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Vaccino Covid-19: la scienza e la libertà di scelta irrazionale

L’avvio della campagna di vaccinazione contro il Covid-19 sta nuovamente generando manifestazioni di diffidenza nei confronti della scienza, che non si limitano peraltro soltanto ai vaccini. Abbiamo discusso di questo fenomeno (e di come affrontarlo) nel numero 1/2020 della nostra rivista Nessun Dogma, intervistando la giornalista scientifica Silvia Bencivelli.

Salute, benessere, alimentazione: aumenta il numero di chi segue teorie indimostrate. Spesso è più colto della media: perché accade? L’abbiamo chiesto alla giornalista scientifica Silvia Bencivelli.

Benché soltanto quarantenne, Silvia Bencivelli può ormai essere considerata una voce storica di Radio3. Oltre a fare la giornalista scientifica dalle parti di Repubblica (e non solo), trova anche il tempo di scrivere saggi. L’ultimo, recentemente pubblicato da Einaudi, si intitola Sospettosi. Noi e i nostri dubbi sulla scienza. È un’indagine sul campo (minato) delle pseudoscienze, delle sedicenti “medicine alternative”, dei regimi dimagranti più bislacchi, di tutte quelle credenze indimostrate che, paradossalmente, sembrano prosperare in un’epoca di accentuata secolarizzazione.

Silvia, il tuo libro è nato da una riflessione sul tuo lavoro: sostieni di aver “rischiato di veder cristallizzato nel mio cervello l’idea che di là ci siano persone poco intelligenti”. Ma chi si rivolge alla medicina alternativa ha un buon reddito, è spesso diplomato (se non laureato) e ha una preparazione culturale più alta della media. Qualcosa è andato storto. Ma cosa?
È proprio quello che mi sono chiesta in questo libro. O meglio: la domanda che mi sono posta è se noi che pretendiamo di essere razionalisti non siamo in errore quando crediamo che chi fa scelte antiscientifiche sia semplicemente ignorante, o addirittura cretino. Come se conoscere, potersi informare, e avere gli strumenti per capire fosse la soluzione. Perché a guardare le statistiche sembra piuttosto che sia il contrario! Sembra che la cultura e il benessere economico e sociale siano quasi fattori di rischio, che espongano al pensiero magico e irrazionale soprattutto in fatto di salute. E allora per fare una buona comunicazione (che sarebbe il mio mestiere) propongo di cominciare col chiedersi perché, e soprattutto col chiederlo a loro: perché? “Perché tu, che vivi in un mondo così simile al mio e che mi assomigli così tanto, fai scelte così distanti dalle mie che sono guidate dalla scienza e dalla razionalità?”
Non vi svelo le risposte che ho avuto. Vi dico solo che un po’ c’entra il marketing, ma soprattutto c’è di mezzo l’implacabile fallibilità umana che è un po’ di tutti noi. A pensarci bene, in certi momenti di fragilità anch’io ho fatto scelte sbagliate e mi sono fatta guidare più dalle emozioni che dalla ragione. Sicuri che invece a voi non sia mai capitato?

Dobbiamo quindi ricordarci che nemmeno da questa parte siamo completamente immuni dal compiere scelte irrazionali. Ma è possibile sostenere che chi sta da questa parte viva a sua volta in una comunità chiusa, uguale e contraria alla loro?
È possibile sostenerlo e c’è chi lo fa, con il conforto di decenni di ricerche in psicologia e ultimamente anche della matematica che permette di disegnare schemi delle relazioni umane per esempio come emergono dai social network. Ma basta osservare sé stessi: potendo scegliere le persone con cui stare, si scelgono quelle che ci assomigliano e che la pensano come noi su molte cose. Si formano così “bolle” sociali in cui ciascuno è confortato perché non si sente contraddetto, con il rischio di non comunicare con il resto del mondo e di non conoscerlo più.
Questo però vale laddove si può scegliere. Ma non in tanti altri ambiti della nostra vita: non scegliamo familiari, colleghi, compagni di studi. Lì le differenze dovremmo imparare a osservarle (e magari a rispettarle!). Poi, siccome siamo umani e le cose sono sempre più complesse di come appaiano, finisce che in tutti gli ambiti della nostra vita le bolle non sono mai così impermeabili. Insomma: ce lo abbiamo tutti l’amico, o l’amico dell’amico, che non sa se far vaccinare i figli, usa l’omeopatia e mangia senza glutine anche se non è celiaco, no?

