ağca, l’uomo che due anni prima aveva attentato alla vita di papa Giovanni Paolo II. La richiesta avviene al telefono ed è accompagnata dalla pretesa di aprire una linea diretta con Agostino Casaroli, il cardinale segretario di stato.

Si apre in quel frangente la pista che coinvolge un informatore dall’accento anglosassone noto ai media come “l’Amerikano”, che chiama ripetutamente facendo richieste e fornendo informazioni che coinvolgono anche Casorati, ma rivelatesi alla fine vane.

In breve: i Lupi grigi, stando alle indagini e alle confessioni di pentiti della Magliana, non avrebbero avuto nulla a che fare con la vicenda. Sta di fatto, però, che indizi del coinvolgimento pontificio emergono in continuazione: in un incontro del 2010 tra Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, e Mehmet Ali Ağca, quest’ultimo ribadisce, dopo la prima dichiarazione del 1983, che la pista corretta sarebbe quella del rapimento commissionato dal Vaticano. Per Ağca «Emanuela», che vive in Svizzera o Francia in una villa, «è viva e ritornerà presto a casa», e nella storia sarebbe coinvolto, come persona informata dei fatti, il cardinale Giovanni Battista Re.

La figura dell’Amerikano sarebbe stata, per gli specialisti del Sisde, coincidente con quella dell’arcivescovo statunitense Paul Marcinkus, ai tempi presidente dello Ior. Secondo una pista aperta da un sedicente ex-agente del Sismi nel 2011, il coinvolgimento della famiglia Orlandi sarebbe da imputarsi alle conoscenze di Ercole Orlandi, padre di Emanuela, in materia di riciclaggio di denaro ad opera dello Ior sull’onda lunga del crack del Banco Ambrosiano.

Nella vergognosa sparizione di Emanuela c’è comunque, per così dire, spazio per tutti: il documentario dà infatti ampio rilievo alle dichiarazioni di Sabrina Minardi, allora amante di Enrico “Renatino” De Pedis, boss della banda della Magliana. Minardi ribadisce le dichiarazioni già rilasciate nei primi anni duemila: De Pedis avrebbe rapito Emanuela dietro ordine di monsignor Marcinkus con l’intento di comunicare un messaggio a “piani superiori”.

Per decenni la famiglia si è dedicata a una ricerca incessante, con un susseguirsi di colpi di scena e depistaggi.

Nel 1993 ad esempio, trascorsi già dieci anni dalla scomparsa, Pietro Orlandi e i genitori ricevono quelle che sembrano segnalazioni ben documentate e volano fino in Lussemburgo con la vana speranza di ricongiungersi alla ragazza, che sarebbe stata riconosciuta tra le inquiline di un convento di clausura.

A prescindere dalla modalità di coinvolgimento delle suddette alte sfere, la storia parrebbe dimostrare una conoscenza approfondita, da parte della chiesa, della verità. Fa specie pensare che nel 2013 anche papa Francesco, in uno dei suoi incontri con la famiglia, abbia smorzato la già debole fiamma della speranza tenuta in vita con fatica dagli Orlandi, tagliando corto: «Emanuela è in cielo».

La pista aperta da Vatican Girl include anche la testimonianza di una compagna di scuola di Emanuela, ignorata a suo tempo dagli inquirenti. L’anonima, convinta a parlare da Pietro Orlandi, rivela una confessione fatta da Emanuela qualche tempo prima di scomparire, a proposito di un prelato che le avrebbe fatto delle avance di natura sessuale. Rispetto alla dichiarazione, che mai prima era emersa, Pietro Orlandi afferma che la sorella non avrebbe mai potuto confessare alla famiglia, un po’ perché non sarebbe stata creduta, un po’ per via de «l’ambiente vaticano, che è in un certo modo.

Non avrebbe mai avuto il coraggio». Pietro aggiunge anche un particolare agghiacciante: un suo incontro di pochi anni fa con un conoscente che aveva lavorato come funzionario del Corpo della gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano. L’uomo, al proposito, gli dice: «Noi come gendarmeria, appena saputo della scomparsa di Emanuela, siamo andati subito con la sua foto in mano da quei tre, quattro cardinali che sappiamo che con i ragazzini… le ragazzine…».

La pista della pedofilia è stata, guarda caso, confermata anche dal celebre padre Gabriele Amorth, che nel suo libro L’ultimo esorcista ha ripreso la teoria già esposta in un’intervista su La Stampa nel 2012, secondo la quale Emanuela sarebbe caduta nel gorgo di festini orgiastici e pederasti organizzati, tra gli altri, dal settantenne Simeone Duca, un archivista vaticano, e ne sarebbe rimasta uccisa in un delitto a sfondo sessuale.

Di certo, la sfortuna di essere nata sul territorio della Santa sede da una famiglia vicina a pontefici vari rende Emanuela un bersaglio appetibile. È stato detto che se, anziché essere una cittadina vaticana, fosse stata una qualunque adolescente, oggi forse nessuno si ricorderebbe di lei perché probabilmente non ci sarebbe ragione di farlo. Ciò è purtroppo vero, e se ne ha una dimostrazione nella storia omologa di Mirella Gregori.

La ragazza, anche lei quindicenne, scompare solo quaranta giorni prima di Emanuela Orlandi, il 7 maggio 1983. I punti di contatto sono molti: Mirella sparisce un pomeriggio dopo aver parlato a qualcuno al citofono, poco dopo aver detto a sua madre che avrebbe potuto racimolare tanto denaro da potersi permettere l’acquisto di un appartamento; la madre pensa di riconoscere un uomo della gendarmeria vaticana che trascorreva del tempo con Mirella e una sua amica in un bar della zona; il fotografo romano Marco Accetti (denunciato in seguito dalla Procura per calunnia e autocalunnia) dichiara di essere coinvolto nel rapimento di entrambe le ragazze.

L’avvocato delle due famiglie, Gennaro Egidio, è lo stesso, e perfino Giovanni Paolo II, all’Angelus del 28 agosto 1983, le accomuna: «[…] prego il Signore affinché tocchi il cuore di coloro che dicono di trattenere quegli esseri innocenti e indifesi, come sempre prego anche per la persona del mio attentatore». Wojtyła si riferisce ai comunicati, probabilmente falsi anche perché diffusi da sigle e organizzazioni diverse (tra cui i Lupi grigi e il Fronte Turkesh), che tentano di ricondurre il rapimento di Mirella a una pista collegata all’attentato al papa da parte di Ağca.

Le modalità sono le stesse del rapimento di Emanuela: telefonate in cui gli interlocutori dicono di aver avvistato Mirella, incluso un presunto coinvolgimento dell’Amerikano.

Alessandro Ambrosini, giornalista de Il Riformista, ha recentemente reso pubblico un audio estratto da un colloquio avuto con l’ex socio di De Pedis nel 2009 nell’ambito di un’inchiesta da lui condotta sui legami tra la malavita romana e la politica. Nella registrazione, l’uomo conferma con dettagli osceni la pista della pedofilia e delle relazioni sessuali che avrebbero coinvolto le due adolescenti e alti o altissimi prelati.

Eppure, pochissimi si ricordano di Mirella, che non è nata all’interno delle “sacre” mura del Vaticano.

Non c’è dubbio che diversi tentativi siano stati fatti, inclusa la proposta della “Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi”, presentata nel 2018 e ripresa a dicembre 2022 da Francesco Silvestri del M5s e supportata inoltre da Azione e Pd. Con ogni probabilità, la commissione si dovrebbe occupare anche del caso di Mirella Gregori e dell’omicidio di Simonetta Cesaroni.

Come si è visto, però, non è abbastanza. Non è mai stato (e sarà) sufficiente elevare al Signore le preghiere perché Emanuela (e cito ancora l’Angelus del 3 luglio 1983) possa presto ritornare incolume ad abbracciare i suoi cari. Non è sufficiente scandalizzarsi la mattina e dimenticare il pomeriggio. C’è bisogno, invece, di parlare.

Non solo della famiglia Orlandi, ma anche della famiglia Gregori e, non per ultime, delle famiglie di tutte le vittime degli abusi perpetrati dal clero. C’è bisogno di raccontare e raccontare ancora, perché il caso emblematico delle due ragazze scomparse nel nulla rappresenta bene la coltre di segreti e corruzione che da troppo e per troppo ha protetto e reso impunite associazioni terroristiche e criminali, i giochi di potere e le bugie del Vaticano, che è noto per la sua abile e longeva attività di occultamento.

La laicità dello stato, infatti, non è un cappello che si possa mettere e togliere in base al comodo o alla contingenza; è un faro che dovrebbe indirizzare anche e soprattutto in caso di acque particolarmente torbide o agitate, quantunque “sante”.

Micaela Grosso

Approfondimenti

Blog di Emanuela Orlandi
Trascrizione dell’audio (Il Riformista)
Proposta di legge

 

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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