Hai dunque deciso di cercare persone che non fossero completamente sganciate dalle evidenze scientifiche, ma che avessero invece notevoli dubbi su una questione specifica. Che tipo di persone hai trovato?
Ho trovato gli amici degli amici, appunto! Persone simpatiche, colte, brillanti: spesso sono persino diventati amici anche miei. Con un dialogo ben impostato, e basato sul rispetto reciproco, è stato possibile discutere delle loro storie. Alla fine non mi hanno convinto, sia chiaro: io sono sempre razionalista fino al midollo (o almeno ci provo). Però ho dovuto ammettere che le loro ragioni avevano senso e le loro scelte erano più che comprensibili: forse nei loro panni le avrei fatte anch’io. Di certo, alla fine del viaggio ho imparato che prima di pontificare è bene saper chiedere e poi ascoltare.

Ci suggerisci di non considerare il “sospettoso” un cretino, ma piuttosto un “truffato”. Ma cosa deve fare un medico con un paziente che si arrabbia sia quando non gli prescrive una medicina (“lei sta risparmiando sulla mia pelle!”), sia quando gliene prescrive quattro (“lei è certamente al soldo di Big Pharma”)? O che nega la diagnosi sulla base di qualcosa letto su internet?
Ah, quella del medico è tutta un’altra storia! Tra i medici esiste dibattito sul tema, o quantomeno esistono posizioni diverse, e anche la deontologia ha qualche ambiguità in merito. Così come è molto ambiguo che ci siano circa ventimila medici italiani iscritti all’ordine professionale che si definiscono anche “omeopati”.
La mia posizione è che non si debba ingannare il paziente, anche se è per il suo bene. Perché significa arrogarsi il diritto di scegliere che cosa sia “il suo bene”. E poi perché spendere soldi in cose inutili non è mai “il bene” di nessuno.
Se però la domanda è: “ma se è il paziente a chiedere per primo, e il medico non lo vuole assecondare?” La mia proposta è di discuterne il più serenamente possibile, tenendo ben presente che un paziente insoddisfatto cambierà medico finché non troverà quello che gli dà ragione.

Se dunque la “normale” comunicazione scientifica non risulta persuasiva su una fascia non piccola della popolazione, e rischia anzi di irrigidirla nelle proprie credenze irragionevoli, cosa si può fare? Come viene affrontato questo problema, nelle redazioni?
Beh, intanto non è compito del giornalista quello di convincere gli altri. In generale però credo che valga la pena dire che esiste ricerca anche su questo. Se vogliamo essere razionalisti fino in fondo, leggiamola.
Si scopre per esempio che a volte la cosa migliore è quella di non infilarsi in una conversazione con un antivaccinista convinto, soprattutto se altri (magari esitanti tra le due posizioni) sono all’ascolto. Laddove invece i margini di discussione ci sono (ed è la stragrande maggioranza dei casi) si consiglia una argomentazione basata più sui sentimenti che sui dati e sui freddi numeri. E magari anche un po’ di immedesimazione nelle ragioni altrui.

Quali differenze noti tra un “ortoressico” (il maniaco dell’alimentazione corretta) e un fanatico religioso?
In verità, grandi differenze non ne vedo! Cambia il marketing che c’è dietro, ecco, e quindi anche la solidità delle scelte alimentari.

Dati alla mano, è più probabile che il futuro sorrida alla scienza o alla pseudoscienza?
Se esistessero dati in grado di dircelo, suggerirei di ignorarli. Perché partire dall’idea che esistano discrimini netti tra le due cose è poco furbo: ricordiamoci che i peggiori propalatori delle terapie alternative sono medici, e che i principali danni all’ambiente spesso derivano da usi poco lungimiranti dell’innovazione tecnologica. Cioè: è tutta questione di scelte.
Comunque sono ottimista: man mano che la scienza potrà rispondere a più domande, e risolvere più problemi, se sarà usata bene e non sarà sottratta al confronto con altre forme di conoscenza e cultura, sarà sempre più pervasiva e necessaria. Poi i bastian contrari continueranno a esistere, ma pazienza.

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